Manuel sta fissando da quindici minuti buoni il ragazzo sul palco, ancora seduto davanti al pianoforte. Lo studia con calma ponderata, non da lui: fa scorrere lo sguardo sul corpo, una carezza delicata che vaga senza meta sulla pelle sensibile, cercando d'imprimersi nella mente quell'immagine che lo lascia un po' senza parole. Tuttavia, il ragazzo non sembra essersi accorto di quelle attenzioni.
Manuel lo conosce. È Simone, il figlio di Dante - il suo professore di filosofia del liceo, nonché l'unico ex compagno di sua madre con cui sia riuscito a stringere un rapporto confidenziale, miracolosamente rimasto in piedi dopo la rottura dei due.
Simone, invece, è tutta un'altra storia.
Sono stati compagni di classe per tre anni disastrosi, durante i quali non hanno mai sprecato l'occasione di sbandierare ai quattro venti il disprezzo reciproco: poiché troppo diversi per tollerare la sola esistenza dell'altro, ogni scusa era buona per mettersi le mani addosso. L'odio viscerale che Manuel provava nei confronti di Simone, crede di non averlo mai rivolto a nessun altro. E crede anche che l'estrema intolleranza nei confronti dell'altro fosse l'unica cosa che li accomunasse.
Dopo la fine della quinta superiore hanno completamente perso i rapporti. Nelle uniche occasioni in cui potrebbero ancora incrociarsi, quando Dante chiede a Manuel di andare a trovarlo, per farsi raccontare come procedono gli studi, Simone si premura sempre di chiudersi in camera. A detta di entrambi, evitare ogni forma di contatto ha portato ad un grosso miglioramento delle loro vite.
Perciò, nonostante sia ormai ben addestrato alle stranezze della vita, Manuel non si aspettava d'incontralo di nuovo. Non si aspettava di rivederlo sul palco del locale in cui passa i suoi venerdì sera solitari, impegnato a suonare un brano di cui non ricorda neanche il titolo. Non si aspettava di rimanere incantato a contemplare la sua figura elegante, come un ammiratore ch'elargisce all'artista sguardi adoranti, ma lontani e silenziosi.
Se lo ricordava diverso, Simone.
A scuola si vestiva come un vecchio, alternando maglioni dalle fantasie discutibili a camicie bianche abbottonate fino al collo, che Manuel non perdeva occasione di prendere in giro, divertendosi ad osservare la sua reazione indispettita. I gioielli non facevano per lui, né tantomeno i buchi sulla pelle - c'è stato un periodo, durante il quarto anno, in cui si era diffusa una vera e propria mania per i piercing, tra i ragazzi, ma Simone non si è mai lasciato contagiare.
Anche adesso il suo torso è fasciato da una camicia, ma questa è viola e larga e aperta fino al terzo bottone, lasciando il petto liscio a fare bella mostra di sé. Le dita affusolate, invece, paiono più lunghe, ornate dagli anelli argentati. Un cerchio metallico crea un punto luce sul lobo sinistro.
Tuttavia, ciò che lascia Manuel più interdetto è il sorriso smaliziato che tira verso l'alto un solo lato delle sue labbra e che lascia scoperti i denti bianchi, offrendo una perfetta visuale di come sfiorino delicatamente il labbro inferiore. Anche il ragazzo con cui sta parlando ne pare affascinato.
Simone è cambiato drasticamente dai tempi del liceo e Manuel, con questa informazione, non sa che farci.
O almeno non lo sa finché Simone non si alza per recuperare il tabacco dalla tasca sul retro dei pantaloni. Finché, quando la sigaretta è pronta, non fa scivolare la lingua fuori dalla bocca per incollare la cartina.
Il cervello di Manuel smette di funzionare. Ha raggiunto e superato il punto di non ritorno. Ed ancora non ha nemmeno sentito la sua voce.
Mentre si porta la sigaretta alle labbra, per accenderla ed assaporare la prima boccata di fumo, Simone sposta lo sguardo dal suo interlocutore, ispezionando il piccolo stuolo di persone che si disperde sotto il palco, fino ad incrociare i suoi occhi. Resta bloccato a guardarlo con la fronte corrugata perché forse non l'ha riconosciuto: forse si chiede chi sia questo sconosciuto che lo fissa insistentemente - Manuel si rende conto di poter essere inquietante, da un punto di vista esterno.