ONE

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“ Avevo sempre creduto nelle favole. Avevo sempre sperato di viverne una.
E ora… c’ero dentro.
Camminavo tra le pagine, percorrevo sentieri di carta. Ma l’inchiostro grondava.
Ero finita nella favola sbagliata.”

Fabricante di Lacrime

Tutti quanti nella loro vita hanno avuto alti e bassi, chi può e chi meno, e io sicuramente sono una di loro. Una volta ero una persona semplice, gentile e affettuosa, che amava passare il tempo con amici e famigliari. Il mio armadio è sempre stato molto colorato, e ai miei genitori, questa cosa non andava molto a genio. Ogni membro della famiglia Choi doveva essere degno di portare questo cognome, e per fare bella figura quei vestiti non erano adatti, troppo colore. L'alcool non mi piaceva, e men che meno il fumo. I tatuaggi erano belli ma non me ne sarei mai fatta nessuno. Amavo il sole e il giorno, la notte mi metteva malinconia, però amavo la luna e le stelle che riflettono nella fontana della villa dove abitavo. La mia camera mi rispettava molto, era lilla con appesi tanti disegni e spartiti musicali che componevo per divertimento, e il mio letto era pieno zeppo di pupazzi che col tempo avevo accumulato. In poche parole avevo tutto quello che volevo.

In famiglia eravamo in cinque. Mio padre e mia madre, io e i miei due fratelli. Ero la più piccola dei tre, ma nonostante ciò avevo un rapporto splendido con entrambe. Mi capivano e mi aiutavano quando ne avevo bisogno. Li amavo così tanto che avrei dato la mia anima pur di salvarli. Poi un giorno tutto cambiò.

Era il 24 dicembre di tre anni fa, e una giovane me diciassettenne scese che portavano al grande soggiorno per rispondere al telefono. Non avrei mai pensato che quello che sarebbe uscito dall'altro capo del telefono, mi avrebbe cambiato la vita per sempre.

"Famiglia Choi?"

"Si, sono Choi Yuram. Mi dica"

"Choi Do Hyun è suo fratello?"

Nel frattempo, i miei genitori e mio fratello Jiwoo arrivarono tutti ben vestiti, pronti per partire per Busan, dove i nonni, come ogni anno, ci aspettavano per le vacanze di natale. Ma quello che non sapevano e che quella chiamata avrebbe cambiato anche la loro di vita, ma mai quanto la mia...

A svegliarmi quel giorno fu il rumore stridulo della sveglia, che mi ricordò, come tutti i giorni ormai dall'inizio dell'università, che un'altra giornata piena di lezioni, caos e quant'altro stava per iniziare.

Non feci fatica a ricordare il sogno che avevo interrotto, ormai, lo sapevo a memoria. Erano tre anni che quelle scene mi apparivano in sogno. Tutti i giorni. Mai uno saltato.

Mi alzai dal letto, infilai le pantofole nere con il pelo sopra, la mia vestaglia corta di raso nera che mi copriva a malapena i glutei, e uscì da quella camera che mi soffocava sempre di più. Nella piccola cucina dell'appartamento fornito dall'università, trovai la mia coinquilina, nonché migliore amica,Yunhee.

Yunhee insieme a mio fratello,è sempre stata una delle poche a essermi sempre rimasta accanto dopo quel che era successo a Do Hyun.

Ci siamo conosciute in ospedale. Non era la prima volta che entravo in quel posto, ma sicuramente era la prima volta che entravo nel reparto di terapia intensiva.

Avevo bisogno di aria, così corsi il più lontano possibile per cercare un'uscita, ma nulla da fare. Mi ritrovai nel reparto di "disturbi alimentari", o così segnava la targhetta appesa alla parete color pesca. Inizia a guardarmi intorno, ma l'unica cosa che vidi erano i medici che facevano avanti e indietro senza fermarsi mai.

Poi sentì dei pianti. Ancora ora non so spiegarmi perché io sia entrata in quella camera, la 192, ma proprio lì conobbi Yunhee. Stava cercando di calmare la sua compagna di stanza a cui era presa una crisi di panico. Mi fermai ad osservare quella ragazza dai lineamenti duri per via del poco peso che aveva, con i capelli lunghi e neri, e occhi scuri come la pece che venivano parzialmente coperti da quegli occhiali tondi che gli davano l'aria di un topolino.

A un tratto si girò per chiedere aiuto a degli infermieri che in quel momento passavano di lì, e fu in quell'istante che mi vide.

Venne verso la porta con attaccata al braccio un ago cannula a sua volta attaccata a un sacchetto che conteneva un liquido trasparente.

La prima cosa che fece, fu prendermi la mano e portarmi fuori da quella camera, che ormai era piena di infermieri. "È qui da poco, si deve ancora abituare".

Fu la prima volta che sentì la sua delicata voce. "Fammi indovinare, vieni dal reparto di terapia intensiva, vero?". Annuii solamente, non avevo la forza di parlare. "Sai non sei la prima a finire qui uscendo da quel reparto". Nel frattempo mi fece sedere su dei divanetti all'interno di quella che era la "sala comune".

Restammo in silenzio per svariati minuti, fino a quando non mi chiese di chi si trattava. Chi era per me la persona all'interno di quella camera con le porte vetrate piena di macchinari che lo tenevano ancora in vita. "Mio fratello". furono le uniche due parole che pronunciai. Con una mano scacciai le lacrime che minacciavano di scendere sul mio viso. Mi guardò con occhi da cerbiatta e posò una mano sulla mia spalla e con l'altra mi incitò a posare la testa sulla sua. Fu in quel momento che scoppiai nuovamente a piangere. Non poteva essere vero. Non poteva essere davvero successo, non a me... non a lui. Restammo così per una manciata di minuti, che a dire il vero sembravano interi giorni, con lei che mi consolava in silenzio e io che continuavo a piangere come una bambina a cui era stato tolto il suo pupazzo preferito, perché alla fine era così. Mi avevano tolto uno dei miei pupazzi preferiti. A risvegliarmi da quello stato pietoso in cui ero, fu la chiamata da parte di Jiwoo, che con una freddezza mai sentita nella sua voce, mi diceva di tornare in quella camera. Probabilmente la ragazza di cui non sapevo ancora il nome, aveva sentito tutta la chiamata che era durata qualche secondo, giusto il tempo di rispondere e mettere giù. Mi girai verso di lei per poterla ringraziare, ma non ci riuscì. Mi guardò negli occhi, che ormai non sembravano neanche più i miei per quanto erano rossi dal pianto, e con le sue piccole mani, asciugò le lacrime che ormai non sentivo neanche più scendere.Sperai con tutto il cuore che capisse quanto le fossi grata.Mi alzai a mala voglia. Non volevo tornare in quella stanza, e anche se da dire è brutto, non volevo tornare da lui. Non volevo vederlo in quelle condizioni.Mi guardai ancora una volta intorno e decisi di fare un primo passo verso quella porta che sembrava distante anni luce.

"Sono Yunhee".

Questa fu l'ultima frase che sentì pronunciare dalla sua bocca prima che io me ne andassi, con il cuore sempre più pesante e sempre più rotto a ogni passo che facevo.

Mi appoggiai sul piccolo tavolo all'interno della cucina con il mio solito caffè amaro, e una fetta di pane tostato con marmellata ai frutti di bosco spalmata sopra.

"Buongiorno Yuyu". La salutai con un gesto della mano. Non avevo ancora la forza di parlare. Guardai il piccolo orologio da polso che avevo sempre con me e vedendo che ero già in ritardo finii il prima possibile la fetta di pane, e mi portai la tazza con il caffè fino in bagno.

Feci per entrare in doccia quando Yunhee mi ricordò una cosa.

"Yuram...le pastiglie". Le pastiglie.

"Dopo...dopo le prendo tranquilla Yunhee".

"Ci vediamo a lezione, a dopo"

Detto ciò, si chiuse la porta alle spalle e uscì dall'appartamento.

In meno di venti minuti ero pronta. Truccata come sempre per l'università, un filo di eyeliner, matita nera, un po di correttore, giusto per coprire le occhiaie e un rossetto leggermente più scuro delle mie labbra. Mi guardai allo specchio per vedere se ero a posto, e notai come quel top nero forse troppo corto mettesse in risalto il seno, insieme ai miei soliti cargo anch'essi neri che si posavano sulle adidas forum low bianche con le tre strisce nere. Presi una felpa che legai sulle spalle e la mia borsa con all'interno il computer e un quaderno per gli appunti.

Andai verso la porta per uscire, ma le parole di Yunhee mi tornarono in mente. Tornai in cucina e aprii lo sportello dove tenevamo i medicinali, prendendo la confezione di Valium(per l'ansia) e quella di Paroxetina(per attacchi di rabbia) che misi all'interno di una pochette dove tenevo le sigarette e gli accendini insieme a altre stupidaggini.Tornai all'ingresso e finalmente uscii di lì per recarmi all'università.

Così ebbe inizio una nuova monotona giornata.

☆ Aaah aiuto hahaha
è il primo capito e spero davvero che vi possa piacere.
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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 04, 2023 ⏰

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𝑆𝑖𝑚𝑜𝑛 𝑆𝑎𝑦𝑠 • Lee MinhoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora