5. La foresta maledetta di Elderberry II

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With these broken wings I'm fallin' and all I see is you. [...]
Hurry, I'm fallin'
And all I need is you
Nickelback


«Una creatura crudele che prende il controllo della tua vita senza che tu te ne accorga.».

Così Katsuki descrisse l'ansia provata in un momento di smarrimento, molto tempo dopo, ricordando gli avvenimenti di quella notte con una smorfia sulle labbra.

Ma andiamo con ordine.








Appoggiò una mano alla corteccia rugosa di uno dei tanti alberi di sambuco, tenendosi con l'altra il mantello e la tunica all'altezza del collo e stringendo tanto forte da far impallidire le nocche. Con molta probabilità stava girando a vuoto ancora una volta e la spossatezza di una giornata impegnativa lo stava sfiancando.

Come se non bastasse, a rendere tutto più difficile c'era quel sole maledetto che continuava incessantemente a scendere oltre le chiome degli alberi, mentre il cielo cominciava a tingersi di un cupo blu venato da nubi grigie e una rada foschia saliva dal terreno tiepido.

Aveva dolori in ogni parte del corpo. E la testa che continuava a pulsare. E fame, ma lo stomaco si era chiuso per l'ansia.

Prese un sorso d'acqua dall'otre che si portava appresso da tutta la giornata e quella cosa gli fece tornare alla mente Eijirō. Smise di bere, perché di solito quella borraccia di pelle la portava l'amico.

Chiuse gli occhi e deglutì a fatica, come se quel liquido chiaro fosse in realtà amaro come una medicina da due soldi.

Eijirō.

Doveva continuare a cercarlo. Doveva trovarlo. O da quel maledetto posto di merda, da quella situazione di merda, non ne sarebbe uscito vivo! Si raddrizzò e continuò a camminare, a vagare senza aver la più pallida idea di dove stesse andando, continuando a chiamare a gran voce l'amico.

A volte il bosco sembrava rispondergli e si rincuorava un poco, seguiva la voce fino a perdersi nuovamente. Sentiva risatine e rami spezzati che lo facevano voltare di scatto, una mano sempre pronta sull'elsa della spada e i nervi tesi.

Udì un rumore lontano, come un urlo disumano di una bestia orrenda.

«Eijirō...», e impallidì con quel nome arrotolato alla lingua e un terrore cieco che gli muoveva i piedi in direzione di quel lugubre lamento.

Più andava veloce e più stava, inconsciamente, trattenendo il respiro.

Sperò di ritrovarlo. Vivo.

Perché era l'unica persona che poteva seriamente chiamare amico.

Hanta e Kaminari non facevano testo: erano talmente positivi e caciaroni che avrebbero fatto amicizia perfino con un troll delle caverne!

Si diede dello stupido, perché, in fin dei conti, stava solo inseguendo un lamento lontano, che talvolta sembrava più vicino e lo faceva rabbrividire e rizzare tutti i peli del corpo. Pure i capelli, che prudevano come dei dannati ogni volta che si spaventava e sembravano mossi da vita propria.

Quella brutta sensazione che, fin dal mattino, l'aveva accompagnato lungo i sentieri e la boscaglia si acuì, come il freddo della sera, come la sua fame. Come la sua disperazione.

Perché, al di là di quella schizzata di sua madre e di quel povero diavolo di suo padre, Kirishima era l'unica persona che, nella sua breve esistenza, era riuscita davvero a sopportarlo.

Il Magister Hakamada se l'era accollato più per fare un piacere a vecchi amici. Quel mezz'elfo inutile che lo seguiva dappertutto non aveva mai realmente avuto il coraggio di parlarci assieme.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 2 days ago ⏰

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