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Manuel sospirò dando un colpetto alla carrozzeria bianca, nemmeno troppo forte, ma abbastanza da far crepitare un po' il metallo, in una tragicomica imitazione di un animale morente.
"Simò te l'avevo detto però, che capoccia dura che c'hai"
Simone lo guardava con tanto d'occhi, seduto sull'erba rada, mentre si portava le ginocchia al petto.
"Vabbeh, ma che ne sapevo io"
Si imbronciò come un bambino, estremamente scocciato ed estremamente esasperato perché nulla stava andando come previsto.
Quando Manuel gli aveva chiesto cosa volesse fare per il suo compleanno non aveva esitato a chiedere di fare qualcosa insieme, loro due, perché un 30 marzo senza Manuel era fuori da ogni pensiero.
L'altro gli aveva chiesto se volesse organizzare una festa, qualcosa di caotico, ma Simone aveva scosso la testa.
Manuel però si era imputato: dovevano festeggiare la sua nascita.
Solo che per Simone, la scoperta di Jacopo aveva significato tante cose, compreso il suo compleanno diviso in due. Il 30 marzo non era più solo il suo giorno, ma era una data condivisa e sentiva quasi di dovergli tutti i compleanni che non gli aveva dedicato. Tutte le candeline su cui aveva soffiato, inconsapevole che accanto alla sua torta ci fosse il fantasma di un dolce gemello con lo stesso numero di candeline, che però non si sarebbero mai consumate.
Tutti i "tanti auguri a te", che dovevano essere urlati al plurale, perché anche suo fratello si meritava gli auguri, una torta e i regali; e in quei momenti, quel nome dolce gli bruciava in gola per tutte le volte che non l'aveva pronunciato.
Manuel aveva sempre avvertito la sua colpa: gli diceva spesso che non doveva essere triste per essere sopravvissuto, ma anzi, doveva rendere quella vita piena per tutti e due. Per Simone però non era semplice. Chi glielo spiegava come rendere giustizia ad una vita che non era mai stata vissuta? Come poteva fare ammenda per tutte le lacrime che non aveva versato? Sentiva di dovergli tutto, a quel riflesso congelato, ma non poteva materialmente dargli nulla. Quindi se ne stava in quel limbo, in cui ogni tanto le persone si infilavano e cercavano, un pezzo alla volta, di riportarlo sotto al cono di luce della vita. Non era triste, Simone. Era solo amareggiato; a volte anche perché non riusciva ad essere triste.
Manuel lo guardò mentre se ne stava ancora lì, sull'erba, e la sua espressione cambiò all'istante, addolcita dall'affetto incondizionato.
"Nun te preoccupà, hm? Ora chiamiamo qualcuno pe venirce a prende, sì?"
Simone annuì, il viso parzialmente nascosto tra le ginocchia, ancora imbronciato per una colpa che sapeva anche di avere.
"Dai, prendi il telefono che io nun c'ho campo"
Il più piccolo sfilò il cellulare dai pantaloni beige e la presenza di due lineette alla sommità dello schermo, lo risollevò un po'. Intanto, il più grande stava ancora ispezionato l'esoscheletro bianco di lamiera che ormai non era rianimabile.
La domanda successiva fu inevitabile: chi chiamare?
"Manu?"
Il tono dolce lo fece voltare subito verso l'altro che adesso se ne stava a gambe incrociate con l'espressione crucciata.
"Mio padre ha accompagnato la nonna al teatro, avrà ancora il telefono spento. Tua madre non potrebbe comunque venirci a prendere. Chi chiamiamo?"
Manuel sembrò soppesare le sue parole, mentre estraeva dalla tasca il tabacco, unico sfogo sicuro.
"Matteo?"
Che Matteo aveva preso la patente qualche mese prima e aveva già provveduto a scarrozzare tanti di loro.
"Matteo ha accompagnato Chicca al matrimonio della cugina, ti ricordi?"
Manuel sbuffò, soppesando di nuovo la situazione.
"E vabbeh, Simò, lo spettacolo di tu nonna finisce alle cinque, aspettiamo e poi chiamiamo."
Guardò di nuovo la Vespa bianca immobile sul ciglio della strada sterrata. Si sentivano le cicale, precoci quell'anno e il sole scaldava il terriccio polveroso, mentre tutto intorno a loro si stendeva un manto erboso con piccole chiazze rade, alternate a gruppi di fiori giallissimi, come il sole stesso. L'unica prova del passaggio umano in quel luogo era la recinzione in legno secco e fil di ferro a cui avevano appoggiato il manubrio della Vespa e che probabilmente delimitava una proprietà privata di qualche tipo. L'ultima abitazione che avevano incrociato era a più di un chilometro e mezzo e il parco naturale che dovevano raggiungere distava circa cinque chilometri. Un po' troppi per sperare di percorrerli a piedi.
"Però è l'ultima volta che te dico che sto catorcio è irrecuperabile, va be'?"
Il cipiglio di Simone si accentuò.
"Mica o potevo sape' che si fermava in mezzo al niente proprio oggi, scusa"
Manuel sbuffò una risata al tono infantile dell'altro.
"Veramente era na' fine annunciata e te l'avevo detto de prende la macchina"
Simone lo guardò attraverso le ciglia con lo sguardo di chi non avrebbe mai ammesso la propria colpa. La verità era che, dopo aver saputo di Jacopo, si era riscoperto estremamente legato agli oggetti che avevano un significato affettivo. Come se dovesse collezionare ricordi per entrambi.
Quindi si era ritrovato a conservare in una piccola scatola di cartone rossa, tutta una serie di oggetti bizzarri: il biglietto della partita allo stadio con Dante, il tappo di quella mezza birra spaccata con Manuel sul Pincio, un fiore secco di una giornata passata al fiume e persino lo sticker spiegazzato rimediato al suo primo Pride.
Che Simone non sapeva quanto potesse essere utile, non sapeva se a Jacopo sarebbe fregato qualcosa di un tappo di birra e qualche fiore secco, ma lui li conservava lo stesso: nella speranza, forse, di raccontargli le storie che non aveva potuto toccare con mano.
Per quel motivo, l'idea di rinunciare per sempre alla sua Vespa bianca gli faceva ribrezzo; perché in qualche modo era attrice coprotagonista di tutte quelle storie che aveva vissuto in quegli anni e come poteva lasciarla andare? Quindi no, non avrebbe ammesso colpe, perché non avrebbe rinunciato a quel rottame su due ruote, fin quando il motore avesse dato anche solo un segno di vita.
"Vabbeh, la prossima volta facciamo come vuoi te, va bene?"
Manuel si scoprì incapace di trattenere il sorriso divertito che gli affiorò sulle labbra; il broncio adorabile di Simone ancora ben pronunciato.
Si abbassò sui talloni per arrivare alla sua altezza e gli posò una mano sul ginocchio.
"Dai, nun sarà il parco naturale, però guarda che bel prato. Ce stanno i fiori e noi avemo da mangià, quindi possiamo festeggià lo stesso"
Gli strinse il ginocchio e il sorriso che apparve timido sul viso arrossato di Simone era l'esatto motivo per cui Manuel compiva ogni azione nell'ultimo periodo. Vedere quelle piccole fossette formarsi, quei sorrisi mal trattenuti fatti di guance rosse ed incisivi adorabili erano per Manuel come carburante necessario, un incentivo a fare sempre meglio, a dargli sempre di più.
E se questo voleva dire che Simone gli piacesse non solo come amico, che Simone avrebbe voluto baciarlo sulle guance rosse e sulle labbra altrettanto scarlatte, poteva anche accettarlo per buona pace della sua perpetua negazione pubblica che ormai non aveva gran valenza nemmeno alle orecchie del più distratto degli ascoltatori.
Fu quindi facile infilare una mano dietro al ginocchio piegato del più piccolo e tirarlo leggermente, esortandolo ad alzarsi.
Simone si fece tirare su dalla mano ferma di Manuel, che comunque era il suo appiglio sempre e lo sarebbe stata anche in quel prato pieno di fiori gialli.
Infondo, il loro compleanno non si prospettava rovinato del tutto; aveva ancora tutto ciò che aveva desiderato per quel giorno: Manuel, la torta di mele e un posto dove potesse vedere bene il cielo.
Manuel prese la borsa frigo dal bauletto e tolse le chiavi dalla Vespa, in un gesto più d'abitudine che di reale utilità. Simone lo aspettava in piedi al limitare della stradina e si guardava intorno per trovare un posto all'ombra dove potessero stendere il telo che si erano ricordati di portare con sé.
Alla fine decise di stendere il grande telo arancione ai piedi di una quercia poco lontana dalla strada. Faceva una gran ombra e sentiva chiaramente il cinguettio di qualche uccellino tra i suoi rami.
Manuel lo aiutò a stendere il telo senza una piega, come piaceva a lui e poi si accomodò proprio al centro, aprendo la borsa frigo.
La torta di mele l'aveva fatta nonna Virginia ed era un'altra di quelle piccole tradizioni a cui Simone teneva terribilmente. Sapeva di casa e di ricordi felici.
Manuel rise mentre cercava di sistemare due candeline sulla torta, mentre Simone protestava che "non è necessario" e per tutta risposta Manuel lo zittiva, spingendolo un po'.
Il viso di Simone venne illuminato da quelle due flebili fiammelle e come al solito, Manuel lo trovò tanto bello da essere quasi ingiusto.
Era ingiusto, no, che una bellezza di tale portata fosse lì alla mercé del mondo intero; ed era in quei momenti che Manuel faceva della salvaguardia di Simone il suo obiettivo. L'avrebbe protetto sempre, gli avrebbe fatto da scudo anche contro gli ostacoli che non riusciva a vedere, anche contro quelli che l'altro celava dentro di sè.
Simone arrossì di nuovo mentre, incerto, soffiava sulle due candeline, non prima di aver guardato il cielo e aver sussurrato un lieve "auguri", che a Manuel non sfuggì.
Il maggiore distolse lo sguardo, come se avesse assistito a qualcosa di troppo privato, qualcosa che doveva essere di Simone e basta.
Frugò nello zainetto nero poggiato distrattamente lì accanto e ne estrasse un piccolo sacchetto di velluto nero.
Simone lo guardò incuriosito, mentre glielo porgeva con un sorriso timido che non credeva gli avesse mai visto sul viso.
"Manuel, avevamo detto niente regali, no?"
Manuel sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
"Seh, niente regali per il compleanno. E fai finta che non è per il compleanno allora"
Simone ridacchiò, scuotendo la testa divertito.
Tirò il cordoncino del sacchetto e si lasciò cadere sulla mano due braccialetti sottili di cuoio.
All'estremità di ognuno c'era un piccolo ciondolo a forma di omino stilizzato diviso a metà.
"È l'uomo a metà del mito di Platone" spiegò il maggiore, improvvisamente nervoso, mentre giocherellava con gli anelli argentei all'indice e al medio.
"Uno è per te e l'altro- pensavo che l'altro potremmo portarlo a Jacopo. Ma-ma se pensi che sia un'idea del ca-"
Non fece in tempo a finire perché vide Simone portarsi una mano agli occhi, celandogli quella vista per Manuel necessaria.
"Simò?"
Manuel si sporse verso il ragazzo di fronte a lui, che premeva forte la mano sugli occhi e stringeva altrettanto forte quei due fili di cuoio.
"Simò, tutto bene? Non te volevo fa sta' male-" gli si avvicinò di più e gli posò una mano delicatissima sul polso sottile.
Simone scosse la testa e tirò un po' su col naso.
"Sono bellissimi", la sua voce era strozzata e la mano era ancora premuta sugli occhi, nel vano tentativo di trattenere delle lacrime che tanto avevano già trovato sfogo sulle gote rosse.
A quella vista Manuel si avvicinò di più, gattonando goffamente verso l'altro.
"Simo" sussurrò, posando entrambi i palmi sulla mano ferma del più piccolo "Mi guardi?"
Per Simone quella voce era velluto, quel particolare modo di Manuel di sussurrare il suo nome era quanto di più rassicurante conoscesse al mondo e quindi fu facile scostare leggermente la mano, fino a sentire gli occhi bruciare un po'.
Gli occhi di Simone erano rossi, acquosi e grandissimi, tanto che Manuel pensò di non averli mai visti tanto da vicino e con una tale chiarezza.
Gli occarezzò il viso, le guance ancora umide e il labbro inferiore tremante, presto trattenuto tra gli incisivi adorabili.
"Non dobbiamo portarglielo per forza, puoi tenerli entrambi tu"
Gli strinse la mano in cui ancora si celavano i due sottili fili di cuoio.
Simone abbassò lo sguardo su quell'intreccio di dita che sembrava così giusto, così rassicurante e prese un respiro profondo.
"Domani mi accompagni?"
Il sorriso di Manuel si allargò e "Certo che ti accompagno", lo rassicurò.
"Grazie, Manu" ed era un rigraziamento sincero, Manuel glielo leggeva negli occhi. Simone non riusciva ad asciugarsi gli occhi, il naso continuava a pizzicare e stringeva il labbro talmente tanto da essere sicuro di esserselo pure tagliato. Era commosso, perché qualcuno aveva pensato anche a suo fratello, perché quell'anno anche lui avrebbe avuto un regalo e avrebbero potuto condividere quell'ennesimo pezzo di storia.
Con uno slancio, si sporse verso il ragazzo di fronte a lui e gli circondò il collo con le braccia, stringendo forte.
Manuel non era mai stato un tipo da abbracci, a dirla tutta; eppure, tra le braccia di Simone ci stava divinamente, come se fossero state forgiate per accoglierlo, l'incavo del collo creato apposta per accudire la sua fronte e cullarlo verso sonni migliori.
Chiuse gli occhi e circondò i fianchi del minore, stringendo forte, quasi a volergli imprimere muscoli e vene sulla pelle.
Sentiva il respiro di Simone sul collo e si ritrovò a stringerlo di più.
Stettero stretti per un tempo indefinito quando sentì Simone sussurrare il suo nome.
"Che?" gli chiese, senza staccarsi da quell'abbraccio.
"Hai una coccinella sulla spalla"
Manuel ridacchiò a labbra chiuse, prima di voltarsi leggermente, facendo scorrere la punta del naso sulla guancia dell'altro. Li sentì chiaramente i brividi su quella pelle nivea.
"Simò, non rovinare il momento"
Il respiro tranquillo del più piccolo si mozzò per qualche istante, mentre balbettava un incerto "Che momento?"
Manuel fece scorrere di nuovo il naso sulla sua pelle e rispose direttamente a contatto con essa, beandosi ancora di quei piccoli brividi.
"Questo, il nostro"
Non seppe bene dove racimolò il coraggio necessario, la consapevolezza di voler tenere stretto a sè l'altro per così tanto tempo da fondersi in un'unica entità, ma iniziò a lasciargli piccoli baci leggerissimi che partivano dal centro della guancia e si dipanavano fino alla curva della mandibola.
Simone di riflesso strinse il tessuto del bomber verde e tirò Manuel contro il suo petto, quasi avesse paura di vederlo svanire nell'aria primaverile.
Manuel si fece stringere come mai aveva fatto prima, con la sicurezza che le braccia di Simone non sarebbero mai state catene, perché non si era mai sentito libero come nel momento in cui Simone aveva sussurrato il suo nome, assuefatto a quei baci leggeri.
Le ginocchia un po' gli tramarono, quando il corvino si girò a sua volta verso di lui e gli stampò un bacio sulla guancia ruvida. Manuel lo strinse e decise di spingersi un po' oltre quando si abbassò leggermente a lasciare un bacio all'angolo di quelle labbra piene che ormai erano un chiodo fisso.
Simone le dischiuse, come vittima di un comando insindacabile, schiavo di quelle piccole attenzioni e incredulo di fronte a ciò che aveva sempre voluto, ma non aveva mai ottenuto.
Tutto in Manuel era diverso quel giorno: la dolcezza di quei piccoli baci, la delicatezza con cui gli sorreggeva la base della schiena, quasi a non volerlo far cadere in chissà che baratro; la calma, il non avere fretta, il prendere le cose lentamente, gentilmente. Simone vedeva così tanto di Manuel in quegli atteggiamenti e allo stesso tempo gli sembrava di far scivolare lentamente un velo su una sfaccettatura che non aveva ancora compreso del tutto, ma allo stesso tempo non vedeva l'ora di assaporare.
"Simò, te lo posso dare un bacio?"
Le labbra del più piccolo si schiusero di nuovo, ma non ne uscì neanche un suono, quando questo si limitò solo ad incollare le iridi a quelle profondissime dell'altro.
"Perché-perché me lo chiedi?"
E Simone era tenerissimo mentre si arrovellava su un singolo concetto; Manuel, dal canto suo, si crogiolava in quel suo privilegio di mandare in tilt quella mente meravigliosa in cui si specchiava tutti i giorni e tutti i giorni trovava un riscontro a lui complementare e uguale allo stesso tempo.
"Perché è il tuo compleanno e oggi decidi tutto tu" la punta del naso sfiorò di nuovo quella linea perfetta della mandibola che era già diventata il suo punto debole "E poi l'ultima volta non te l'ho chiesto, non voglio che pensi che so' tanto cafone"
Nonostante il cuore galoppante, Simone si ritrovò a ridacchiare, nascondendo parzialmente il volto nell'incavo del collo di Manuel.
"Manu, tu sei sempre npo' cafone"
Manuel spalancò la bocca, fintamente offeso, mentre gli pizzicava leggermente un fianco, scatenando la sua risata corroborante.
"Me basta che nun fai lo stronzo"
Il tono di Simone cambiò per quell'ultima frase: il riso era scemato e c'era tanta consapevolezza in quelle parole da fare quasi fisicamente male.
Manuel deglutì il nodo che gli si era formato in gola e si distanziò dall'altro il giusto per guardarlo bene in viso; gli circondò le guance con le mani e i pollici si mossero gentili a disegnare i contorni del suo volto, quasi a volere imprimere nelle mani la memoria tattile di quelle fattezze, per poterlo immaginare vicino anche quando, la notte, Simone non c'era e lui poteva contare solo sulla forza dei ricordi.
"Stronzo lo sono stato e lo so e me dispiace, Simò, però te giuro che ora come ora me faccio sparà piuttosto che vederte sta' male di nuovo"
Simone gli sorrise timidamente e allungò la mano per afferrare la sua e riportarselo vicino. Cominciavano a fargli male le ginocchia, ma in quel momento non gli importava granché.
"Te prego, non interrompere la striscia positiva di astinenza dalle armi solo per me"
Manuel gli sbuffò una risata sul collo e Simone sentì un brivido che arrivò fino al basso ventre.
"Richiedimelo", gli sussurrò mentre le dita vagavano in ghirigori astratti sul tessuto del bomber verde.
Manuel si sentì le guance andare a fuoco e ringraziò di essere celato agli occhi dell'altro ragazzo, quando, con voce roca, gli chiese: "Te posso bacià?"
Il "sì" di Simone fu così flebile che Manuel temette di averlo perso tra i soffi della brezza, ma allo stesso tempo gli era rimbombato nel petto come un'esplosione.
Girò di nuovo il viso in quell'abbraccio che sapeva ogni istante di più di casa e gli lasciò un altro bacio all'angolo delle labbra, leggero, delicatissimo.
Simone trasalì leggermente e Manuel si sentiva morire ad averlo lì, tremante tra le sue braccia.
Portò le mani a circondargli la mandibola perfetta, i pollici che carezzavano la tenera pelle del collo lungo e il fiato di Simone sempre più veloce, impaziente.
Manuel si beò di quell'immagine eterea, di Simone con gli occhi colmi di desiderio immerso in tutto quel verde, illuminato sulle lunghe ciglia da una luce che realmente gli rendeva giustizia, fino a farlo sembrare una creatura eterna, paradisiaca.
Si avvicinò poi, senza chiudere gli occhi, alle sue labbra, lentamente, e ne saggiò prima gli angoli, per poi far collidere le loro bocche in un contatto che sembrò ridare respiro ad entrambi.
Simone non esitò prima di appropriarsi di quelle labbra che infondo erano sempre state sue e portò le mani alla nuca del maggiore, stringendo i capelli tra le dita, facendo vagare le dita sulla pelle.
Manuel sospirò e gli morse leggermente il labbro inferiore, mentre le sue mani, più audaci, vagavano sulla schiena del più piccolo, sfiorando il bordo dei jeans e facendolo aderire di più a sè.
Fu quando Simone spinse inavvertitamente il bacino contro l'altro che Manuel decise che era arrivato il momento di avere maggiore accesso a quel corpo divino.
Con una mano sul petto, lo spinse a stendersi sul tessuto arancione del telo; lo guardò un po' con quelle labbra rosse dischiuse e il respiro accelerato. Si sfilò la giacca verde e l'arrotolò su se stessa.
"Alza la testa"
Simone, ubbidiente come mai era stato, sollevò di poco il capo e Manuel si affrettò a sistemare la giacca sotto la sua nuca.
Paradossalmente, quel semplicissimo gesto di premura, fece arrossire Simone quasi più di tutti i baci che si erano scambiati un attimo prima.
Manuel si sistemò a cavalcioni su di lui, premurandosi di non pensargli addosso.
"Stai comodo?", gli chiese, mentre passava le dita leggere in una carezza sulla guancia destra, bollente contro quelle dita fredde.
Simone annuì e subito dopo si lasciò sfuggire un piccolo gemito quando Manuel fece aderire di nuovo i loro bacini.
"Io non so com'è possibile essere tanto belli e tanto umani allo stesso tempo, Simò. Le prime volte che t'ho visto in classe nun me sembravi manco vero. Te davo fastidio per suscitare reazioni reali e manco me ne accorgevo del casino che m'hai sempre creato dentro"
Simone lo guardò con due occhi enormi mentre portava le mani alle cosce dell'altro, strette ai suoi fianchi. Fece scorrere i palmi sul tessuto ruvido dei jeans e deglutì.
"Tu invece m'hai rimesso tutto in ordine, Manu"
Manuel gli sorrise in modo così vero che il sorriso arrivò agli occhi, mentre si chinava su di lui, le mani a sorreggerlo, mentre posava di nuovo le labbra su quelle dell'altro, che lo accolse come in un ritorno a casa.
Le mani di Simone gli stringevano la maglietta sulla schiena, tirando e stringendo il tessuto sottile che sentiva come decisamente superfluo.
Manuel superò la barriera della camicia dell'altro e fece vagare la mano sull'addome piatto, pericolosamente vicino al bordo dei jeans, che diventavano sempre un po' più stretti.
Il maggiore spinse di nuovo il bacino e Simone gli gemette sulle labbra, invogliandolo ad assumere un ritmo cadenzato, regolare, che faceva gemere entrambi sulle labbra dell'altro.
"Manuel-Manuel spogliami"
Manuel non sapeva se nella vita avrebbe mai incontrato qualcosa di più erotico di Simone che gli chiedeva di essere spogliato in mezzo a un prato con gli occhi lucidi e le labbra schiuse, ma era quasi certo del contrario.
Le mani gli tremarono quasi mentre andava a togliere delicatamente ogni bottone dall'asola, baciando ogni lembo di pelle che veniva alla luce.
Simone portò le dita tra i suoi capelli, carezzando e venerando ogni riccio, fino a quando Manuel arrivò a posare le labbra proprio sopra al bottone dei jeans e Simone si lasciò sfuggire un altro sospiro.
"Aspetta, vieni qui"
Il più piccolo lo tirò nuovamente davanti al suo viso e gli lasciò un altro bacio a fior di labbra, mentre gli sollevava la maglietta e carezzava la pelle ambrata al di sotto.
"Voglio vederti"
Manuel si sentiva tremare anche il cuore mentre Simone gli passava le mani sulla pelle e sembrava ricomporre tutti i pezzi che negli anni gli erano sfuggiti.
Si chinò a baciarlo di nuovo, con foga, quasi a volergli far capire quanto lo avesse aspettato: probabilmente, una vita intera.
Spinse la mano sui jeans dell'altro e finalmente lo liberò di quella barriera ingombrante. Simone li calciò con foga prima di ricercare le labbra del maggiore che gli passò le mani sulle cosce ora nude.
Impacciato, il corvino gli sbottonò i pantaloni e li spinse verso il basso, mentre Manuel lo rassicurava con lo sguardo, adorandolo ad ogni singolo contatto di labbra.
L'unico sottofondo ai loro sospiri era il frinire delle cicale, uniche spettatrici di quell'unione che andava oltre il fisico.
Manuel si dipinse sul viso un sorrisetto storto, di quelli che a Simone facevano girare la testa in classe, tra una ricreazione e l'altra.
Gli baciò l'incavo del collo, mordendo quella pelle morbida dal profumo inconfondibile e scese verso il petto.
Quando passò le labbra sul pettorale destro, sentì Simone mozzare il fiato e stringergli le cosce, aumentando soltanto le scosse che rendevano anche i boxer un impedimento di troppo.
Scese verso il basso e ad ogni sussulto di Simone si sentiva rinvigorire, forte di quell'effetto che solo lui poteva fargli.
Quando arrivò all'altezza dei boxer, Simone era già fremente; infilò le dita oltre l'elastico e subito le mani dell'altro corsero sulle sue.
"Manu se non vuoi-"
Manuel ridacchiò e gli lasciò un bacio proprio nell'incavo del basso ventre.
"Simò, zitto. Non è manco la prima volta che te faccio sto regalo al compleanno, me pare"
Simone arrossì fino alla punta delle orecchie e sbuffò una risata.
"Sei un cretino"
Manuel rise, gli lasciò un bacio alla stessa altezza di prima, ma all'altro lato.
"Ora guardami, e tanti auguri"
Abbassò velocemente il tessuto e Simone non si azzardò nemmeno per un attimo a distogliere lo sguardo da quella visione che era quanto di più santo potesse desiderare.
I muscoli di Manuel guizzavano per lo sforzo di mantenersi in equilibrio, mentre dedicava completa attenzione a Simone, le sue mani strette ai fianchi nivei mentre si impegnava per accoglierlo quanto più possibile.
Simone gemeva in modo spudorato e Manuel adorava anche quello di lui: il volume alto che non riusciva a trattenere in quei momenti e poteva giurare di averci pensato più volte dopo il precedente 30 marzo.
Gli accarezzò i fianchi prima di stringerli forte, premurandosi di imprimere la sua impronta rossastra su quella pelle immacolata, mentre aumentava il ritmo, beandosi dei gemiti di Simone e del suo nome che usciva dalle labbra gonfie come una preghiera.
Lo sentì tremare mentre arrivava al limite e si sentì tirare su proprio in quel momento, per unire le loro labbra e fu famelico il modo in cui Simone assaporava se stesso sulle labbra dell'altro.
Simone venne tra i loro corpi vicini e Manuel si sentì esplodere, quando la sua stessa mano corse a cercare di darsi sollievo.
L'altro però lo fermò e, dopo un bacio ansimante, si portò quella stessa mano alle labbra.
"Ti voglio"
Inglobò le dita del maggiore che trattenne il respiro tra i denti, soffocando così un sospiro di aspettativa.
"Ti voglio, Manuel"
La mano che prima era avvolta dalle labbra rosse di Simone scese a prepararlo con una delicatezza che nemmeno Manuel si aspettava da se stesso, viste le condizioni in cui versava.
Il respiro di Simone accelerò quasi subito, mentre si abituava e andava incontro a quelle dita che lo conoscevano già e ricordavano alla perfezione ogni punto di quel corpo.
"Sono pronto" rantolò, tra un ansito e l'altro, mentre Manuel raggiungeva a fatica il portafogli abbandonato sul telo e ne ricavava un profilattico.
Simone lo notò il modo in cui Manuel si premurò di essere gentile anche in quell'istante; quando lo guardò negli occhi ed intrecciò le loro mani all'altezza della testa. Pronunciò il suo nome sussurrando, come un mantra, mentre si univano e Simone gli andava incontro, desideroso di maggiore contatto.
Manuel deglutì e dischiuse le labbra, quasi sentendo troppo. Straripante di qualsiasi sensazione positiva, si chinò su Simone e ne baciò le labbra gonfie, ricevendo una stretta forte da quelle dita lunghe e affusolate che ora gli risalivano l'ampia schiena e ora si aggrappavano alle spalle, come in cerca di un appiglio.
Le mani di Manuel scesero ad imprimere la loro impronta sulle cosce bianche dell'altro, spingendoselo più vicino. Sentiva le gambe tremare e la testa farsi leggera, mentre con una delle mani correva a dare piacere all'altro, certo che avrebbero raggiunto l'apice insieme.
Simone si tirò su col busto e si strinse alle spalle dell'altro, il suo nome ripetuto ancora e ancora, come un richiamo a rimanere lì, nel presente, con lui.
Baciò Manuel e venne tra i loro corpi stretti, mentre Manuel lo seguiva subito dopo.
Il maggiore ansimava sulle sue labbra, rubandogli qualche bacio tra un respiro e l'altro, mentre Simone non accennava a sciogliere quella stretta piacevole.
"Te l'ho già detto buon compleanno?"
Simone rise, e lo colpì leggero sulla spalla, prima di lasciargli l'ennesimo bacio sulle labbra.

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