Capitolo 1 Lesbica

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Era un'isola.
Semplicemente un'isola.
Era stata un abitante, una poetessa.
Era una scuola di fanciulle.
Lesbo, l'isola greca, da cui proviene la parola Lesbica.
Gli uomini hanno sporcato anche un'isola, rendendola un'eccezione impensabile.
Lesbica.
Questo era Lou, una lesbica di appena diciotto anni.
Bandita dalla sua casa, cacciata e scappata dalle occhiate accusatorie si era trasferita in una casetta in Olanda, dalla Francia.
Lou Monreau era una ragazza di piccola staffa, con i capelli biondi e mossi, tagliati a caschetto.
Il viso ovale e dolce, era illuminato dai suoi occhi color nocciola piccoli, un naso ossuto, labbra fini e mento lieve.
I suoi piccoli fianchi e la sua magrezza, erano coperti dai suoi vestiti rocchettari, dal giacchetto di jeans strappato, dai pantaloni baggy e scarpe da ginnastica basse, di una marca alla moda come le Vans.
Era piccola, ironica, adirata col mondo e acuta. Non solo non era malata, non solo non era demotivata: ma era ferma e decisa.
Aveva accettato il suo orientamento.
Era fuggita dalla vergogna ed era giunta in un vicino paradiso disperso, dove lei era un estranea, nuova.
E voleva rimanere tale a lungo.
Un ombra.
Non era una perversa, una deviata, una delinquente; lei con le sigarette in bocca, lei che giocava a braccio di ferro con i suoi amici, lei, che ammirava le curve delle ragazze e rinnegava le forme degli uomini, era di più di un semplice mostro.
Era donna e si sentiva donna, ma amava le donne.
Era diversa e si piaceva.

Entrò nell'edificio.
-Salve, sono Lou Monreau, ho preso una stanza. Disse giunta nella hall, accogliente, dove dietro un bancone, una donna era intenta a leggere.
-Nome? Chiese quella, poco interessata senza staccare gli occhi dalla rivista.
-Lou Monraeu. Ripeté la ragazza leggermente irritata.
La donna prese un registro e allungò delle chiavi alla ragazza.
Quella salì le scale sbuffando.
Arrivò al quinto piano, prese un corridoio e si fermò alla stanza numero 34.
La sua stanza.
Entrò nell'appartamento, nella cittadina di Mavr, vicino al centro, e rimase sbalordita.
La stanza era accogliente, il salotto quadrato, dipinto di un tenue arancio, con dei quadri impressionistici alle pareti, arredato con due semplici divani, posti sopra un tappeto persiano raso.
Su un mobile di vetro era appoggiato un televisore, affiancato da un telecomando enorme; poi c'erano il lampadario moderno sul soffitto piatto, la finestra di vetro appena lucidato nella parete opposta all'entrata e una porta che conduceva in corridoio. Ma per quanto tutto sembrasse accogliente e luminoso, Lou non stava guardando il salotto sulla sua destra, ma piuttosto l'angolo cottura, sulla sinistra; un lungo completamemte giallo, con alcuni cassetti di metallo, dove tre individui, sembrava stessero cucinando qualcosa.
Una ragazza stava evitando categoricamente la scenata di un ragazzo.
Ma quest'ultimo era molto strano, con i suoi capelli corti, ingrovigliato in un cespuglio comodo e opaco, il viso tondo e una fronte liscia; i lineamenti alti erano fini e leggeri, eppure conferivano una sembianza mascolina ed elegante, due occhi marroni color nocciola si stagliavano fra la pelle diafana del nordico.
Il suo stile semplice e casual accentuava il suo carattere alla mano.
Eppure c'era qualcosa di enigmatico in lui, di femminile.
Lou rimase a guardare i due ragazzi, poi l'attenzione le cadde su un ragazzo affascinante, di pochi anni più di lei; aveva un aurea burbera ma si vedeva che era una persona solare, a primo impatto pareva anche laconico.
Era vestito di tutto punto, senza una piega, con una camicia azzurra ed un papillon a puà, bianco e nero, completavano l'opera il pantalone lungo nero elegante e due paia di scarpa della Clark celesti da uomo.
Melker, lo svedese, aveva dei capelli di color castano chiaro, fini, a forma di ciuffo elegante eppure sbarazzino.
I suoi occhi chiari la notarono per primi e subito gli sorrisero.
-Benvenuta, nella nostra piccola casa. La accolse con un sorriso che rimaneva tranquillità e affetto, il ragazzo in inglese.
Subito Edit, la ragazza ungherese dai lunghi capelli biondi cenere, la guardò poggiando un mestolo di legno sul ripiano, imbrattando si sugo il piano.
-Ciao, benvenuta in questa gabbia di pazzi. Le disse con un tono non troppo vivace ma neanche grave, fece un giro intorno a lei come per analizzarla poi esclamò.
-Un altro fenomeno da baraccone. Hai fame? Se vuoi Melker ti accompagna nella stanza e poi mangiamo.
Zecca apparecchia. Ordinò con uno schiocco di dita al ragazzo, chiaramente irritato; così era fatta Edit, era una ragazza chiara e vivace, annegata nella sofferenza della vita e come arma il suo narcisismo sarcastico e invidiato.
Lou pensò di trovarsi in uno zoo, trovava che fossero pazzi quei tre asini divergenti uniti da uno scherzo del destino.
La prima impressione fu a dir poco positiva e incoraggiante; ma senza fulminare Edit, le sorrise, in modo forzato e seguì il ragazzo.
-Come ti chiami? Le chiese subito incuriosito.
-Lou Moreau. Si presentò lei in un sussurro.
Poi si schiarì la voce come per giustificare la sua insicurezza davanti ad una persona così buona.
La verità era che Lou sapeva trattare con le persone acide, meschine e egoiste, in tutta la sua vita passata aveva dovuto convivere con persone restie, bastava legarli e riccattarli.
Ma le persone buone, quelle pacate e vulnerabili, per lei erano troppo dolorose, era come se le rinfacciassero il fatto di poter essere felice perché credevano in loro stessi.
Come se vedessero il bicchiere mezzo pieno, l'arcobaleno dopo la tempesta; Melker era una di quelle persone su cui fare sempre leva e confidarsi, una persona troppo buona per il mondo ed indispensabile per l'umanità.
-Come mai in Olanda? Continuò lui.
-Volevo cambiare aria.
La accompagnò per il corridoio e le mostrò la sua stanza, seconda porta a destra.
-Il bagno è tutto tuo, condividiamo solo il salotto e la cucina, ma credimi ti sembreranno anche troppo.
Disse divertito.
-Qual è il problema? Chiese Lou confusa, facendo scontrare le sue sopracciglia.
-Edit è assurda devi saperlo- disse mentre si appoggiava sullo stipite, con le braccia incrociate, a guardarla sistemare la valigia in un angolo- per quanto riguarda Jo, lui è più che altro stravagante. Disse indeciso su come aggettivare il suo amico di sesso opposto.
-Più di noi? Chiese Lou con un sorriso sghembo.
-Molto.
-È pronto! Annunciò in quel momento Edit, che dalla cucina armeggiava con le posate e stuzzicava, come al suo solito, il povero Jo.
-Zecca muoviti. Lo canzonò raggiante, mentre posava l'acqua sul tavolo
-Non chiamarmi zecca! Sbraitò il ragazzo.
-D'accordo zecca.
Era una guerra persa, la piccola testarda, era tanto spinta quanto acuta e acida; gli aveva affibbiato il soprannome zecca, fin da quando aveva messo piede in quel appartamento.
Eppure, anche se non l'avrebbe mai ammesso, adorava la sua presenza perché rendeva il mondo chiaro e vero, e non sgargiante come Melker.
Lou seguì il ragazzo per il corridoio arancione, dritto in cucina; dove tutti e quattro presero posto e mangiarono tacchino e carote.

Ciao, questa nuova mia storia è stata scritta per una mia amica, spero vi piaccia e che continuiate a leggerla, poiché simpatica e ricorrente.

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