Pt. 3

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Verso l'estate partecipai al matrimonio di zio Hans, fratello minore di mio padre, e la sua fidanzata bulgara, zia Nadya, avevano già una figlia, la mia piccola e viziatissima cuginetta Hilda.
Voci di corridoio dicevano che la famiglia voleva aprire una casa discografica e supportare giovani talenti, pensai immediatamente a come avrei potuto aiutare Cora così, ma non avevo molto tempo, questo perché a Settembre sarei partita per il Giappone per un anno scolastico.
Diedi le mie congratulazioni agli zii, Zia Nadya mi prese per mano e mi strinse a sé calorosamente.
"Sono così felice di far parte di questa famiglia, buona fortuna con tutto nipotina mia." disse con un sorriso smagliante, candido e perfetto, nel suo vestito bianco titanio.
All'inizio sorrisi anch'io ma falsamente, perché sin da quando ero nata quella famiglia non mi aveva portato che angoscia, ma poi riflessi ancora per un po' e capii, semplicemente, che solo noi eravamo il problema.
Maledissi la mia esistenza ancora una volta e cominciai a camminare per i giardini di quell'immenso parco, nel mio vestito restrittivo scelto da mia madre, nelle mie scarpe così fuori moda. Alla California piacevo quando ero giù di morale, così il mio pensiero andò al lontano Giappone, avevo sentito che era un paese di persone serie ma la cosa più importante era non stare più, almeno per un anno, sotto l'influenza opprimente dei miei genitori, la cosa più bella era che avrei passato tutto il tempo in quella lingua sconosciuta con la mia persona preferita, Thomas.
Svoltai l'angolo tra le auiole di rose spinate, bianche, rosse e color lavanda e scoprii un quadro in cui non volevo proprio sbirciare.
Thomas era avvinghiato contro un ragazzo con la divisa da cameriere, seduti su un muretto di mattoni bianchi, stavano per finire tra le spine delle rose a forza di spingersi a vicenda.
"Hey! Basta!" esclamai facendoli trasalire.
Il cameriere si scostó da Thomas facendolo cadere all'indietro, chiese scusa un milione di volte prima di allontanarsi a passo veloce dalla scena, completamente in imbarazzo.
Mi voltai di nuovo verso Thomas per chiedere spiegazioni, si era seduto su una panchina là vicino e si stava aggiustando i vestiti. Si alzò le calze, si spazzoló i capelli con le mani e cercò di sistemare le pieghe della gonna.
"Ma che sta succedendo? Sei un incosciente! Ti vuoi far scoprire di nuovo da mamma e papà? Ci vuoi rovinare la vita?"
Thomas aprì leggermente la bocca e corruggió la fronte, per poi alzarzi dalla panchina offeso.
"Sei impazzita? Tu pensi veramente che a quelle persone gliene freghi qualcosa di cosa faccio io?"
"Ovvio che gliene frega sei loro figlia."
"Figlia? Mi hanno adottato solo per far vedere che sono brave persone. Sei cieca se pensi che a loro importi."
Era vero, ma in cuor mio non lo avevo mai ammesso, questo perché non vedevo le azioni dei miei genitori come significative, ancora una volta io non gli bastavo.
"... Scusa." mormorai "però quando andiamo in Giappone non fare cose del genere okay? Altre persone ci potrebbero rimanere male..."
"Susie..io..." disse sospirando "... io non vengo in Giappone con te, faccio un anno scolastico a Singapore."
Singapore? Da quando in qua parlava in cinese? Perché mi voleva abbandonare? Perché stava succedendo tutto così in fretta?
"Perché?" non sapevo che dire oltre quella parola, Thomas mi sfuggiva di mano ogni giorno di più.
Fu così che anch'io feci una scelta, da non dirglielo a dirglielo.
Mi misi le mani sugli occhi e feci un grande respiro, poi poggiai la testa su un muro accanto alle rose, abbassai lo sguardo e cercai di calmarmi nasando il loro delicato profumo.
"Sei tu che sei cieca, tu... Mi piaci, da un po' di tempo ormai."
Era tutto finito, ma la speranza è l'ultima a morire. Mi guardò con un espressione strana, tra lo shock e la confusione, per un momento mi ero trasformata in un essere mostruoso.
"Susie... In che senso... Noi due siamo sorelle..." 
"Lo siamo mai state veramente?"
"Ovvio che sì!"
"Io... Non posso farci niente.
"Sì che puoi fare qualcosa, puoi aprire gli occhi e vedermi per chi sono veramente." mi disse scuotendo la testa "Non mi piaci in quel senso, però ti voglio bene, lo sai."
Mi coprii l'intera faccia, questa volta per evitare che mi vedesse in uno stato pietoso.
"Forse questo viaggio arriva in un buon momento, forse... dovremmo stare lontani."
Dopo questa frase mi voltai e cominciai a correre nelle mie ballerine, perché le lacrime stavano già cominciando a scendere.
E così arrivò il mio primo cuore spezzato, continuavo a ripeterlo 'cuore spezzato, ho il cuore spezzato', mille e mila cocci di acrilico e colla, e non riuscivo ad'andare avanti, persino il clima si prendeva gioco di me.
L'allegra Los Angels con il suo sole splendente e il suo perenne cielo azzurro, rideva del mio rifiuto. Ero stanca di vivere in quel mondo, così falso, così monotono, ero stanca di essere una bambola di resina, e non essere presa sul serio neanche dall'etere che avevo sopra alla testa.
A Settembre partii quindi per il Giappone, salutai Cora con un forte e lungo abbraccio e tentai di dare un occhiata fuggitiva a Thomas, un occhiata che diceva 'spero davvero di non tornare così presto'. Abbassai lo sguardo e gli dissi "Buon viaggio anche a te." per poi essere tirata per il colletto della camicia da mia madre.
In prima classe ero come morta, stesa ad'osservare le nuvole candide che creavano un oceano fuori dal finestrino, non toccai cibo, mi riempii solamente di televisione e spazzatura americana, per poi spegnere e addormentarmi al suono calmante dell'areo.
Svenire, andare in coma, non sembrava una cattiva idea in quel periodo, anche solo per dimenticare una singola parola della mia conversazione con Thomas. Sarebbe tutto andato bene, nel dubbio potevo fingere, così come ho sempre fatto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 04, 2022 ⏰

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