Mi sveglio, stranamente con calma.
Apro gli occhi piano, sbattendo le palpebre. Sono sul mio letto ancora fatto, addosso gli stessi vestiti della sera prima, le scarpe ai piedi, sul materasso.
Non l'ho mai fatto prima; da sempre sono statə consapevole del fastidio che una situazione del genere mi avrebbe portato e di cui ora sono assolutamente sicurə.Passo comunque una generosa manciata di minuti col braccio poggiato sulla fronte, ad osservare il soffitto della mia stanza, anonima.
Mi dico sempre di cercare di fare qualcosa per renderla più mia, più me, ma so che combinerei un pasticcio date tutte le cose che mi piacciono e che puntualmente stonano fra loro.
La riempirei di piante, però.Probabilmente io stessə sono quasi completamente anonimə. Mi accorgo spesso di non conoscermi davvero; qualcuno di esterno potrebbe prevedere le mie azioni più di me.
E quindi mi chiedo quanto effettivamente io possa imparare a conoscere la gente che mi sta attorno.
È qualcosa di negativo?
Non abituarsi mai del tutto a chi si ha vicino, stupirsi di comportamenti che altri invece riterrebbero abituali.
Non imparare, perdonare in ogni caso, ogni volta.Mi alzo, mi spoglio, i miei dormono ancora.
Il cellulare è in carica, lo schermo nero, è spento. Non lo tocco, non mi va. È troppo presto.
La serranda è abbassata fino a poco più della metà.
Non la alzo mai completamente, la luce fioca mi rilassa.
Cammino quasi in punta di piedi fino al bagno, i vestiti in mano e poi nel portabiancheria, col resto di ciò che mi copre.Mi guardo allo specchio, le braccia avvolte attorno al petto che mi coprono il seno.
Le labbra e gli occhi sono leggermente gonfi.
Non resto così a lungo, i pensieri si accavallerebbero.
Mi peso, leggo la cifra, la scrivo, non ci penso e la dimentico all'istante.
Entro in doccia, i capelli raccolti per non bagnarli.Forse non mi impegno abbastanza.
A conoscere la gente, intendo.
Sono io a sbagliare? Cos'è che non comprendo?
Sono distrattə? Disinteressatə? Possibile? Io, che voglio bene a tutti. Io che chiedo, mi preoccupo, conforto.Strofino troppo forte la spugna sulle cosce dalla parte ruvida, lasciando il segno, rosso.
Mi graffia e mi disturba, ma non mi fermo. Cerco di lavare via ciò che c'è di sbagliato, ciò che non va.
So che non funzionerebbe, non mi interessa, ho bisogno di qualcosa.Le cosce si ricoprono di rosso, un taglio recente si riapre, brucia.
Passo alle braccia, il petto, lo stomaco.
Occhi chiusi, sopracciglia aggrottate.Esco quando me la sento, non so quanto tempo sia passato.
Con un asciugamani avvolto attorno al corpo torno nella mia stanza, nel frattempo sciolgo i capelli e vi passo la mano. Sono morbidi, mossi.Controllo l'ora sullo schermo del cellulare: 5:10 del mattino, poche notifiche dalla sera prima.
Indosso l'intimo ed una canottiera di seta troppo lunga.
Lascio l'asciugamani bagnato sul letto, mi dirigo in cucina. Afferro il pacchetto di sigarette di mia madre dal tavolo, ne tiro fuori una e lo lascio lì, senza fermarmi, continuando a camminare verso il balcone.C'è una sedia a sdraio, vicino un posacenere e un accendino. Mi siedo, accendo la sigaretta, faccio il primo tiro.
La schiena contro uno dei poggia gomiti, le gambe posate sull'altro.
Guardo fuori, la testa contro lo schienale.
Aspetto di finire la sigaretta e chiudo gli occhi.
Mi addormento poco dopo.