Un naufrago

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Pochi metri mi separavano dalla spiaggia. Le piccole onde della battigia mi stavano lentamente portando verso la salvezza. Finalmente. Avevo bevuto e respirato troppa acqua per resistere ancora più di un giorno, ed i miei polmoni e il mio stomaco chiedevano pietà. Ma ora ero salvo.
Anche se ero un naufrago.
Non esiste un manuale di preparazione all'essere naufrago. Anche perché spesso si è naufraghi una volta sola nella vita, e quell'unica volta, per molti, è fatale. O almeno così era stata per i tutti i miei sfortunati compagni di viaggio.  Erano tutti spirati a bordo della misera zattera di salvataggio della nostra nave, o per inedia, o per il calore del sole, o per disidratazione.
Molti di essi si trovavano ancora sull'imbarcazione di salvataggio. Erano solo più corpi esanimi. Altri invece erano scivolati nell'immenso oceano blu, e avevano cominciato una lenta discesa verso il fondale. La loro ultima dimora.
Appena approdai sulla costa, mi distesi sulla spiaggia per parecchio tempo. Non ho idea di quante ore passarono, so soltanto che quando mi svegliai toccai la tasca destra di quella che un tempo era la mia divisa da marinaio, ora ridotta ad uno straccio, incrostato di sale marino. E trovai un libro. O quel che ne restava. Poche pagine, bagnate, ma erano abbastanza da leggere, sulla copertina, il titolo. Robinson Crusoe. "Perfetto" pensai "allora potrò salvarmi anche io". In realtà non credevo molto nella mia salvezza. Difatti mi ricordavo che, subito dopo il naufragio, Robinson ebbe la fortuna di ritrovare il relitto dell'imbarcazione e riprendere tutte le provviste e gli oggetti necessari alla sua sopravvivenza. Così mi misi a scrutare la superficie marina. Passarono ore, ma della nave nessuna traccia.
La terra in cui ero giunto aveva l'aria di essere completamente disabitata, e per di più era caratterizzata da un paesaggio brullo e semidesertico. Quindi non sarebbe stata una buona idea allontanarsi dalla costa, ma probabilmente nemmeno restare fermo mi avrebbe aiutato. Bisognava agire. Solo così sarei sopravvissuto.
Fu così che mi misi a camminare sulla costa per giorni e giorni, finché non sentii un fortissimo crampo allo stomaco. Avevo bisogno di cibo. Riuscii ad acciuffare qualche pesce e a mangiare qualche alga indigesta. Ancora adesso non so come feci a sopportare un gusto tanto orrendo. Comunque, ciò fu quanto mi bastò per tirare avanti per i successivi giorni.
Il primo segno di vita umana arrivò al quarto giorno del mio cammino. Intravidi da lontano un gruppo di cinque tende in cerchio, e iniziai ad interrogarmi in maniera ossessiva su chi potessero essere le anime di quel piccolo angolo di umanità in un così grande deserto di solitudine. Ma soprattutto, chi mai poteva abitare in un luogo tanto ostile e arido? Si trattava forse di selvaggi, tanto ruvidi e rozzi come il posto che li ospitava? Dovevo scoprirlo.
Mi avvicinai alle tende, e trovai cinque persone in presa a spaccare dei sassi con delle mazze. Sembravano degli esseri primitivi, ma in realtà erano soltanto degli esseri umani, un po' rozzi per l'appunto, ma pur sempre umani. Fui molto contento di non avere trovato dei cannibali, come invece era accaduto al mio sfortunato compagno di viaggi, Robinson. Questa invece sembrava gente normale, o almeno, abbastanza normale.
Stranamente, non sembrarono stupiti della mia presenza, anzi, mi riservarono un posto nelle loro tende senza che neppure io glielo avessi chiesto. Mi rivolsero poco la parola, né mi raccontarono il motivo della loro permanenza su quella costa desertica. Una delle poche frasi che pronunciarono fu: "la salvezza si trova indietro nel tempo".
Essendo improbabile la mia sopravvivenza al di fuori delle loro tende, visto il clima particolarmente inospitale del posto, decisi di restare lì. I miei ospiti risultavano certamente un po' inquietanti, ma sembravano brava gente, con una spiccata etica del lavoro.
Le giornate con loro trascorrevano lente e monotone. Tutte uguali, scandite dalle stesse e ripetitive attività lavorative. Spaccavano pietre, legna, scrivevano frasi incomprensibili su fogli dalla carta ruvida, mangiavano, dormivano, leggevano strani trattati.
Un mattino, svegliandomi, notai qualcosa di strano: una foltissima peluria era cresciuta sulla pelle dei miei ospiti durante la notte.
Per il resto, tutto proseguì normalmente, senza alcun cambiamento nella loro banale quotidianità.
Il giorno dopo, tuttavia, il loro aspetto continuò a mutare: vidi i lineamenti del loro volto divenire molto più rigidi, e cominciarono ad assomigliare sempre più a quelli dei primati. Rimasi sconvolto da tale vista, e soprattutto mi chiesi come fosse possibile che tale cambiamento potesse avvenire solo durante la notte, e mai sotto ai miei occhi. Riflettei a lungo su quanto vidi quel giorno. Ancora una volta, pensai che la scelta migliore fosse agire. Agire. Agire. Agire. Ripetei più volte questa parola nella mia mente, e infine presi una decisione: la notte successiva sarei scappato da lì, e avrei cercato la civiltà. La vera civiltà. Dovevo andarmene da quel maledetto accampamento di tende.
Un'ulteriore terribile scoperta rinforzò il mio intento: passai una mano sul mio viso e con grande stupore mi resi conto che io per primo, senza accorgermene, avevo mutato aspetto. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Fu un motivo in più per andarsene da quel posto. Certo, sarei tornato nella società con un aspetto diverso, orrendo, ma qualsiasi posto mi sembrava migliore di quello in cui stavo in quel momento.
Quando calarono le tenebre, arrivò il momento di agire. Mi accinsi a fuggire, silenziosamente.
Mi alzai di nascosto dal materasso e mi diressi fuori dalla tenda, singola, in cui mi avevano ospitato. Ma la mia fuga si interruppe quando sentii una voce, una delle loro. "Dobbiamo terminare la nostra regressione a bestie. Anche il nostro ospite avrà il privilegio di tornare allo stato di natura, e anche tutta l'umanità che ci circonda". Così disse uno di loro.
In quel momento trasalii. Tremai. Ma la paura lasciò ben presto il posto al coraggio, e fui pervaso da un profondo slancio filantropico: dovevo salvare l'umanità da quei pazzi.
Li vidi sgattaiolare velocemente fuori dalle tende, e decisi di seguirli. Qualsiasi cosa avrebbero fatto di strano, li avrei fermati, a costo anche del mio sacrificio.
Marciarono a passo veloce verso l'entroterra, e si fermarono in corrispondenza di uno specchio d'acqua.
Ad un tratto, iniziarono a maneggiare uno strano e complesso strumento dalla forma circolare, che aveva la parvenza di essere un enorme orologio con le lancette. Mai avrei immaginato che delle persone dell'apparenza così rozza potessero fabbricare un simile aggeggio. Era uno strumento enorme, che produceva un suono particolarmente acuto e fastidioso, accompagnato da un forte ticchettìo di lancette. Rimasi a studiare la situazione, e notai qualcosa di sconvolgente: appena misero in funzione quell'enorme orologio, iniziai a sentire sul mio corpo i segni della regressione di cui avevano parlato poco prima. Sentii il mio respiro assimilarsi a quello delle belve, la mia gola irrigidirsi, il mio corpo si ingrossò e emisi un forte ruggito. Ero diventato una vera belva selvatica, forse una sottospecie di leone, o di tigre famelica.
Loro, invece, erano regrediti allo stadio di scimpanzé, e si erano arrampicati sugli alberi, contenti della loro nuova condizione animalesca.
Ma in me c'era solo rabbia. Furore. Avrei voluto impedire tutto ciò, eppure non c'ero riuscito. In quel momento penso di aver emesso il ruggito più forte che si sia mai sentito sulla terra, e mi scagliai contro quello stupido marchingegno che aveva condannato me, insieme a tutta l'umanità, ad essere animale a vita.
Sentii un'esplosione, un fracasso, un frastuono, venti lampi provenienti dal cielo si scagliarono su di me e sul loro orologio, ma ne uscii fortunatamente indenne. Mi scansai in tempo.
Tornai ad essere umano, e anche i miei ospiti tornarono umani, non dopo essere svenuti alla vista della distruzione della loro terribile macchina del tempo.
Fuggii velocemente verso la spiaggia, dove stavano le loro tende. Entrai dentro per mettere tutto in soqquadro e distruggerle, così da fare loro un terribile dispetto, anche se non peggiore di quello che prima volevano fare a me.
Tra le loro coperte, trovai un trattato medievale sulla regressione da uomo a bestia.
Mi decisi a buttarlo in mare. La conoscenza aveva dato loro alla testa.
Fuggii lontano. Lontano. Verso la vera civiltà. Prima o poi avrei trovato dei veri esseri umani. Ne ero certo.

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⏰ Last updated: Jul 27, 2022 ⏰

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