Pt. 2

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Fu subito scandalo, il filo sottile che ci teneva alti dal suolo si assottigliava sempre di più, la maggioranza voleva l'espulsione dei fratelli Darko, io invece volevo solo scrutare oltre il limite e vedere la morte.
Per la prima volta Thomas salì sulla scogliera senza di me, non ebbi il coraggio di raggiungerlo, ero diventata roccia, completamente fatta di pietra, non potevo che osservarlo da lontano, mentre lui era seduto di spalle e i suoi capelli neri e setosi danzano al vento.
Una notte però mi venne a trovare nel letto, come una dama d'ombra mi toccò delicatamente la spalla.
".. Che c'è?" sussurrai ancora mezza addormentata. sarebbe stato bello dire che era una notte buia e tempestosa, che pioveva e che fuori dalla finestra c'erano i vampiri, ma la California aveva altri piani. Era la notte più tranquilla che potessi immaginare, il mare era liscio come l'olio, solo qualche innocua nuvola oscurava il cielo e i grilli facevano un fievole rumore.
"Posso dormire con te?"
Thomas era bello anche in quello stato, con i capelli leggermente spettinati, al chiaro di luna, innocente e immobile.
Alzai le coperte e sussurrai "vieni qui."
Si mise quindi accanto a me.
"Posso chiederti una cosa?" dissi, rigirandomi tra le coperte, Thomas annuì. "Perché lo hai fatto?"
Si rivolse verso il soffitto e sospirò.
"Non lo so... Voglio essere libero, non ha senso se lo spiego."
Continuai a guardarlo stupita, aveva senso, ma era strano, non sentivo alcun rimorso, alcuna paura, la sua voce sembrava quasi divertita.
"Sai cosa?" disse rivolgendosi a me con un sorriso incerto. "É stato orribile, ma lo rifarei di nuovo." aveva gli occhi leggermente lucidi, la voce fatta di tremori.
Lo strinsi forte a me, avevo paura che scappasse via da un momento all'altro, e continuavo a chiedermi perché,
perché io non gli bastavo?
Avevo paura di molte cose in quel periodo, una di queste era l'ufficio di mia madre, dallo scandalo si era rinchiusa là dentro, pregando e meditando costantemente per il nostro futuro.
Un giorno mi chiamó nell'ufficio, stava sbattendo violentemente delle lettere sulla  scrivania e facendo avanti e indietro con fare nervoso.
"Tu e Prisha siete stati espulsi." disse accendendosi una sigaretta. "Pensavo sarebbe passato più tempo, ma ho capito che eravate già un fallimento, sin dall'inizio. Mi hai deluso."
Abbassai lo sguardo, il suo modo di fare aveva un forte potere su di me, parlava con tono freddo e, ogni qualvolta l'ascoltavo, faceva uscire acido in forma di frasi.
Eppure quella donna mi teneva stretta al cuore, mi vestiva a festa, talvolta, nei suoi attimi migliori, diceva che ero speciale, perdeva il sonno per me, e solo per me.
Mi chiusi la porta dell'ufficio alle spalle e crollai completamente sotto quelle poche parole. Trascinandomi al suolo cominciai a piangere silenziosamente, ascoltando il mio respiro sempre più affannoso, nessuno mi avrebbe aiutato da quella gabbia, se non me stessa.
Qualche giorno dopo mio padre tornò da uno dei suoi soliti viaggi di lavoro e cominciò immediatamente a urlarmi in faccia insulti in tedesco, capivo la metà delle cose che diceva e, ogni qualvolta litigavamo, le sue mani si avvicinavano sempre di più al mio collo, come una minaccia perenne.
C'era un'aria velenosa ultimamente, non respiravo, l'unico sfogo che avevo era il club di equitazione, il vento tra i capelli, il cielo sempre azzurro, i cavalli ingenui che trottavano e la capacità ancora di esprimermi con le lacrime,
Il punto era,
ero viva, ma a che costo? Erano troppi pensieri, troppo peso, per una semplice quattordicenne.
Thomas non smise mai di sentirsi bene con i ragazzi, tanto che, quando ci trasferimmo per l'anno nella migliore scuola pubblica che i nostri genitori avevano trovato, già nella prima settimana camminava per i corridoi tenendo per mano un bel ragazzo moro.
Quanto a me quello splendore ancora non mi si addiceva, mi sentivo meglio nell'ombra, in un angolo impolverato della classe meno frequentata, non avrei mai legato con nessuno, il mio cuore non avrebbe mai sentito, non avrebbe mai visto, non avrebbe mai conosciuto.
Fu in quel periodo però che, tra la noia e la disperazione, nel grigiore di quei giorni, un raggio di sole mi colpì, squarciando il cielo in due.
Il suo nome era Cora, aveva già sogni e ambizioni precise, più di ogni cosa, aveva già polso, determinazione. Era robusta e scura di pelle, portava sempre i capelli in mille treccine e indossava senza vergogna ciò che voleva.
"Hey, io ti ho già vista da qualche parte!" disse un giorno, cogliendomi in mensa. Quel giorno indossava una maglietta di una band e dei jeans a metà vita che scoprivano leggermente la pancia.
"Ah sì?" risposi nervosamente.
Cora si sedette accanto a me. "Eri una delle voci bianche, alla chiesa anglicana di Bakersfield?"
Fu lì che capii perché il suo viso mi sembrava familiare. "tu eri la solista vero?"
Cora annuì sorridendo in maniera maliziosa. "Che fai? Non canti più?"
Mio padre mi aveva tolto dal programma moltissimi anni fa, non voleva che mi facessi strane idee, voleva che la figlia 'del tutto sua' facesse un lavoro serio e dignitoso.
"No... Ma non ero così brava dopotutto."
"Peccato, sei carina, potresti fare successo."
Arrossii a quel complimento, Cora era molto più carina di me.
"Guarda." disse tirando fuori uno specchietto portatile dalla tasca. "abbiamo le stesse lentiggini, siamo come sorelle." e portava le mie stesse lentiggini con grazia.
Fu allora che mise la sua morbida mano sulle mia. "Mi chiamo Cora, tu?"
"Susanna."
"Posso chiamarti Susie?"
Era un nome così dolce, così minuto, mi si addiceva.
"Certo... Tu mi trovi veramente carina?"
Cora fece lentamente di sì con la testa e sorrise. "Ma non sarò mai così bella come mia sorella."
"sciocchezze, voi due siete persone diverse, non puoi certo compararti." rispose "E poi..."
'anche tu potresti brillare come Thomas'.
Cora credeva che chiunque fosse entrato nella sua vita sarebbe cambiato anche solo di poco, era molto individualista, aveva molti amici e amanti per la scuola, molti progetti di persone che aveva fallito a completare, ma per me lei fu l'inizio della normalità. Mi aggrappavo a Cora nelle situazioni sociali che mi pesavano perché aveva sempre qualcosa da dire, come una sorta di parassita navigavo quel mondo di gente che i miei genitori o ignoravano o disprezzavano.
Una sera eravamo sul terrazzo della sua casa, quel giorno avevo conosciuto sua madre, che lavorava come procuratrice per clienti di classe media, e suo fratellino più piccolo, speravo come sempre di aver fatto una buona impressione ma sembrano molto felici di conoscermi, anche se forse erano solo educati.
Cora mi passó una cola in lattina e si sedette sulla sdraio accanto a me.
"Hey, non ti da fastidio che ho altri amici oltre te vero?" mi chiese ad'un certo punto.
Continuai a guardare le stelle senza mai voltarmi, se ne potevano vedere veramente poche.
"mh... No..."
"Sto provando a farti uscire dal tuo guscio ma tu non parli proprio con nessuno eh?"
Dopo tutto quel tempo che ero stata costretta a sopportare le persone proprio non mi andava di conoscerle di mia spontanea volontà, mi avrebbe fatto bene?
Mi voltai verso Cora, aveva un espressione beffarda in volto.
Improvvisamente mi sentii arrossire "Che c'è?" chiesi preoccupata.
"Non ti piace nessun ragazzo... O ragazza?"
"Ma che dici! Ho un fidanzato Cora." dissi posando la lattina, improvvisamente mi sentii degli occhi puntare addosso.
"Sì ma lo detesti." rispose cominciando a ridere. "non ti piace proprio nessuno?"
Bevvi un sorso e tornai a guardare le stelle, dovevo ammetterlo ma non volevo, perché era strano, fottutamente strano.
"Mi piace mia sorella." risposi bevendo immediatamente un'altro solo.
Non ci fu risposta, solo un silenzio tombale, posammo entrambi i nostri drink sul tavolino accanto. Dopo qualche minuto Cora disse "Capisco."
L'avevo forse inquietata ma era la purissima verità, ed'io difficilmente ero sincera con qualcuno.

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