Paradiso

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O donna in cui la mia speranza vige (Paradiso, canto XXXI, verso 79)


Quella mattina del 31 ottobre fui il primo ad arrivare. Harry tardò di qualche minuto.

Di comune accordo, uscimmo e ci smaterializzammo.

Godric's Hollow era rimasta tale e quale all'anno precedente, eccetto un enorme striscione magico, posto all'entrata del paese, che si materializzava solo agli occhi dei maghi e su cui era scritto 'grazie Harry'.

"Sei l'eroe qui, Potter." gli dissi. Non avevo intenzione di ferirlo: era una frase che avrei potuto benissimo risparmiarmi, degna del vecchio Severus ma che, come era già successo in ospedale, mi era scappata detta.

Harry mi guardò dispiaciuto.

"Avrei preferito non esserlo. Mia madre e mio padre sarebbero ancora vivi, se non lo fossi stato" disse amaramente.

"Hai ragione." dissi semplicemente, per non rattristare ulteriormente il ragazzo ma soprattutto, per non far sfumare il senso di quella giornata, un'occasione sempre più vicina al raggiungimento della mia meta.

Ci incamminammo verso il cimitero. Vedevo Harry agitato, quasi ansioso. Sentimenti contrastanti erano dentro di lui. Avvertivo la sua ansia, la volontà di rivedere i suoi genitori ma allo stesso tempo, leggevo nei suoi occhi il desiderio di pormi tante domande. Realizzai che era inutile impedirglielo: non avrei potuto fuggire per sempre da lui e prima o poi quel momento sarebbe arrivato.

"So che hai delle domande da farmi, Potter. Sarebbe stupido rimandare ulteriormente perché conosco quanto tu sei determinato."

Il ragazzo mi guardò sorpreso poiché non si aspettava di udire da me tali parole e afferrò al volo quell'opportunità.

"In effetti, avrei parecchie cose da chiederle professore."

"Avanti, sono qui."

"Beh... per esempio...perché non ha tentato di salvare mia madre direttamente quando ha saputo che Voldemort era sulle sue tracce?"

Presi un respiro e gli risposi:

"Se lo avessi fatto, Voldemort ci avrebbe rintracciato e uccisi ugualmente. Ma soprattutto, tua madre aveva scelto tuo padre e io, non centravo più nulla con lei. Io ero diventato un estraneo, un traditore, il cattivo di turno. Pensi che mi avrebbe dato ascolto?"

"Forse. Avrebbe dovuto tentare, in fondo voi eravate stati grandi amici..."

"... fino al giorno in cui non le avevo detto quelle orrende parole che però non condividevo affatto."

"Allora perché le ha pronunciate?" mi domandò Potter, fermandosi e guardandomi dritto negli occhi. Lampi di rabbia sembravano farsi strada nel suo sguardo. Stava forse ricominciando la vecchia faida tra di noi? Rimasi in silenzio un attimo per trovare la risposta a quella domanda.

"In verità, non lo so... so solo che agii d'impulso, forse per tentare di tenermi stretti quegli assassini, che consideravo miei amici, quei Mangiamorte che mi stavano osservando da lontano."

"Come faceva a considerare suoi amici un tale manipolo di esseri senza pietà e cuore?"

Lo guardai stupito: aveva ripetuto quasi le sue stesse identiche parole durante una delle nostre solite liti. Mi stavo mettendo a nudo senza rendermene conto.

"Ti ho già detto che agii d'impulso. Se avessi accettato le difese di tua madre, sarei stato bandito anche dal loro gruppo. Ma tu non puoi capire cosa significa essere soli, vero Potter? Sempre circondato dai tuoi amici pronti a difenderti. Tale e quale a tuo padre."

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