Tortorella

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Simone le conosce a memoria, le abitudini di Manuel. 

Potrebbe restare con gli occhi chiusi, fermo immobile su di una sedia a descrivere perfettamente i suoi gesti.

Sa che una volta tornato a casa, Manuel  posteggia l'auto nel solito posto a loro riservato, scende dalla vettura e si stiracchia, allungando le braccia verso l'alto.

Poi recupera il vecchio borsello nero in cui tiene il portafoglio, delle piccole foto  scattate con la polaroid di Simone e le chiavi di casa. 

Chiude l'auto e ricontrolla che sia chiusa provando ad aprire lo sportello tirando a sé la maniglia, che della tecnologia sempre meglio non fidarsi troppo, dice.

Simone sa che è lui a compiere ogni gesto così meccanicamente da dimenticarsene un attimo dopo, per questo sorride ogni volta che lo vede ritornare indietro alla macchina per controllare sia davvero chiusa. 

Fa due piccoli passi e apre il portabagagli, dove è solito mettere le buste della spesa, da quando il seggiolino e i giochi di Jacopo hanno praticamente occupato ogni centimetro del sedile posteriore. 

Tira giù lo sportello del portabagagli con una sola mano, l'altra carica di sacchetti.

Un'ultima occhiata verso l'auto- che sia posteggiata bene, al contrario di Simone che la lascia sempre un po' come viene, viene- e si avvia verso casa.

Davanti la porta, tenta di tirar fuori le chiavi dal borsello, sollevando una gamba e piegandola verso il busto quel tanto che serve per afferrare con indice e pollice il piccolo gancio della cerniera. 

Il piccolo mazzo di chiavi nei quali tiene tre portachiavi differenti.

I primi due portachiavi, comperati durante una vacanza a Palermo, in un negozietto di souvenir nel quale si erano rifugiati per sfuggire al caldo torrido della città, non sono nient'altro che due anelli ai quali sono legati, rispettivamente, un ciondolo a forma di S ed un altro a forma di M.

Il terzo, preso a Roma qualche tempo prima, ha per ciondolo una piccola J. 

Come ogni singola volta in cui rientra in casa, sbaglia chiave.
Simone lo sente trafficare con il mazzo, provarne due o tre prima di trovare quella giusta ed aprire la porta spingendola dal basso con il piede. 

Il rumore del mazzo che viene lasciato cadere sul mobile dell'ingresso è inconfondibile.

Il tipico "Simò! Sto a casa!" urlato prima di togliere le scarpe e lasciarle in un angolo dell'ingresso non si lascia attendere e quindi ecco Manuel urlare contro la stanza vuota che separa l'ingresso dalle altre camere della casa. 

Nota la luce della cucina accesa- com'è normale, del resto- è quasi ora di cena e già  immagina Simone in cucina intento a preparare qualcosa da mangiare per la cena e Jacopo a fare gli ultimi compiti assegnati in classe dalle maestre.

Il cuore si addolcisce solo al pensiero di quel piccoletto tutto riccioli che ricopia le lettere dell'alfabeto tante volte fino a riempire il foglio del quaderno, per poi mostrare il lavoro finito a lui e Simone, prima di riporlo nello zaino, pronto per il giorno dopo. 

Si avvia verso la cucina per andare a salutare il prima possibile il bambino ed il marito. 
Un «ciao papi » proveniente da lì lo spinge ad accelerare ancora di più il passo.  

La scena che si presenta davanti ai suoi occhi è esattamente quella che aveva immaginato. 

Simone è di spalle, verso la cucina. 

Sul tavolo invece sono sparsi vari pennarelli, tempere e le famose penne cancellabili che le maestre della scuola di Jacopo hanno preteso come fosse questione di principio.

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