Purgatorio

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Cosi fui sanza lacrime e sospiri (Purgatorio, canto XXX, verso 91)


La mia vecchia stanza a Hogwarts era rimasta tale e quale a come l'avevo lasciata.

Né un dito di polvere, né un libro fuori posto. Attraversai la camera a passi lenti, contemplando ogni minimo particolare, toccando le boccette di pozioni, sfiorando le copertine dei libri, i miei cari e vecchi amici.

La voce della McGranitt mi distolse dai pensieri:

"Ti aspettiamo per la cena. Se non te la senti di scendere, un elfo provvederà a fartela recapitare in camera. Certo, sarebbe un peccato... Si sono dati tutti molto da fare per celebrare il tuo ritorno, sai?"

Qualche ora più tardi scesi giù in sala grande, vestito del mio solito completo nero. Il mio colore. La mia anima.

Come immaginavo, tutto era pronto per festeggiare il mio rientro nella scuola. Minerva mi propose di sedere nel posto riservato al preside ma io rifiutai, dicendo che non me la sentivo di tornare a ricoprire quel ruolo. Era perfettamente cucito addosso a te. Rimanici tu. Molti rimasero delusi perché pensavano che quella sera, oltre a festeggiare il mio ritorno, avrebbero festeggiato anche il nuovo preside. Ma io non me la sentivo, non volevo. Non era il mio posto quello.

Gettai un occhio sulla sala e non potei non rimanere sorpreso dalla presenza di Potter e amici, seduti al tavolo dei Grifondoro. Chiesi a Minerva la ragione della loro presenza.

"Abbiamo deciso di permettere a coloro che non hanno potuto l'anno scorso, di frequentare il settimo anno di corso, affinché possano prendere i loro MAGO. Se guardi tra i Serpeverde, noterai anche Malfoy".

Il mio sguardo si diresse verso il tavolo di quella che un tempo era stata la mia casa e i capelli biondo platino di Draco saltarono immediatamente agli occhi, spiccando su tutti.

Lo vidi sorridere: il mio alunno prediletto che sorrideva! Era da due anni che non lo vedevo abbandonarsi a un'espressione di gioia. Sempre cupo, sempre nervoso e irritato. Draco allungò il braccio sinistro per prendere del pane dal vassoio di fronte: vidi chiaramente che il marchio era svanito anche dal suo avambraccio e il ragazzo era tornato a muoversi senza prestare attenzione a lasciare scoperta la pelle, senza curarsi di nascondere il segno della sua schiavitù agli occhi degli altri. Anche la sua prigionia, seppur breve, era finita e ora, avrebbe potuto vivere come un qualsiasi ragazzo della sua età, divenuto però adulto in fretta, avendo ugualmente conosciuto la morte e l'odio.

I festeggiamenti andarono avanti fino a tardi, poiché il giorno successivo era un giorno festivo e quindi non c'erano lezioni.

Quando arrivai in camera, mi buttai sul letto, esausto per le tante emozioni e rivelazioni vissute in quel giorno. Ero appena uscito dall'ospedale ed ero stato immediatamente catapultato nel mio vecchio mondo, trovandomi ad affrontare un presente da cui ero rimasto fuori fino a quel momento.

Guardai ancora una volta l'avambraccio sinistro: era ancora candido, ero ancora libero; ma non era cosi la mia anima, ancora più tormentata di prima a causa di quell'improvviso ritorno. Non capivo perché di tanti, solo io ero stato rifiutato dalla morte. Continuai a osservare il posto vacante del marchio, tastandolo, come per accertarmi che ciò che vedevo era vero: chissà quando era scomparso? Prima o dopo il mio ritorno? Di una cosa ero certo: non dovevo più dipendere da nessuno. Non ero più una marionetta, uno schiavo, una pedina nel gioco degli scacchi. Ora, ero io il burattinaio, il padrone, il giocatore della mia vita.

Mi addormentai, continuando a pensare al mio futuro incerto, a cosa avrei fatto ancora in quei luoghi, gettando un occhio sul mio passato e sentendomi per la prima volta libero. Già, almeno una cosa era cambiata: non ero più il servo di un pazzo e ora potevo disporre della mia vita come volevo. Non dovevo più nascondermi, non dovevo più recitare la mia parte. La maschera sul mio volto non c'era più. Ora potevo essere davvero Severus Piton.

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