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Manuel sta seduto al bancone da venti minuti; lo sgabello di pelle è consumato in alcuni punti ed una gamba è più corta delle altre, quindi traballa leggermente sotto il peso del suo piede poggiato a metà.
Quella mattina ha oltrepassato la porta a vetri del Tom's Diner con l'intento di prendere un caffè prima di prendere il treno per andare non sa bene dove, probabilmente lontano da Roma, lontano da tutto, almeno per dodici ore.
Sta seduto da venti minuti all'angolo del bancone e fissa il vuoto davanti a sè, mentre aspetta che l'uomo di mezza età dietro al bancone gli versi il caffè americano che ha ordinato e che ormai si sarà freddato nella brocca di vetro.
"Arrivo", gli aveva borbottato quello venti minuti prima, ma da quel momento Manuel era diventato trasparente per lui.
Di sfuggita, il ragazzo incontra con gli occhi il suo riflesso nello specchio orizzontale che corre lungo il muro dietro al bancone. Il cappuccio della felpa tirato su non fa che accentuare le ombre sotto agli occhi, frutto di un sonno interrotto alle quattro e trenta del mattino.
Finalmente l'uomo si avvicina sfoggiando la brocca di vetro piena di caffè fino all'orlo. Indossa una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti ed ha un paio di baffi ispidi ingialliti dal fumo che lo fanno sembrare davvero vecchio.
Si avvicina ancora e Manuel sente l'olezzo di sigaretta che lo avvolge e nota anche la fede dorata al dito, quando quello comincia a riempirgli la tazza, ma si ferma a metà e va via.
Il ragazzo sbuffa guardando il livello basso di liquido nella tazza, peraltro evidentemente freddo, e sta per rivolgere al barista una debole protesta, quando sente il campanello della porta tintinnare allegro, perfetto ossimoro in quella giornata uggiosa e grigissima. Tanto grigia che Manuel crede di vedere in bianco e nero, quando si volta ad osservare la donna che è appena entrata sorridere proprio al barista distratto e scuotere energicamente l'ombrello fradicio di pioggia: allaga il pavimento, ma all'uomo non sembra importare.
Quello le sorride a sua volta e poggia la brocca con il caffè sul piano giallastro, prima di allargare le braccia e dire "È sempre bello vederti".
La ragazza avrà almeno quindici anni meno di lui, ma comunque si sporge oltre il bancone a baciargli le guance e non si lamenta affatto quando l'uomo fa scorrere la mano ben oltre il limite della schiena. Lei non ha la fede al dito smaltato di rosso e Manuel è abbastanza convinto che non siano sposati.
Mentre si scambiano un saluto con tanto di bacio a stampo, Manuel sbuffa e rivolge di nuovo lo sguardo al suo caffè freddo: anche la sua lamentela è sfumata nel dimenticatoio.
Quando i due cominciano a scambiarsi un bacio appassionato, Manuel sente un inspiegabile disagio arpionargli le viscere e fa finta di non vederli, anche se con la coda dell'occhio osserva il modo in cui l'uomo stringe la coscia della ragazza e, assurdamente, si domanda se non le stia facendo male, che lui non bacerebbe qualcuno così. O forse sì, ma solo se l'altro fosse d'accordo, che a volte gli viene davvero da stringergli le cosce, ma sono altri contesti.
Stringe le labbra e, sempre facendo finta di non vedere i due, si sporge a prendere la piccola caraffa col latte e se lo versa nella tazza sbeccata. Spera che almeno così il sapore del caffè freddo migliori.
Si volta poi verso il tavolo alla sua destra e afferra il giornale del giorno già spiegazzato.
C'è solo un'altra persona nel diner: un anziano con davanti un ristretto corretto -nonostante siano nemmeno le sei e trenta del mattino- seduto ad un piccolo tavolo poco distante e nemmeno lui sembra far caso al ragazzo, troppo impegnato a cercare chissà quale verità sul fondo del suo corretto.
Manuel apre il giornale a caso, spera di arrivare alla pagina umoristica, anche se con l'umore del giorno corrente non è sicuro che una stupida barzelletta satirica potrebbe farlo sorridere. Ci prova.
La pagina che gli si para davanti invece mostra la tragica notizia della morte di un noto attore per eccesso di alcol. Manuel non lo conosce, ma gli viene spontaneo voltarsi verso l'uomo col ristretto davanti: non conosce nemmeno lui e si accorge che gli importa poco di entrambi. Tuttavia, la foto rappresentativa di una bottiglia di gin mezza vuota riversa sull'asfalto gli ricorda un altro episodio di cui, invece, gli importa molto, quindi deglutisce l'angoscia e strizza gli occhi per scacciarne via il ricordo. Volta la pagina e trova l'oroscopo; prima di poter anche solo cercare il suo segno, così, tanto per impegnare gli occhi mentre butta giù quella brodaglia dal sapore non identificato, sente la nuca bruciare sotto lo sguardo intenso di qualcuno.
Manuel alza gli occhi sulla vetrata un po' sporca del diner e vede una donna intenta a scrutare l'interno del locale. Guarda lui? Lo vede? Sarebbe la prima, quel giorno.
Tuttavia, deve ricredersi subito, perché si accorge in pochi istanti che la donna ha sì, gli occhi puntati su di lui, ma sta in realtà guardando il suo stesso riflesso nella vetrata schermata dalle gocce di pioggia insistente, mentre si sistema la gonna del tailleur antracite sotto all'impermeabile beige.
Manuel fa finta di non notare come quel movimento abbia fatto spostare l'ombrello nero che quella tiene in bilico sulla testa e lei sembra non accorgersi della pioggia che, lentamente, le sta inumidendo i capelli, troppo concentrata a sistemare il bordo della gonna.
Manuel pensa che la pioggia sia fastidiosa, anche se a qualcuno piace un sacco e non sa spiegarsi il perché. Lui invece non fa che chiedersi quando smetterà, che non ha voglia di infradiciarsi la felpa in stazione.
Tuttavia, sa che continuerà a piovere per tutta la mattinata e, come a sancire la solennità di quel pensiero, le campane della chiesa vicina rintoccano le sei e trenta e Manuel le sente forte, come se gli rimbombassero tra le stanze affollate della mente.
Un pensiero gli si infila sottile da qualche parte in quella stessa mente: la voce di Simone non gli rimbomba in testa, la voce di Simone è graffiata al mattino e dolce alla sera. Quando la sente non rimbomba nulla, ma il petto gli si scalda come quando ha mal di gola e Anita gli prepara una tisana calda. Lo conforta e lo fa sentire a casa.
Come quando la sera prima avevano fatto mezzanotte su una coperta sgualcita accanto alla piscina vuota, smezzandosi una sigaretta e una nastrina -che sono finite e Simone lo incolpa sempre di questo-, prima che iniziasse a piovere. C'era Simone che gli recitava a memoria le poesie di Pavese e la sua voce gli scivolava dentro lasciando la mente sgombra, alleggerita di ogni pensiero, che non riguardasse la pelle nivea di Simone sotto la luce lunare e la sua voce calda.
Mentre guarda ora il fondo della sua tazza, in cui ancora galleggia il caffellatte intonso, Manuel ripensa anche alle labbra di Simone e a come stesse dormendo tranquillo, quando lui si era alzato ed era sgattaiolato via dalla stanza e dalla brandina che non aveva usato, perché aveva dormito abbracciato all'altro. Il peso che aveva sentito sullo stomaco lo aveva schiacciato e si era infilato la felpa della sera prima, per poi correre, senza sapere bene dove. Aveva deciso che avrebbe acquistato il primo biglietto disponibile, che doveva solo allontanarsi un po' perché era tutto troppo.
Mentre ripensa alla bocca di Simone che gli sorride e al suo sapore dolce, Manuel non sente nessun peso allo stomaco.
Nessuno ha ancora fatto caso a lui, nel diner, nessuno lo guarda. Simone lo guarda sempre, invece; e non solo lo guarda, lui lo vede.
Stringe tra loro le labbra, mentre con un'occhiata nota di sfuggita l'orologio: è ora di prendere il treno.
Butta giù il caffè che è anche peggio di quanto avesse immaginato e il barista nemmeno nota i soldi che lascia accanto alla tazza, prima di alzarsi ed uscire sotto la pioggia ancora battente. La donna che si sistemava la gonna poco prima sta correndo anche lei verso la stazione mentre cerca di sistemare invano i capelli bagnati.
Manuel si calca il cappuccio sulla testa e si avvia nella stessa direzione.

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