T.w. cannibalismo
Non c'è niente di grafico ma mi sembrava giusto avvertirvi-
Di solito, i clienti iniziano ad arrivare alle nove di sera. Non troppo presto, quindi, anche se un assiduo frequentatore del De chair et d'os potrebbe facilmente individuare altri clienti abituali in giro per il quartiere nelle ore precedenti, come se la prospettiva di scendere le scalette di metallo fino al ristorante sia così eccitante che abbiano bisogno di stare nelle sue immediate vicinanze. Si riconoscono a vicenda, di solito. Non è difficile. Basta un luccichio particolare nello sguardo, una mano ingioiellata dotata di unghie un po' troppo lunghe e appuntite, un canino scintillante che scompare subito sotto labbra dipinte, una faccia così attraente e priva di imperfezioni da farti credere che non sia veramente una faccia. Si sorridono tra le luci a neon, come due cospiratori che condividono lo stesso delizioso segreto, poi fanno finta di niente, uno entra in un cinema, l'altro in un caffé, dove aspetteranno l'ora adatta a bussare sulla porta rossa. Non si salutano mai. La prima regola è non attirare l'attenzione in pubblico. Tranne che al De chair et d'os, ovviamente.
Al ristorante, nel frattempo, si fanno i preparativi. Claude cammina con passo autorevole tra cuochi, camerieri e sguatteri, mentre si apparecchiano i tavoli con tovaglie inamidate, si lucida ogni stoviglia alla perfezione e la carne viene tirata fuori dalle ghiacciaie, scongelata e affettata. Corregge ogni errore, ogni minima imprecisione con un cenno. Non ha neanche bisogno di parlare, ormai, il personale sa quello che lui vuole. Il ristorante ama coccolare i suoi clienti, e anche se non lo amasse dovrebbe farlo a prescindere, perché i clienti sono quelli che sono e chissà di cosa sarebbero capaci. Tutti hanno un bel caratterino là dentro, ma nessuno vuole rovinare un'occasione così speciale come una cena al De chair et d'os. Sarebbe uno spreco.
Claude detesta gli sprechi, ed è quello che l'estimato proprietario pensa mentre si appunta un giglio rosso sangue all'occhiello. Non è cresciuto nel lusso come molti dei suoi clienti. Non si sprecava mai niente, nelle remota regione del Canada da dove veniva. Aveva sempre apprezzato gli indigeni. Lo rispettavano più di quanto i bianchi avessero mai fatto. Stupidi francesi. Quindi, nonostante fossero molto lontani i giorni in cui cacciava nelle foreste canadesi, Claude non aveva dimenticato quanto fosse difficile e umiliante. La Fame andava combattuta, i suoi simili andavano aiutati, e niente andava sprecato. Per questo il ristorante esisteva. Claude si sistema le code del tuxedo e sorride, per quanto sorriso si possa chiamare.
"Mary, inizia a mettere la carne sul fuoco!" Grida, ma senza abbandonare il suo portamento composto. "Avremo un cliente importante questa settimana, ricordatevi!"
Poi iniziano a bussare, uno dopo l'altro. Il ristorante non si può vedere dalla strada: occorre attraversare un vicolo accanto a una drogheria ed entrare nell'edificio attraverso una finestra coperta da assi. Un tempo, prima che l'alcol fosse messo fuorilegge, era una distilleria. Probabilmente i proprietari si sono solo trasferiti in un posto un po' meno sospetto, e vendono ancora. Una volta all'interno, bisogna trovare una piccola porta color rosso ciliegia, e bussare tre volte. Solo allora bisogna dire la parola d'ordine: Tieste. A quel punto la porta si apre senza il minimo rumore, e attraverso una scala a chiocciola in ferro battuto si arriva al seminterrato.
Il profumo delle rose collocate ai lati del corridoio guida i clienti fino alla grande insegna di neon rossi che dichiara il nome del ristorante. Accanto a questa, un arco di pietra porta al salone. Dopo il buio del corridoio, non c'è che da rimanere abbagliati nella luce del ristorante. Ci sono candelabri d'argento su ogni tavolo, e lampade di vetro dalle forme astratte e misteriose diffondono una luce bianca e cruda sui commensali. Le pareti sono nascoste da lunghi drappi di velluto, da dietro i quali a ogni minuto spuntano fuori camerieri nelle loro uniformi color vino, senza un'espressione sul viso, reggendo vassoi scintillanti con un portamento perfetto; nessuno ha ancora capito dove si trovi la porta della cucina. Tutto all'interno del ristorante è rosso. C'è il rosso chiaro, quasi rosa, dei tovaglioli, quello cupo dei drappi alle pareti, quello acceso e vibrante dei tasselli lucidi sul pavimento. Sembra di essere nell'umida bocca di un animale.
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diario di una ladra di fiori
Short StoryMi piace strappare idee al mondo come se fossero crochi, narcisi e tulipani da giardini abbandonati. Li getto alla rinfusa nel mio cestino e poi vedo cosa ne esce fuori. Non c'è un filo conduttore tra i vari capitoli di questo libro. Non cercatelo...