Prologo

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Frederick

Ho dieci anni.

Mi sono da poco rotto un polso nell'impacciato tentativo di giocare a calcio con i miei coetanei nel cortile della scuola.

Mi hanno operato e il dolore non mi dà pace. Mi hanno messo un tutore che mi fa sudare e prudere la pelle. Mi hanno avvertito che in futuro dovrò fare ancora più attenzione di prima.

Sono ancora un bambino ma ricordo perfettamente il giorno in cui, a otto anni, mia madre mi portò dal pediatria e si sentì dire «Frederick è nato vecchio». Io ero lì con loro, eppure parlavano di me come se non ci fossi.

A quest'età soffro già d'asma e la mia collezione di allergie è interminabile. Sono miope e astigmatico. Sfoggio un sistema immunitario quasi inesistente e mi ammalo alla minima folata di vento. Come se non bastasse, dopo essermi rotto il polso, abbiamo scoperto che ho ossa deboli e fragili, e che probabilmente questo episodio avrà delle ripercussioni sulla mia vita futura.

Non posso giocare con gli altri bambini.
Non posso correre.
Non posso andare a nuotare al fiume con mio fratello nelle giornate estive.
Non posso andare con lui sullo slittino in quelle invernali.
Devo vivere sotto una cupola di vetro e pregare che con gli anni le cose migliorino.

Sto ciondolando in silenzio nei corridoi della nostra villa di famiglia ai margini di Edimburgo. Ci siamo solo io, la tata e i domestici.

Mio fratello e mia madre sono in vacanza a Bath.
Mio padre è da qualche parte in Inghilterra, impegnato con la promozione del suo nuovo libro.
È uno scrittore, uno dei più famosi del paese, ma la mamma mi ha proibito di leggere i suoi libri; dice che sono ancora troppo piccolo per capirli.

Eppure, il dottore ha detto che sono vecchio. E allora perché non dovrei avere il permesso?

Mi fermo nel mezzo del corridoio e tendo l'orecchio. Non c'è traccia della tata in giro; dev'essere in camera sua a fare il pisolino pomeridiano.

La mamma non lo sa, ma io non ho mai fatto la spia a riguardo, perché i momenti in cui lei dorme sono gli unici in cui posso fare quello che voglio.

Velocemente mi dirigo verso lo studio di mio padre e pesco la chiave dal vaso in cui la nasconde sempre, inutilmente dato che sappiamo tutti dove si trova.

Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, la serratura scatta e io riesco a entrare.

Lo studio è la stanza più scura e buia della casa. Mi piace, in un certo senso, ma mi fa anche un po' paura.

Faticando leggermente, scosto le pesanti tende rosse e lascio entrare la luce; è tutto più difficile dato che posso usare solo una mano.

Mi arrampico sulla poltrona in pelle e sento nell'aria l'odore di mio padre: carta e sigari.

Sulla scrivania ci sono posate alcune copie del suo nuovo libro. Mi allungo e ne tiro una verso di me.

La copertina è molto semplice: è tutta nera e c'è una casa con le finestre gialle disegnata sopra.

Il titolo è Nel buio della notte.

Lo sfoglio fino a quando non arrivo alla prima pagina e comincio a leggere.

Sono molto bravo per la mia età. Leggo libri da adulti e alcune maestre mi hanno definito un prodigio.

Eppure, non capisco cosa ci sia di tanto speciale in quello che faccio. Tutti i bambini sanno leggere, io lo faccio semplicemente più di loro, ma solo perché non posso uscire fuori a giocare.

Mi congratulo con me stesso quando capisco quasi tutte le parole delle prime pagine. Tra un paragrafo e l'altro, faccio una smorfia di dolore e mi gratto la pelle arrossata ai margini del tutore.

Poi, arrivato a metà del capitolo, qualcosa cambia.

Cominciano ad apparire schizzi di sangue, urla, coltelli affilati e parole tremende sussurrate all'orecchio.

Sento brividi di terrore scorrere su per la mia schiena e le mie labbra tremare come se fossi sul punto di piangere. Il respiro comincia a grattarmi la gola e il petto si fa pesante, segno che avrò presto bisogno del mio inalatore.

Ma non riesco a staccarmi dalle pagine, neanche quando inizio a rantolare con gli occhi spalancati.

«Frederick!».

Neppure l'urlo della tata è in grado di distrarmi da quello che sto leggendo. Non fino a quando piomba al mio fianco e mi solleva a forza dalla poltrona, tastando le mie tasche alla ricerca dell'inalatore.

Me lo fa scivolare tra le labbra e mi costringe a prendere un bel respiro, ma davanti agli occhi riesco ancora a vedere quelle parole così crude e spaventose.

«Frederick, non devi leggere i libri del Signor Scott, non sono fatti per i bambini come te» mi rimprovera la tata mentre mi tiene stretto a sé e mi massaggia la schiena.

Ma lei non sa che io sono già grande, o che forse lo sono diventato leggendo quelle pagine.

Ora so cosa farò quando crescerò.

Sarò uno scrittore, proprio come mio padre.

Anzi, sarò ancora meglio di lui.

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