Pt. 1

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Vivevo nell'azzurra Los Angeles, ferma in un'estate perpetua, avevo quattordici anni quando tutto cominciò a tingersi di un colore nuovo, e il vento cominciò improvvisamente a profumare di ibisco e canna.
Avevo sempre visto il mondo che mi circondava con occhi differenti, ma erano gli anni in cui cominciavo a capire tutta l'illusione, quanto tutto fosse fatto di plastica e ogni essere che mi circondava era una marionetta nella tragedia.
Thomas era mio fratello e il mio migliore amico, stavamo sempre insieme da piccoli, condividevamo il piatto e la cannuccia, ci divertivamo a scalare l'enorme scogliera vicino casa e guardare le bianche nuvole cambiare al vento, ci divertivamo a ballare nella nostra stanza e ci prendevamo cura di noi spazzolandoci i capelli a vicenda.
Tutto andava liscio, così come i nostri genitori ci avevano insegnato, ogni pomeriggio io andavo al club di equitazione e Thomas faceva nuoto, eravamo la perfetta famiglia americana, al nostro apice eravamo ricchi e prestigiosi, il cognome "Darko" risuonava tra le bocche di centinaia di persone, ma sotto al tappeto avevamo tanta polvere.
Le pareti della nostra villa erano sempre cupe, nonché di un legno sicurissimo, l'aria era sempre intensa, se con l'orecchio ti avvicinavi ai muri potevi sentire le finestre che pian piano scricchiolavano, pronte a rompersi da un momento all'altro.
Thomas non ha mai visto madre e padre come suoi genitori, pensava spesso indietro all'India, dal quale era stato adottato, e pensava spesso anche al fatto di esser nato nel ruolo sbagliato.
Perché Thomas non è sempre stato Thomas, una volta lo chiamavo sorella.
Ed'un tempo io l'amavo, anche più di un fratello, c'era un qualcosa che mi faceva vivere e mi rendeva matta della sua bellezza, quel suo modo di fare così indifferente, quella gioia di vivere che prima aveva in cuore.
Il suo sorriso, i suoi lunghi capelli, la sua pelle luminosa e quel naso ad'uncino.
Me lo ricordo così bene, fu la prima persona a farmi provare certe emozioni, la voglia di rimanergli affianco ancora un'altro po' di quello che il destino aveva prefissato.
E dopo anni ancora ci ripenso, perché per me lui era vita e morte, bellezza e paura, felicità e confusione. Era chi ho amato per prima e chi ho sepolto per prima. Non ero mai stata in pena per la bellezza di qualcuno prima di aver visto Thomas al massimo della sua.
Un vero peccato non averlo mai capito al cento per cento.
Scuole superiori, era il mio primo anno, avevo già cominciato da circa un mese, stesse luci, stessi odori e stesse noiose persone. La maggiorparte delle ragazze che avevo come 'amiche' erano figlie di famiglie ricche della zona, avevo anche un fidanzatino, ma preferirei tardare piuttosto che parlare di Marshall.
Era l'ora di pranzo, tutti si erano riuniti in mensa. Guardavo fuori dalla finestra e non toccavo cibo, come al solito il giardino di quella scuola era in perfetta forma, le mille palme che ondeggiavano al caldo vento erano rigogliose, e il cielo era perfettamente azzurro, tanto azzuro da farmi dimenticare gli altri colori, e rendere tutto il resto grigio.
Ero da poco uscita dall'ospedale, dopo l'ultima operazione per sistemarmi gli organi genitali, provavo schifo per me stessa e diffidenza verso il resto delle mondo, se fosse stato per me avrei lasciato  tutto com'era ma non avevo scelta davanti alla società.
Mi girai per guardarmi intorno e mi accorsi di quanto quella scuola privata fosse asettica e senza personalità, quasi come i corridoi della clinica. Erano molto simili tranne che per la luce, giallastra lì, sui toni del blu in ospedale.
I miei pensieri fuggitivi sui colori non potevano essere disturbati, neanche dal chiasso delle voci che mi circondavano.
Ad'un certo punto però vidi la mia persona più famigliare, e tirai un sospiro di sollievo.
Thomas parlava con un ragazzo di un anno più grande di lui. Era poggiato alla parete con le braccia conserte, lo guardava negli occhi e distoglieva lo sguardo subito sopo, accarezzandosi le punte dei capelli con le dita.
Quando finirono di parlare mi alzai, abbandonado il cibo sul tavolo, e cominciai a camminare velocemente verso Thomas.
"Chi era?" chiesi tranquillamente, facendolo balzare dallo spavento. Thomas si guardò intorno e continuó a giocare con i suoi capelli.
"uh.. Un tizio, non saprei dirti."
"Cosa? Non sai chi sia?"
Thomas si voltò verso di me e sorrise "Che importanza ha? Era carino."
Aggrottai la fronte, era strano che non mi dicesse tutto sin dall'inizio, ma non ci feci più di tanto caso per il resto della giornata.
La parte peggiore era ignorare, quell'incosapevole gelosia, ogni qualvolta li vedevo insieme tra i corridoi o in mensa, non potevo far altro che sentire la pressione e l'adrenalina salire, ma non capivo ancora cosa provavo.
Arrivò l'ultimo giorno prima del fine settimana, stavo consapevolmente evitando tutti, ad'un certo punto però Marshall mi bloccò in un corridoio.
"Hey! Perché non rispondi ai messaggi?"
Alzai lo sguardo dal pavimento e cercai contatto visivo.
Marshall era il mio fidanzato, opera in realtà di una relazione programmata dalle nostre famiglie, sin dalla tenera età. Non mi stava particolarmente simpatico, più che altro non mi faceva né caldo né freddo, aveva una personalità insignificante e un aspetto effeminato, ma era molto meglio di altri ragazzi che mi avevano proposto.
Sbattei le palpebre "uh? Mi hai inviato dei messaggi?"
"sì! Tutta la settimana, almeno una volta al giorno."
Rimasi in silenzio.
"E quando ti vedo hai sempre la testa abbassata, mi ignori. Che peccato... sei una ragazza... così carina."
Spalancai gli occhi, leggermente offesa senza un vero e proprio motivo.
"Come scusa? Perché non ti tappi la bocca una volta tanto?" sbottai senza pensare.
Fui io, invece, a tapparmi la bocca con la mano, vedendo subito la sua reazione incredula.
Era la prima volta che andavo contro qualcuno che mi era stato imposto di sopportare, mi sentii subito meglio, avevo meno sensi di colpa sulle spalle.
"mi dispiace..." Dissi, senza pensarlo veramente "Lascia perdere."
A quanto pare non ero ancora arrivata al limite.
In quel momento un gruppo di ragazzini ci sorpassarono velocemente, vidi una delle mie amiche e prontamente la bloccai.
"Che succede?" chiesi.
La mia amica mi prese per le spalle.
"Qualcuno lo sta facendo negli spogliatoi maschili, si sente tutto dal bagno delle ragazze!" disse entusiasta.
"Cosa? Chi sta facendo cosa?"
La mia amica ignoró la domanda e continuó a correre, la seguii in preda alla curiosità.
Nel bagno delle femmine cercai una parete vuota e ci poggiai l'orecchio.
Sentii per la prima volta dei versi, leggeri sospiri e movimenti.
'ma è disgustoso!' pensai, alle persone piaceva davvero fare quelle cose?
Rimisi di nuovo l'orecchio e sentii una voce famigliare sussurrare qualcosa.
Mi aggiustai il colletto dell'uniforme e rimasi ancora ad'ascoltare, impietrita da cosa stava succedendo, non riuscivo più a muovere il mio corpo e non avevo più parole da dire.
La notizia poi passò dalla bocca degli studenti alle orecchie degli adulti, insegnanti, presidi e genitori, non accadeva qualcosa del genere in quella scuola dagli anni 80.
All'essemblea che fecero qualche settimana dopo il preside ne parló con delicatezza e pudore, invitando i protagonisti della vicenda a farsi avanti.
Vidi Thomas seduto composto dall'altra parte dell'auditorio, nervosa mi guardai anche le mani, che cominciarono a prendere un colorito pallido.
Thomas si alzò, facendo cadere una piuma di rumore nell'enorme sala, salì le scale del palco e sussuró qualcosa nell'orecchio del preside.
'Sono stato io.'

SusieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora