28 Luglio
Mi chiusi la porta di casa alle spalle e ci feci aderire la schiena chiudendo con forza gli occhi. Mi riecheggiano ancora le domande che mi aveva posto con voce sottile e dura Sorah.
Sei come Jimin?
Mi portai le dita fra i capelli e strinsi con forza pregando che la sua voce smettesse di irrompere nella testa.
"Jun ... Jungkook tutto bene?" mia madre mi guardava dalla soglia della cucina, con la vestaglia chiusa al petto con una mano.
"Si" mi uscì come un lamento e tirai le spalle indietro alzando il mento. "Si" dissi di nuovo anche se non era vero.
"Sicuro?" fece un passo verso la mia direzione ma la oltrepassai annuendo iniziando a salire le scale.
"Jungkook, cosa hai fatto alla mano?" mi arrestai. I miei occhi furono catturati dal pezzo di stoffa che circondava il mio palmo sinistro e il cuore cominciò a battere più veloce del normale.
Sei come Jimin?
Scossi la testa scacciando quelle parole e allargai le narici per prendere più aria possibile nei polmoni.
"Solo un graffio, mamma. Non preoccuparti"
Salì un altro gradino ma a quanto pareva mia madre non aveva finito di preoccuparsi inutilmente.
"Lo hai disinfettato?"
"Si" un altro gradino e di nuovo parlò.
"Sicuro di stare bene?"
"Ah-ah"
"Ok. Allora buona notte - ripresi a salire - Jungkook? - mi bloccai di nuovo dandogli le spalle mentre trattenevo il fiato - sai che io e tuo padre siamo qui per te se tu ne avessi bisogno?"
"Lo so" sussurrai consapevole che non sapessi neanche io cosa mi stesse capitando da due mesi a quella parte, da quando ci eravamo trasferiti a Blue Lake City.
Entrai in camera e socchiusi piano la porta, appoggiando la fronte al legno pronto a sentire quando mia madre sarebbe andata a dormire. La serratura dall'altro lato del corridoio scattò e tornai a respirare e il petto doleva.
Sei come Jimin?
Dio, avevo così voglia di urlare finché avessi avuto ossigeno nei polmoni, invece presi a camminare avanti e indietro sulla moquette mentre le unghie grattavano la nuca, come se quel gesto avesse potuto cancellare il significato nascosto di quelle parole.
Dovevo attutirle. Dovevo sovrastare le domande gridate silenziosamente con altro. Dovevo provare ad alleggerire il peso che avevo sul collo che rischiava di farmi schiacciare il volto a terra.
Scesi al piano di sotto cercando di fare meno rumore possibile e mi diressi verso l'angolo bar che mio padre aveva costruito con cura e orgoglio appena arrivati nella nuova città. Rintracciai dentro il mobiletto la bottiglia più nascosta in modo da poter ritardare la scoperta del mio furto.
Tornai nella mia camera e mi misi a sedere sul pavimento, davanti allo specchio in modo di poter ammirare come ero caduto in basso.
Sei come Jimin?
Tolsi il tappo di sughero che fece un piccolo suono e strinsi con forza il collo di vetro portando la bottiglia alla bocca. Quella sarebbe stata la prima volta che il mio corpo avrebbe ingerito dell'alcool e avevo scelto per la mia prima sbronza un Bourbon che avevano regalato a mio padre il primo anno che arrivammo in America sepolto da un evidente strato di polvere. Il liquido ambrato pesò sulla lingua e mi bruciò nella gola e nello stomaco. Tossì la mia ingenuità e la mia fanciullezza e feci un altro lungo sorso con le lacrime che cominciarono a bagnare le guance.
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L'estate dei miei diciassette anni
FanfictionDalla storia: "Quindi, cara Amiee, ho deciso di iniziare la mia storia e quella dei miei amici, dall'estate dei miei diciassette anni, in quel momento particolare in cui abbandonai i panni del ragazzino e cominciai a vestire quelli da uomo, il momen...