2- Affezioni

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Capitolo II

"La paura è temporanea, il rimpianto per sempre."

(Autore Sconosciuto).

...

Mentre percorrevo il corridoio adiacente all'ala delle camere cercai di sbollire la rabbia, di far gocciolare lungo la mia persona tutto ciò che era successo poco prima.

Avevo bisogno di calma e concentrazione, e sopratutto di lasciare il nervosismo lontano.

Mi concentrai sul suono dei miei passi sul marmo, sui fasci di luce che, di tanto in tanto, stralciavano i vetri delle finestre che passavo. Sull'aria fresca, invernale, che sul maniero si abbatteva sempre meravigliosamente.

Villa Malfoy, sebbene fosse ora ricca di persone, riusciva sempre ad ovattare il mondo lontano. Era come se, in qualunque luogo ti trovavi, indipendente da quanti abitanti ci vivessero, ti isolava, lasciandoti con te e i tuoi pensieri.

Era una cosa immensamente confortante per chi voleva trovare un po' di riposo, ma tremendamente logorante per chi i propri pensieri non li voleva sentire...

In quel caso mi era andata bene, sotto c'erano gli altri, e tutto avrei voluto sentire in quel momento tranne le loro voci.

Non appena arrivai al lato opposto dell'ala nord svoltai l'angolo, e mi avvicinai lentamente a una delle tante porte di legno. Quella al centro, ricordo che fosse al centro rispetto alle altre.

Mi diedi una veloce sistemata alla camicia e al colletto non appena ci fui davanti, mi sistemai i capelli e bussai.

Nessuna risposta.

Mi salii il panico per un momento, poi riprovai.

«Lucius» chiamai, composto. «Sono Scorpius. Lo so che ti stai nascondendo, ma...questi controlli sono necessari, lo sai».

Ancora niente dall'altro capo. Sospirai.

Non poteva essere sceso, sapevo che il suo buonsenso non gli avrebbe permesso di muoversi troppo, specialmente di questi climi.

Era nella stanza di certo...ma allora perché non rispondeva?

Mi avvicinai meglio alla porta, e poggiai una mano sul manico, prima di sussurrare, con voce flebile: «Dai, non farmi questo. Almeno...almeno rispondimi».

Strinsi gli occhi, e poi serrai il manico nel palmo. Dovevo entrare, dovevo...controllare...

«Allora...entro» avvertii solo, girando la maniglia.

Dio, fa' che non sia capitato di nuovo, ti prego...

Rimasi con gli occhi chiusi anche quando sentii la porta cigolare nell'aprirsi. Perché ero un codardo, specialmente su quelle cose.

E li rimasi ancora chiusi quando la sentii cigolare nuovamente nel chiuderla. Perché troppe volte ero arrivato dopo...

Non so dopo quanto tempo trovai la forza di riaprire le palpebre, ma ricordo perfettamente che fu come uno strappo di un cerotto, veloce e repentino. Un "meglio ora che mai".

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