where are you? (you're still in my heart)

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La prima cosa ad arrivare fu il suono agghiacciante di una sirena, il secondo dopo vide le luci lampeggianti avvicinarsi alla scuola.

Bastò ad intensificare la brutta sensazione che lo tormentava da quella stessa mattina – da quando non riusciva a trovare Luka – in fondo al suo stomaco così tanto da fargli quasi mancare il respiro per un attimo. Dentro di lui, tutto gridava "Luka", "devi trovare Luka", "Luka, ORA".

Il suo corpo si mosse in automatico attraverso le persone nella stanza, adesso confuse e preoccupate, e corse fuori, senza nemmeno rendersi conto di dove stesse andando, corse fino a quando ciò che gli si presentò davanti lo costrinse a fermarsi – e lo destabilizzò fino a quasi far cadere a terra anche lui.

"Luka" voleva chiamare, ma la voce gli uscì spezzata e fu più un sussurro.

Sentiva la bile risalire e non capì quale fosse più forte: la necessità di vomitare, il desiderio di piangere, la voglia di gridare o, più probabilmente, tutti e tre; però non poteva farne nessuna in quel momento, no. Piuttosto, soffocò indietro le lacrime che già gli bruciavano gli occhi e minacciavano di uscire e in un ultimo veloce scatto gli fu vicino. Non si accorse neanche di star ripetendo piano il nome del ragazzo, ancora e ancora, quasi come una preghiera.

Gli prese una mano disperatamente, ma cercando di fare attenzione a non peggiorare la sua situazione facendogli più male, mentre i paramedici lo mettevano sulla barella, si gridavano istruzioni o di sbrigarsi, forse entrambe, forse parlavano perfino con lui, cercavano di allontanarlo ma non glielo avrebbe permesso mai. Gli sembrava che tutto andasse a rilento, niente aveva più un senso, niente importava più di Luka in quel momento. Strinse leggermente la presa dopo l'ennesimo tentativo di separarli e disse – o gridò? – «Io non lo lascio!», il tono di voce sofferente ma deciso, gli occhi fissi sul ragazzo incosciente e inerme, avrebbe voluto accarezzarlo, tenerlo vicino, avrebbe davvero tanto voluto essere con lui, impedirglielo... adesso si sentiva inutile e svuotato di tutto. L'immagine di Luka a terra, in quelle condizioni, gli sarebbe rimasta impressa, lo avrebbe perseguitato nei suoi incubi peggiore, l'avrebbe rivista ogni volta che avesse chiuso gli occhi.

*

Chiuso da solo dentro un bagno sterile dell'ospedale, solo allora si lasciò crollare ed andare in pezzi, permise al panico di stringerlo in una morsa compatta. La sua mente era un casino, sentiva così tante emozioni e sensazioni diverse lottare in lui per essere sentite tutte. Il dolore sordo era ovunque, lo percepiva in ogni fibra del suo essere e, allo stesso tempo, si univa ad una sensazione di vuoto che lo lasciavano frastornato.

Aveva voglia di spaccare tutto, di prendere a pugni il muro, qualcosa, fino a farsi sanguinare le nocche, se avesse potuto, avrebbe addirittura fatto bruciare il mondo intero, più di tutto però avrebbe voluto chiudere gli occhi e scoprire che niente di quello era successo, che fosse stato soltanto un terribile, tremendo sogno e che riaprendoli avrebbe trovato l'altro ragazzo davanti a lui che lo guardava con quella sua solita espressione compiaciuta ed il caratteristico sorrisetto... ma la realtà purtroppo era un'altra.

La realtà era Luka che combatteva fra la vita e la morte nella stanza accanto.

Il medico gli aveva detto che era stabile per ora, il che era un bene, però la situazione era ancora molto critica e troppo grave: Luka era in coma e non sapevano neanche loro quando si sarebbe svegliato – il modo in cui aveva esitato prima di dirlo, il modo in cui lo aveva guardato ed appoggiato una mano sul braccio come per dargli un po' di conforto (come se avesse potuto provare veramente conforto in un momento del genere) gli aveva fatto comprendere che il dottore aveva omesso (per pietà forse? O pena?) un "se".

"Se si sveglierà?"

No, per il bene della sua salute mentale e se voleva avere uno straccio di forza allora non poteva pensarla così, non poteva concentrarsi sul "se", era già fin troppo difficile ed atroce così.

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