L'aria di quel freddo inverno gli scheggiava la faccia.
Del sole si potevano scorgere solo alcuni flebili raggi all'orizzonte, la cui intensità risultava a dir poco banale. Il vento si faceva minaccioso, la temperatura scendeva rapida. Doveva fare in fretta, eppure non si era imbattuto nemmeno nell'ombra di uno scoiattolo da quando era uscito di casa per andare a procurarsi un pasto decente per la cena. Scovare una lepre in fuga sarebbe stato un miraggio.
I passi di Alan rispondevano con un leggero crepitio di neve, che si compattava sotto i suoi piedi. I suoi sensi erano pronti a cogliere ogni singolo stimolo: se la foresta avesse parlato, le sue orecchie avrebbero accolto quelle parole con attenzione.
Sempre che trovi qualcosa, pensò.
Conosceva quel vasto luogo a memoria ormai. Avrebbe potuto inoltrarsi tra la fitta coltre di alberi perfino da bendato che sarebbe tornato a casa comunque. Sapeva dove cercare le prede, dove si trovavano i loro nascondigli preferiti e quali avrebbero escluso a priori. Ma sapeva anche perché non riuscisse a trovarne nessuna: i lupi.
Era da qualche mese che scarseggiava la selvaggina a causa di quelle belve. Già con l'arrivo dell'autunno si era capito che l'inverno sarebbe stato uno dei più rigidi di sempre, e i lupi ne avevano approfittato per anticipare il periodo di caccia di branco, facendo loro tutte le prede che potevano e costringendo le rimanenti a scappare. Il territorio era diventato loro, ma Alan non si dava per vinto: doveva trovare qualcosa da mettere sotto i denti o la fame, e il gelo, lo avrebbe sopraffatto. Vagava per la foresta da più di tre ore. Le energie cominciavano a mancare. Il passo si faceva più pesante, il respiro più affannoso, la concentrazione pian piano lasciava spazio a pensieri indesiderati. Che faccio?
Valutò la situazione, cercando di cogliere anche il minimo rumore proveniente dai dintorni innevati.
Silenzio. Fischio del vento. Fruscio di foglie. Niente.
I lunghi capelli ricci color castano, raccolti con un laccio di cuoio in una coda, si lasciavano trasportare dalle folate di vento gelido. La folta pelliccia di orso era ottima per temperature così rigide, mentre gli stivali di pelle imbottiti gli consentivano di mantenere i piedi caldi e allo stesso tempo gli davano stabilità. Acuì la vista, tentando di captare anche il minimo movimento, ma gli alberi e la neve gli restituivano solo la quiete della foresta. Si voltò. Un esile sensazione di umido gli sfiorò la superficie superiore del naso, arrossito per la lunga esposizione al freddo. Diresse lo sguardo verso l'alto trafiggendo con gli occhi quella cupola di chiome, come se la sua vista potesse intravedere il cielo, ma ciò che attirò la sua attenzione fu altro.
Questo sì che è un problema. La neve cominciava la sua discesa, attratta dalla gravità.
Fece un rapido movimento per mettersi in moto e iniziare il ritorno verso casa: a ciò che avrebbe mangiato ci avrebbe pensato non appena i suoi piedi si sarebbero rilassati davanti al focolare. Diversi minuti più tardi, giunto a una radura con un tronco cavo al centro, notò dei piccoli solchi che bucavano lo spesso strato incontaminato di neve poco prima di quella carcassa vegetale. Si avvicinò per avere conferma di ciò che aveva appena visto. Orme. Seguì il percorso e notò che la serie di impronte spariva dietro un grosso ramo che sfiorava il manto bianco, ma senza toccare terra.
Di colpo, Alan drizzò le orecchie, come un segugio alla ricerca di una pista. Scavalcò il tronco con lo sguardo, attento e deciso ad ottenere informazioni. Non si era sbagliato: in mezzo a quell'oscurità fiocamente luminosa distinse quella che sembrava la sagoma atletica e principesca di un cervo, le cui corna si diramavano robuste.
A quella vista, Alan non poté trattenere l'entusiasmo. Dovette però controllarsi nel migliore dei modi per non provocare alcun rumore molesto che potesse mettere in guardia l'animale.
Tenendo lo sguardo fisso sulla cena, Alan fece sparire il braccio destro dietro la schiena e con la mano impugnò l'arco, che era ben piazzato tra la faretra e la pelliccia, e lo portò davanti a sé.La neve intanto continuava a cadere, leggera.
Mise l'arco in posizione, mentre con il braccio faceva un movimento parabolico all'indietro fino ad incontrare con le dita le piume di una freccia. La sfilò, tenendo sempre d'occhio i movimenti della sua preda, la incoccò e prese la mira.
Visualizzò l'animale, cautamente, consapevole che se avesse sbagliato mira avrebbe perso la possibilità di cenare una volta per tutte. Non posso permettermelo.
Attese il momento più opportuno, gli occhi vigili che inseguivano la preda. Tese la corda, allineando le braccia all'altezza del petto e diventando un tutt'uno con la sua arma.
Esalò una nuvola di alito caldo. Il cervo si arrestò e si protese verso il terreno, alla ricerca dell'odore del pericolo.
Sei mio.
Le pupille di Alan sembravano quelle di un felino poco prima di balzare all'attacco. Scoccò la freccia, ma un rumore proveniente dagli alberi allarmò il cervo, che scappò via. La freccia finì col conficcarsi da qualche parte in mezzo agli alberi.
Imprecando, Alan rinfoderò l'arco dietro la schiena e fece per voltarsi, quando un altro movimento attirò la sua attenzione al di là del tronco: un'ombra snella saettò tra la neve cadente alla velocità della luce.
Spinto dalla curiosità, Alan non poté far altro che tentare di seguirla con lo sguardo, per poi incamminarsi nella stessa direzione.
Estrasse nuovamente l'arco e incoccò subito un'altra freccia. Avanzando nella neve con passo sicuro e silenzioso, scavalcò l'insieme di radici che aveva di fronte a sé. Un tonfo.
Alan si attivò di colpo e si accucciò, arco e freccia puntati verso il basso. Restò in attesa. E poi...Un lamento.
«Abbastanza vicino», disse a voce quasi impercettibile. Si acquattò dietro un cespuglio a pochi passi da lui. Si allungò verso l'alto quel tanto che bastava per scorgere la scena da dietro il suo nascondiglio: il cervo se ne stava disteso a terra, gli occhi spalancati e il sangue che scorreva copioso da una profonda ferita alla gola, imbrattando la neve sottostante di un denso rosso scuro. Sopra di lui, un lupo affamato si nutriva delle sue carni, ormai completamente inerti.
Brutto bastardo.
Non ci pensò due volte. Senza indugio tese l'arco. Il rumore disturbò la belva affamata, che rivolse il suo sguardo vuoto e pesante all'intruso che l'aveva disturbato. Qualcosa, però, non andava in quel lupo.
Ma che diamine...
L'attimo di esitazione gli fu fatale: il canide gli balzò addosso con le fauci spalancate, pronte ad affondare i denti taglienti come lame nella carne umana. D'istinto, Alan si portò l'avambraccio sinistro al viso in modo da potersi coprire. Con un affondo potente, il lupo chiuse in una morsa il braccio di Alan, ma ciò che incontrò fu un bracciale in acciaio, che proteggeva la carne morbida da quelle pericolose lame canine.
Ma il lupo non demorse. Scosse nel modo più feroce possibile il braccio di Alan, senza allentare di un millimetro la presa. Alan provò a dimenarsi, senza successo: oltre a brutale, quel lupo era pure enorme. Il ringhiare della belva si faceva sempre più prepotente, andando a sovrastare la lucidità mentale di Alan. Non può continuare così!
Colpì la bestia sul muso con il pugno più forte che gli potesse tirare da quella posizione. Il colpo stordì il lupo, permettendo ad Alan di opporsi, ribaltando l'animale: i questa posizione di dominio, estrasse il pugnale che teneva all'altezza dello stinco e trafisse il canide nel punto tra i due occhi. Silenzio. Il cuore batteva all'impazzata, il respiro era affannoso. Guardò il punto in cui il lupo lo aveva azzannato e lo scoprì d'istinto: il bracciale lo aveva protetto, anche se provava un certo dolore a causa della morsa del lupo. Carponi, Alan recuperò arco e freccia, qualche metro davanti a sé.
Un arciere senza arco è un uomo morto, pensò.
Una volta sistemati arco, freccia e se stesso, andò a vedere in che condizioni era il cervo. Si chinò per valutare la situazione e decise che l'avrebbe caricato in spalle e portato fino a casa. Poco è meglio di niente. Tutto pronto, s'incamminò. Pochi passi più avanti, però, un pensiero lo costrinse a fermarsi.
Tornò indietro, adagiò la carcassa di cervo ancora colante di sangue sulla neve e si diresse verso il corpo senza vita della belva.
Possibile che...
Non riusciva a spiegarselo. Dalla ferita mortale, che lui stesso gli aveva procurato, fuoriusciva sangue di un colore grigio chiaro, tendente al trasparente. Non solo quello, però, attirò l'attenzione di Alan: il lupo, oltre ad avere una stazza fuori dal normale, aveva una strana pelliccia; si tolse un guanto e tastò il dorso dell'animale.
Al tatto, il pelo sembrava come rigido, duro, ma non per via del freddo: muovendo la mano contropelo, infatti, Alan osservò come la pelliccia non assecondasse il movimento lasciandosi trasportare. Con occhio più attento, si rese conto di come tutto il pelo sembrasse in realtà prendere vita nel momento in cui lo toccava, pronto a contrastarlo. Come se dovesse difendersi.
Perplesso, prese il pugnale e tranciò via un pezzo di pelliccia, lasciando inalterata la pelle. Notò che ogni singolo pelo attaccato al lupo era molto più spesso del normale. Parevano quasi come piccoli ma lunghi cristalli, che rendevano la pelliccia dell'animale resistente e impenetrabile. Poi, d'un tratto, i peli che teneva tra le mani persero consistenza e, lentamente, si dissolsero nell'aria.
Alan si voltò verso la carcassa del cervo alla sua sinistra, ispezionò la zona circostante con una rapida occhiata per assicurarsi di non avere visite e riportò la sua attenzione al lupo. Alzò le sopracciglia, dando vita a un'espressione che sapeva più di disagio che di sorpresa: il pelo, nel punto in cui lo aveva tranciato, si era riformato.
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Weeltmor (provvisorio)
FantasyUn rigido inverno si sta abbattendo su Weeltmor, e i lupi hanno anticipato la stagione di caccia. Alan conosce la foresta come le sue tasche, ma l'incontro con una strana creatura gli farà sperimentare ciò che la Natura ha davvero in serbo per il mo...