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«Ah! Sto impazzendo!»

Monique si sdraiò sul letto, scaraventando malamente il libro che stringeva tra le mani al suo fianco.

Le due amiche stavano studiando insieme per il test di matematica del giorno seguente. Erano ormai lì da ore, cercando di trovare il modo affinché tutte le nozioni necessarie si memorizzassero nelle loro menti stanche.

Amelya riusciva a concentrarsi a tratti. In alcuni momenti era presente, lì con Monique ad assimilare tutti quei numeri e quelle formule, in altri invece, la sua concentrazione si perdeva e i suoi pensieri raggiungevano la maestosa dimora nella foresta, dove al suo interno, in una delle stanze al piano superiore, Logan vi era imprigionato. Confinato lì, in quella stanza fatiscente, da un incantesimo che avvolgeva l'intera camera come un manto invisibile e gli impediva di varcare la soglia della porta e di vivere la sua libertà. 

Animus Carceris. Così Jaxon aveva chiamato l'incantesimo che aveva utilizzato. Le spiegò che serviva a legare l'anima di Logan a quel luogo, chiunque sarebbe potuto entrare nella stanza, ma il Demone non sarebbe mai stato capace di uscirne.

La ragazza sospirò. Quanto avrebbe voluto poter parlare con sua madre, chiederle se stava facendo la cosa giusta.

«Amelya, hai sentito quello che ho detto?»

Monique la distolse dai suoi pensieri.

«Cosa?» domandò la ragazza.

«Ti ho chiesto se hai fame» rispose sospettosa l'altra, scrutando l'amica da capo a piedi. «In questo periodo sei un po' strana. È successo qualcosa?»

Amelya scosse la testa con veemenza. «No nulla, ero solo sovrappensiero.»

Si morse la lingua. Continuare a mentire alla sua ormai migliore amica, le piaceva ancora meno. Una parte di lei avrebbe voluto raccontarle tutto, confidarsi. Avrebbe voluto rivelare ogni cosa, ma il terrore di poterla mettere in pericolo intrappolandola nella insidiosa situazione in cui si trovava, metteva un enorme freno alla sua lingua. Inoltre, non era nemmeno poi del tutto sicura che Monique avrebbe creduto senza alcuna remore alla sua storia fantascientifica su Angeli e Demoni. Per quanto poteva saperne, la sua cara amica avrebbe potuto tranquillamente sbraitarle contro di essere una squilibrata e sarebbe potuta scappare via a gambe levate senza voltarsi indietro.

«Comunque, sì, ho fame» aggiunse dopo un po', rispondendo alla domanda di Monique che si era persa. «Scendiamo a mangiare qualcosa.»

Le due ragazze scesero le scale fino in cucina, dove trovarono Adele intenta a rifornire di croccantini la ciotola di Aragorn, che scodinzolava impaziente accanto a lei.

«Ciao nonna» la salutò Amelya.

Quella parola sembrava così strana sulla punta della sua lingua. Non era ancora riuscita a scoprire nulla sulla donna con cui viveva. Nei giorni precedenti aveva provato a fare ulteriori domande ad Adele, ma senza alcun risultato: ogni volta l'anziana si bloccava a fissare il vuoto e poi cominciava a farfugliare cose senza senso. Amelya aveva anche provato a sfogliare vecchi album di famiglia, cercando qualche indizio rilevante che potesse spiegare chi era Adele, ma l'unica cosa che vi aveva trovato lì dentro, era il dolore più puro e acuto che aveva avvolto insidioso ogni suo dolce ricordo.

No, non era pronta per rivedere i loro volti. Non era pronta per il sorriso tenero di sua madre o per i luminosi occhi azzurri di suo padre, tratto che Amelya aveva ereditato con un certo orgoglio. Tanto meno, era pronta a rivivere tutti quegli sprazzi di vita, di momenti insieme. Istanti che non avrebbe mai più condiviso con loro.

«Tesoro!» le ricambiò il saluto Adele.

«Buongiorno Signora» la salutò rispettosamente Monique.

From Darkness To AshesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora