Coloro che condividono la mia professione ben sanno che il design è tutta una questione di equilibri. Noi addetti ai lavori impariamo sin dalle prime lezioni ad essere degli equilibristi perfomatori a decine di metri d'altezza, alla ricerca di un giusto mezzo per non cadere, per stupire la folla sottostante, che ci guarda in visibilio in attesa della nostra prossima mossa.
Chiunque abbia messo le mani su un qualsiasi progetto sa quanto sia complesso arrivare a condensare concetti spannometricamente opposti e divergenti entro le linee di un disegno ben fatto. D'altro canto, è questo il design. L'ideazione di forme esteticamente valide in rapporto alla funzionalità di un oggetto. La ricerca costante di un equilibrio nel caos che determina la nostra esistenza.
E sebbene ogni professionista sappia che la progettazione è una ferrea formula matematica che coinvolge intuizioni e calcoli, posso assicurarvi che quella sera mi sentivo Dio. Contemplavo la mia Stratocaster American Standard appesa al muro, illuminata dalla luce leggendaria dei due faretti al soffitto, e avvertivo quella genuina attrazione tipica di quando ci si trova innanzi ad un oggetto iconico.
Perché la chitarra elettrica è molto più che uno strumento musicale. Si potrebbe definire un manufatto straordinario. Non solo possiede una coerenza sonora, quando si trova integrata nella produzione con altri strumenti. Ma risulta anche un ottimo indumento, che veste ogni chitarrista in maniera unica e differente. O perché no, un impeccabile oggetto d'arredo capace di conferire tonalità ad un ambiente, come volentieri dimostra il mio esemplare a pochi passi dalla scrivania di lavoro del mio studio. Insomma, da qualsiasi angolazione la si voglia vedere, non serve essere designer, né tanto meno chitarristi, per appurare che la chitarra sia un oggetto che ha lasciato il segno nel corso della storia.
Tuttavia, quando si parla di musica, ogni contorno muta e gli splendidi equilibri di cui tanto noi designer amiamo fregiarci sfumano in una miscellanea indefinita di percezioni e di sensazioni. Per quanto anch'essa possa essere una formula matematica di intuizione e calcolo, la musica è molto più difficile da incasellare e prevedere. O semplicemente, è molto più difficile da definire.
Tra i tanti chitarristi che ammiro e seguo, ve ne è uno che tuttavia posso definire di gran lunga il mio preferito. Nile Rodgers. Una leggenda. Frontman degli Chic e re indiscusso della disco music anni '70, Nile Rodgers non è solo una mano dietro ad una Fender Stratocaster bianca del 1960. E' un compositore visionario. Non a caso lo ritroviamo dietro innumerevoli successi pop degli anni successivi, con collaborazioni stellari del calibro di David Bowie, Madonna, Duran Duran e Daft Punk. E se c'è una cosa che apprezzo più di altre del modo di suonare di Nile Rodgers, deve essere senza dubbio quel suo modo di concepire la chitarra ritmica. Non è un'incontrastata protagonista della scena, la sua. Non sfocia in assoli dissacranti come quella di Jimi Hendrix, e nemmeno si dedica all'eclettica ed eccentrica improvvisazione come la "Blackie" di Eric Clapton. La chitarra di Nile Rodgers è una leggiadra costante in ogni brano in cui performa, lasciando spazio agli altri artisti di primeggiarvi sopra, pur tuttavia conferendo quel ritmo essenziale e tipico delle sue canzoni. E' un concetto molto affine a quello di design, volendo allargarci un po'. Una presenza quasi invisibile se svolta egregiamente, tanto da poter rimanere in secondo piano restando tuttavia fondamentale.
Ad ogni modo, quella sera non mancavo certo di presunzione. Mi ero messo in testa di riprogettare il simbolo della musica per eccellenza e non avevo certo intenzione di perdere tempo. Recuperati i bozzetti originali del modello Stratocaster, uno dei più venduti nella storia della musica per via della sua sostanziale versatilità, non ho esitato a riconsiderare i disegni dalle fondamenta per giungere al capolinea della progettualità: plasmare la chitarra perfetta, in completa simbiosi con il musicista. Ore e minuti si susseguirono rapidamente nei giorni a venire. La prima parte da revisionare era senza dubbio il corpo centrale dello strumento, sede delle componenti elettroniche e tempio dell'estetica. Il punto in cui si sarebbe focalizzata la vista dei fruitori del prodotto, ma anche dove sarebbero avvenuti i prodigi della tecnologia. Risolcata la sagoma, sarebbe toccato al manico, teatro delle prodezze dei professionisti. Messi in discussione i materiali tenendo da conto le misure standard per preservare il rapporto fra le note, serviva solamente una buona paletta, capace di distinguersi dalla massa multiforme di prodotti concorrenti. Poi, le meccaniche e le componenti di finitura, rigorosamente in metallo, riorganizzate al meglio sulla superficie lignea del corpo, in modo da risultare la soluzione più comoda per i fruitori dello strumento. Vi esorto a non tralasciare questa piccola digressione tecnicistica, poiché benché possa sembrare ai più vezzo da mero appassionato, dimostra in maniera pratica come la chitarra elettrica si componga poi sostanzialmente di poche componenti, ciascuna essenziale al perfetto funzionamento dell'oggetto.
E la verità celata dietro alle tre settimane di intenso lavorio su decine e decine di fogli è che la chitarra elettrica è già perfetta così com'è. Ogni sua linea ha già raggiunto il massimo livello di armonia combinato con le esigenze del fruitore. Ogni componente è dove dovrebbe essere, sensatamente in ordine con ciò che le sta attorno. Non è facile, per noi del mestiere, ammettere che non ci sia nulla da aggiungere, o da sottrarre. Abituati a giocare al posto di Dio, detentori del potere di progettazione assoluta e, se vogliamo, latori della verità delle cose che ci circondano, non siamo pronti a riconoscere i limiti della nostra arte. Non ritengo di peccare di creatività, giacché prerogativa di chi si approccia al design è quella di mettersi costantemente in discussione, impersonando le vite degli altri e vivendo storie che non sono le proprie. E' che non si può controllare il tempo. Potevo pensarci prima, direte voi. Se una chitarra continua a dominare il mercato da 70 anni senza subire sostanziali trasformazioni tecniche ed estetiche, un motivo dovrà pur esserci, direte voi. Ebbene, quella sera pensavo unicamente a giocare a fare Dio. Anche se risulterà oramai chiaro che noi addetti ai lavori nemmeno prima di stendere la matita sul foglio intonso abbiamo la grazia dell'onnipotenza. Non abbiamo il controllo del tempo. Succede allora che la chitarra elettrica è già perfetta così com'è per l'epoca in cui ci troviamo. Risponde già bene alle esigenze dei suoi beneficiari, ed ogni linea aggiunta o rimossa risulta un semplice vezzo o una sconsiderata incoscienza. Non possiamo pretendere di viaggiare nel tempo, aspettando che le esigenze ed i gusti delle persone cambino, e che sia necessario un nuovo designer che sappia ripristinare giorno, forse, gli equilibri tra estetica e funzionalità.
E' questo il risultato di una buona progettazione. Un prodotto che dura nel tempo, senza risultare effimero. Perché quando un oggetto è effimero vale per quello che vale, cioè nulla.