Quando aprì gli occhi non riusciva a capire dove fosse. Tutto gli appariva un po' sfocato. Con fatica, sbatté gli occhi più volte finché le immagini non furono chiare: si trovava su un treno. Un treno in corsa. Si guardò intorno, ma non c'era l'ombra di altri passeggeri. Strano, cosa ci faceva in un posto del genere? Dai finestrini non poteva vedere niente se non qualche luce occasionale. La testa gli faceva male, e allo stesso tempo si sentiva leggero.
Un treno... non capiva. Dov'era? Non riusciva a darsi una risposta. Non riusciva a darsi una risposta per nessuna cosa. E ben presto, sopraggiunse l'orrore: non sapeva come si chiamava, da dove veniva, perché era lì. Cercare di pensare a un passato, che era certo di aver avuto, non portava a niente. Non c'era nessun ricordo. Nessuno spunto. Il posto dove dovevano essere i suoi ricordi era vuoto.
Cosa gli stava succedendo? Era un sogno? O meglio, un incubo. Il cuore gli batteva forte nel petto, il respiro irregolare. Sentiva la testa compressa dal dolore. Doveva fare qualcosa, doveva chiedere aiuto. E se quel treno si stava muovendo, voleva dire che c'era qualcuno a guidarlo.Così, decise di percorrere il treno fino alla prima carrozza. Lo percorse veloce, in preda alla paura. Nei vagoni successivi nonostante tutto non c'era nessun passeggero. Se era un sogno, era certo che una volta arrivato in fondo si sarebbe svegliato. Eppure il peso dei suoi passi sul pavimento, il freddo metallo dei pali per reggersi, le porte di metallo, tutto gli suggeriva che dovesse essere un posto reale. Le sensazioni erano piene, vere. Ma non voleva pensarci. Non poteva, non doveva essere vero.
Continuando a correre, trovò l'abitacolo del conducente e si sentì quasi sollevato. Iniziò a bussare sulla porta, "Mi apra, la prego!" urlò, "Non so dove sono!"
Si sentì un po' in imbarazzo ad aver esclamato una cosa del genere, ma era la verità. Aspettò. Provò con qualche altro colpo sulla porta. Non ebbe risposta. Cercò di guardare oltre il vetro scuro. Non importava quanto provasse a colpire l'abitacolo, niente sembrava smuovere il guidatore. Allora non gli rimaneva che una cosa: aprire la porta. Per quanto ci provasse, non dava cenno di muoversi. E nonostante tutti i suoi sforzi, il conducente non lo guardò neanche negli occhi.
Si sentì sconfitto. Un grande peso nello stomaco, non poteva fare altro. Così tornò a sedere. Decise che appena sarebbe sceso avrebbe provato a capire dov'era. Dovevano pur esserci dei punti di riferimento, doveva solo rimanere tranquillo e avrebbe sistemato tutto.
Il treno si fermò e aprì le sue porte. Oltre, una striscia gialla, una piattaforma e delle scale. Aspettò, indeciso sul da farsi. Come scese, il treno ripartì. Si guardò intorno alla ricerca del nome della fermata, una cartina, qualsiasi tipo di indicazione. Ma non c'era niente. Si sentiva il petto sempre più pesante. Com'era possibile? Si stropicciò gli occhi, sempre più frustrato e con la voglia di mettersi a piangere e urlare. Prese un bel respiro, non doveva cedere adesso. Era sceso, quindi da qualche parte doveva essere arrivato. Questo era ovvio, ma era l'unica ancora che avesse.
Se non aveva trovato risposte lì, le avrebbe trovate oltre le scale, che dovevano certo portare nel posto in cui era arrivato. Nella stazione non c'era nessuno, solo il silenzio e il rumore dei suoi passi.
O almeno così sembrava.
Fu in quel momento che vide una farfalla dalle ali blu. Volava vicino alle scale. Sentiva che voleva dire qualcosa, e si avvicinò. Salì la scalinata verso la luce seguendo la farfalla. Rimase abbagliato. Convinto di trovare una strada o qualcosa del genere, era arrivato in realtà ad un ufficio. Una scrivania piena di fogli, documenti, timbri, e una persona dai capelli bianchi che stava cercando qualcosa in tutto quel disordine. Dietro di lui si trovavano degli archivi, pieni di raccoglitori con delle cifre scritte sopra, e... aveva le ali? Quella persona aveva le ali. Si accigliò, doveva essere davvero impazzito. O stava sognando? Nessuna delle alternative gli dava sollievo. Se era un sogno, stava superando qualunque limite.
"Ah ehm," disse l'angelo, "tu devi essere Nikolas, giusto?" continuò, guardando il foglio che aveva preso. "Lo so, lo so, avrai un sacco di domande," il suo tono era ora annoiato, "però non ti preoccupare, capirai tutto. Io sono Yuil, e adesso ti conviene metterti seduto."
Non riuscì a replicare niente, nonostante la sua testa fosse solo confusione. Si sedette come gli era stato ordinato. Un po' incerto, ma per lo meno Yuil sembrava sapere di cosa stesse parlando. Notò solo adesso che stava indossando una tunica bianca. Decisamente non una sua scelta. Yuil invece aveva un completo bianco con giacca, gilet e camicia. Sembrava in ordine. Il silenzio lo stava uccidendo.
"Iniziamo dalle cose facili, tu sei qui perché sei morto."
"Come scusa?" sbatté gli occhi qualche volta. "Non..."
"Non è possibile, è questo quello che volevi dire?" rise, porgendogli il foglio. "Guarda qui allora."
Prese il foglio e iniziò a leggere: le sue generalità, senza nome, ma con delle cifre che suppose essere la sua data di nascita... e di morte. La cosa non fece che turbarlo ancora di più. Come cercò di proseguire Yuil gli prese il foglio dalle mani.
"Non puoi leggere oltre," disse, "sono cose che è meglio che tu non sappia."
Pur avendo letto l'inizio, non riusciva a trovare una connessione fra lui e quei dati. Non riconosceva niente. Aveva paura di dirlo a voce.
"Supponendo anche che io sia morto," rispose invece, "questo posto cosa sarebbe?"
Non sapeva come stesse facendo a mantenere tutta quella calma. Cercava un qualunque appiglio che potesse dimostragli che era tutto uno scherzo e che stava per finire. O che si sarebbe svegliato presto. Certo, sarebbe andata bene.
"Beh, l'aldilà. No?" rispose Yuil con naturalezza. "Altrimenti perché non ricordi niente di te? Nikolas è il tuo nuovo nome e questa la tua nuova casa. Sarai un Archivista, come me."
Era sconvolto. Fece per alzarsi, scuotendo la testa. Non era possibile. Ma come si voltò, si rese conto che la scalinata era sparita e al suo posto c'era una porta. Corse ad aprirla, senza risultato. Non poteva andarsene, ed era in trappola con uno sconosciuto che diceva cose senza senso. Adesso sì che si sentiva morire per davvero.
"Ah era da molto che non vedevo qualcuno cercare di scappare!" ridacchiò, "Prova quanto vuoi, non ce la farai mai. Senti," continuò, "se vuoi avere una risposta alle tue domande la cosa migliore che puoi fare è rimanere qui."
Stavolta Yuil era molto più serio. Cosa poteva fare? Niente. Era perso, e non era certo che si sarebbe più ritrovato. Non poteva tornare indietro. Se fosse stato un sogno, a quest'ora si sarebbe svegliato. E poi, gli sembrava tutto così reale, tangibile.
"Rimarrò qui," disse infine Nikolas, "diventerò un Archivista. O quello che è."
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L'Archivista
FantasyNikolas non sa niente. Su se stesso, sullo strano mondo in cui si trova: l'aldilà. E soprattutto, non sa perché è così importante che venga ucciso.