Samantha Ambrose. Quando mia madre per la prima volta pronunciò quel nome di certo non mi sarei aspettato di sentirlo così tante volte, e di affezionarmi tanto ad esso.
Avevo diciassette anni, ed ero uno dei classici ragazzi superficiali che se la spassano. Non andavo bene a scuola, e sinceramente non me ne importava più di tanto. Andavo avanti col presupposto che diciassette anni li hai una volta sola, quindi devi goderteli e divertirti.
Diciassette, manca così poco ad essere adulto, e nello stesso tempo sei ancora un ragazzo.
Nell'ultimo periodo stavo cercando di recuperare un po' tutte le materie, visto che la fine dell'anno era vicina, e che non volevo essere bocciato. Spassarmela sì, ma sprecare un anno della mia vita no. Ero arrivato in quasi tutte alla sufficienza, e se non ero sufficiente, ci ero vicino. L'unico mio ostacolo era la matematica. La odiavo.
A differenza mia, lei la amava. Diceva che risolvere i quesiti di aritmetica poteva aiutare a risolvere i problemi di ogni giorno. Ma non vedo come con una disequazione di secondo grado potessi guadagnare soldi. Era molto brava, e non si capacitava del fatto che io non ci riuscissi.
Pure il mio migliore amico Luke era bravo in questa materia, e sua madre era un'insegnate di matematica. Sembrava che l'unico incapace fossi io. Mia madre non voleva che mi facessi aiutare da loro perché mi sarei distratto e non avrei capito niente. Pensava invece che questa Samantha Ambrose, figlia di un suo carissimo amico, sarebbe stata perfetta per me, e che con lei avrei capito anche l'impossibile.
La aspettavo in biblioteca, seduto in un tavolo al centro. Giocherellavo con la penna, mentre controllavo se questa Samantha arrivasse. Ci stava mettendo decisamente troppo tempo. Lei non era mai stata puntuale. Arrivava o in ritardo o in estremo anticipo. Quando arrivava tardi usava come scusa il fatto che voleva fare un'entrata d'effetto, e che le piaceva essere aspettata.
Sospirai, lanciando un'altra occhiata all'orologio, mentre tenevo il ritmo con la penna. Subito vidi la ragazza di qualche sera fa, quella che mi aveva fatto così tanto arrabbiare.
Quando lei incrociò il mio sguardo, fece una smorfia e si avvicinò cauta al mio tavolo.
"Ti prego dimmi che non sei Ashton Irwin" disse e sbuffai passandomi le dita tra i capelli.
"Sappi Samantha Ambrose che è un dispiacere più per me che per te" replicai scocciato.
Non volevo più rivedere la ragazza che tanto avevo odiato, e invece eccola qui, che cerca di spiegarmi matematica.
Adesso mi viene quasi da ridere. I primi giorni odiavo farmi spiegare le cose da lei, ma pian piano non dico che ho iniziato a capire, ma mi faceva piacere vederla. Mi perdevo quando iniziava a parlarmi delle x e delle y, ma non glielo facevo notare, la ascoltavo incantato. Certo, le prime lezioni le ho odiate così tanto, volevo seriamente alzarmi e andarmene lasciando lei e la sua testardaggine lì.
Non ho mai conosciuto una ragazza più cocciuta di lei. Se aveva un'idea, un'opinione, se la portava dietro fino alla tomba. Non lasciava che nessuno potesse farle cambiare idea, cosa impossibile inoltre. Amava comandare, dire alle persone cosa fare. Le piaceva dirigere le cose, era una ragazza estremamente organizzata. Aveva stabilito un programma, le cose che io avrei dovuto studiare, i risultati avrei dovuto ottenere, eccetera. Qualche volta era anche piuttosto fastidiosa.
Mi ricordo che alla prima lezione aveva iniziato a spiegarmi le equazioni, cosa che per lei era una cavolata ma che per me era più che il contrario. Mi ricordo come non riuscissi a fare uno degli ultimi passaggi e che lei stava impazzendo.
"Ashton, devi portare tutte le x al primo membro, risolvere i calcoli da entrambe le parti e poi dividere il secondo membro per il coefficiente della x!"
E io continuavo a guardare il foglio, non capendo un'accidenti di quello che mi stava dicendo. Vedevo solo lettere e numeri un po' sparsi ovunque mentre lei mi ripeteva all'infinito i passaggi da fare. Ti giuro che mi viene da ridere, era una cosa talmente facile, e io ci avevo passato così tanto tempo sopra. Non mi impegnavo neanche, aspettavo che la penna scrivesse da sola, e che il risultato comparisse con un puff, così da potermene uscire da quella situazione.
Non era brava a spiegare, pretendeva troppo da uno schifo come me. In generale pretendeva sempre troppo, e non le potevo dare così tanto. Voleva che non facessi lo stronzo, voleva che non fumassi. Voleva che non facessi sciocchezze che mi avrebbero segnato a vita. Voleva il bene per me, ma io non l'ho mai capito. Ero troppo giovane, credevo che lei fosse solo una stronza che sparava minchiate.
Suo papà era Dean Ambrose, brav'uomo con una bella famiglia benestante. Samantha era stata abituata alla perfezione, e io ero solo un'adolescente di merda. Il bello è che non me ne rendevo conto, mi credevo chissà chi solo perché ero amico dei più popolari della mia scuola. Mi montavo perché le ragazze avrebbero fatto di tutto per essere la fidanzata di Ashton Irwin. Dio se ero stupido.
A lei non interessava che fossi popolare e che praticamente le ragazze avrebbero fatto la fila se avessi messo un cartello con scritto "baci gratis."
Frequentavamo scuole diverse, quindi in qualche modo io mi facevo la mia vita, lei la sua, e se c'era da stare insieme, stavamo insieme. Non so se il fatto che non andassimo nella stessa scuola abbia contribuito, oppure sia stato uno dei fattori per cui è finita. In un certo senso ci ha favorito perché stare troppo insieme alla fine stufa, ma dall'altra parte non sapevo se mi tradisse con qualche suo compagno e se qualcuno ci provava con lei. Non potevo proteggerla.
Facevo finta che non mi interessasse del fatto che lei avesse amici maschi e che uscisse con loro, ma sotto sotto morivo dentro. Raramente le ho fatto scenate di gelosia, avevo un'attitudine da stronzo, non potevo far trasparire sentimenti, e questo forse ci ha rovinato.
Uno dei suoi amici che più non sopportavo era un certo Michael dai capelli colorati. Faceva continuamente commenti sul suo culo o sul suo corpo. Diceva che se la voleva scopare, e Samantha rideva come se nulla fosse. Lei diceva che erano amici da molto, e che si sono sempre parlati in quel modo. Che lui era fatto così e che infondo non lo pensava veramente. Io quasi sfollavo. Un ragazzo normale dice sempre quello che pensa, indipendentemente da quanto zozza la cosa sia. Lei era innocente, ma nello stesso tempo, non arrossiva se si parlava di sesso o di quelle tematiche.
Ritornando a noi, la matematica era davvero noiosa, la odiavo, ma diciamo che devo ringraziarla in un certo senso visto che grazie ad essa ho conosciuto meglio Samantha.
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Sì, Dean Ambrose é il wrestler, e sí lo amo, bye
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Traffic Lights.||Ashton Irwin
FanficEra l'unica cosa che mi era rimasta, e se ne era andata via.