Capitolo 2 - Psicologia, Britney e messaggi criptici

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Una volta arrivati all’università, mi rendo conto subito di una cosa: è troppo silenziosa.
Il cortile, solitamente un’esplosione di voci e passi affrettati, oggi sembra un set abbandonato. La luce del sole filtra pigra tra i rami degli alberi e si riflette sui grandi vetri dell’edificio centrale.
La risposta al mistero mi arriva con la puntualità di un pugno nello stomaco.

Siamo in ritardo. Di nuovo.

«Andrè, sbrigati!» lo richiamo, iniziando a correre verso l’ultima aula in fondo al corridoio. I miei passi rimbombano sul pavimento lucido, mentre le scarpe fanno eco in quella quiete surreale.

Rallento solo quando sono quasi arrivata, girandomi per controllare se mi sta seguendo.

Mi fermo di colpo.

Andrea è fermo qualche metro indietro, immerso in una delle sue performance sociali. Sta parlando con una ragazza minuta, capelli lisci e biondi come il grano. Indossa un cardigan rosa cipria sopra una camicia bianca e una borsa a tracolla che sembra uscita direttamente da un catalogo vintage.

«Ti giuro, gioia!» esclama lui, con gli occhi che brillano. «Assomigli tantissimo a Britney! E io me ne intendo, sisi.»
E mentre le accarezza i capelli con un’espressione estatica, io mi copro il viso con una mano.

Perché? Perché proprio oggi?

A volte mi domando seriamente come sia possibile che Andrea voglia diventare uno psicologo. O, peggio ancora, come faccia a essere il mio migliore amico.

«Andrè! Dai, siamo già in ritardo!» lo richiamo con più impeto.

Lui si congeda con un sorriso da diva e si avvicina correndo.

«Dovevi proprio bloccare quella povera ragazza?» gli domando mentre ci posizioniamo davanti alla porta chiusa dell’aula.

«Ma l’hai vista?» mi guarda come se fossi cieca. «Era identica a Brithey... al 60%!»

Sì, sessanta per cento.
La percentuale varia ogni volta, ma il riferimento è sempre quello: la sua ossessione per Britney Spears, nata esattamente un anno fa quando, durante il primo giorno di università, giurò di aver visto la reincarnazione perfetta della popstar.
Da allora ogni ragazza con capelli biondi e sguardo dolce viene valutata con una precisione degna di un appassionato di talent show.

«Sessanta per cento è comunque troppo, fidati.» gli rispondo.

Andrea ha i capelli neri sempre leggermente arruffati e gli occhi castani pieni di espressività. Ha quell’aria da eterno ragazzo gentile, ma anche un po’ teatrale, che si riflette in ogni suo gesto. Indossa una camicia azzurra con le maniche arrotolate e un paio di jeans scuri. Il suo zaino è coperto di spille pop e frasi ironiche.

Apro la porta cercando di non fare rumore. L’aula è già piena, il professore è immerso nella spiegazione e nessuno sembra curarsi troppo del nostro ingresso.
Io e Andrea troviamo due posti liberi a metà fila, tra una ragazza con l’evidenziatore fluorescente e un ragazzo che sonnecchia con la testa sul libro.

Sto per tirar fuori tutto l’occorrente quando...

Trilll.

Un suono squillante mi fa gelare il sangue.
È la mia suoneria.
La mia.

Mi affretto a silenziare il telefono e declinare la chiamata, scusandomi sottovoce col professore che, per fortuna, continua come se nulla fosse accaduto.

Andrea si china verso di me. «Tutto ok?»

Annuisco, ma l’espressione sul mio volto tradisce il mio fastidio.
Un numero sconosciuto. 09:30 di mattina.
Chi diamine chiama a quest’ora?

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