L'ago della bilancia

49 0 1
                                    

La corda giace a terra slegata, mentre io la guardo indeciso: il ticchettio dell'orologio mi deride mentre le ore passano inesorabilmente, rimango dolorosamente immobile. La serratura della porta scatta, riconosco i passi di mia madre mentre entra a casa costringendomi a balzare in piedi per nascondere la vergogna e il dolore. All'apatia subentra l'imbarazzo e l'amarezza che, prima ossessivamente presente, ora svanisce abbandonandomi a un senso di vuotezza.
Mi sforzo di andare in bagno per lavarmi, riempiendo la vasca nel tentativo di rilassarmi per riordinare i pensieri; tutti sparpagliati a terra, nessuna cassettiera a contenerli, avvicinandomi li prendo in mano e hanno la consistenza dell'aria rarefatta e sono vuoti. Svuotando la vasca, mi rendo conto dell'aria densa e opprimente che si è creata, decido di uscire per asciugarmi e vestirmi nella speranza che la sensazione scompaia, anche se so già non sarà così.
Non mi prendo la briga di avvisare mia madre che uscirò stanotte, non le è mai importato, mi guarda e mi giudica silenziosamente, e io non riesco a trovare le parole per spiegare ciò che provo e non so neanche perché dovrei aprirmi.
Esco.

Esco e la brezza invernale mi saluta mentre io cammino, ascolto i passi che riecheggiano nel terreno ancora bagnato dalla giornata di oggi; vago, trovando consolazione nel silenzio e nella luminosità notturna.
Mi aggiro per le vie deserte, scarsamente illuminate, indirizzando lo sguardo sulla strada frastagliata e giocando con qualche sassolino senza rendermi conto di quanto stia camminando. Alzo lo sguardo non appena noto che il buio assorbe la luce, accorgendomi di aver superato diversi quartieri fino ad una chiesa diroccata in fase di costruzione. Nel momento in cui mi fermo ad osservare il cantiere, l'amarezza sta ritornando a galla e con esso il dolore e il desiderio di soffrire. Respingo e inalo tutta l'aria che i polmoni possono contenere, anche se ogni respiro è una coltellata, e anche se fa male, con il dolore accanto m'incammino verso il cantiere. Trovo un asse di legno, leggermente barcollante, ma abbastanza stabile da reggere il mio peso e mi ci sdraio. Cercando tra le mie tasche, pesco le mie cuffie e nascendo un pigro sorriso tra le labbra, le metto alle orecchie. Una volta selezionata la mia canzone preferita, concentro la mia attenzione sull'arcipelago di costellazioni che illuminano il cielo: ed ecco che l'uomo si apre all'orizzonte e assapora della volta celeste, perdendosi nell'infinito, così va cercandosi protezione dalle stelle, sperando che esse ricambino il suo sguardo anche se giacciono immobili sopra di lui e osservano. E così cercando di contarle, mi si socchiudono gli occhi per un breve istante, che dura un battito di ciglia fino a che un rumore non mi desta, dapprima cercando la fonte per poi sobbalzare alla vista di una ragazza seduta sulla stessa trave di legno. Sinceramente combattuto se essere frastornato dalla furtività con cui è arrivata, o dall'impaccio che mi rende le guance scarlatte, cerco di rimanere tranquillo ma con scarso risultato; prima che abbia il tempo per riflettere, la ragazza di cui, solo ora, noto meglio i tratti, mi invita con la mano a poggiarmi sulla trave. Confuso ed impacciato mi siedo, voltandomi meglio a guardarla: i suoi occhi verdi con delle screziature marroni indugiano su di me, e mi osservano con dolcezza. Solo ora scorgo il suo timido sorriso e ricordandomi cosa sto facendo, distolgo subito lo sguardo; le gambe prima stanche, adesso oscillano agitate, non riesco a controllarle e come se non fosse abbastanza, si avvicina di più, e prende una delle mie cuffie. Appena passata un'ora, sono ancora qui, irrequieto e incapace di rigurgitare qualche parola; non conosco questa persona, e sento comunque di potermi fidare di lei, di poter dirle qualsiasi cosa. Accanto a me, con la cuffia nell'orecchio, ondeggia al ritmo della canzone che io ho messo e l'euforia che trasmette è illogica. Leggermente più tranquillo, mi giro e incrocio le gambe così da poterla avere davanti a me e lei fa la stessa cosa; il suo profumo alla vaniglia mi disorienta, ma non a tal punto da non poter guardare il suo viso: sprazzi di lentiggini le incorniciano le guance donando un naso all'insù arricciato dalle labbra che formano un sorriso e istintivamente lo faccio anche io.
Neanche una clessidra potrebbe classificare il tempo che sta trascorrendo, e non deve. La musica, che prima usavamo per ballare e che abbiamo ascoltato per ore, ora la usiamo come contorno per rapire quest'istante, per poterci rubare a vicenda qualche sguardo e arrossire. Lei mi guarda e il petto mi brucia e vorrei che continuasse a bruciare così. Assolutamente inebriato, le porgo le mie cuffie per ascoltare assieme delle canzoni, cercando anche un contatto con le sue mani e per quanto sia tentato di sentire la sua voce, non ho intenzione di spezzare il silenzio.
E mentre le note svolazzano in aria, mi accorgo che l'amarezza e il dolore sono solo pensieri antichi e vecchi, neppure tentando li percepisco. Il dolore viene sostituito da una gioia incontaminata e in preda a essa, mi lascio sfuggire una lacrima che lei con delicatezza raccoglie come se nulla fosse. Il suo sguardo diviene titubante e prima che io riesca a capire il motivo, si inclina leggermente verso di me, si appoggia e io, trattenendo il fiato, poso la mano tremante sul suo viso. La notte trascorre inosservata e il cielo arrossisce, disperdendo le sue venature purpuree e rosse quasi come se volesse farsi beffe del mio viso bordeaux.
Socchiudo gli occhi, ascoltando la musica nelle orecchie e accarezzandole i capelli, un sorriso mi sfugge mentre noto che si stiracchia, e sfilandosi la cuffia dall'orecchio e sistemandosi capisco che sta andando via. Nessun avvertimento, nessun saluto di circostanza, nessuno sguardo. Lo sconforto, la delusione, la paura si impadroniscono di me, vorrei afferrarle il polso, gridarle il mio nome e che anche lei mi dicesse il suo. Vorrei supplicarla di non andare via, ma non riesco a muovermi, qualcosa mi dilania dentro e tutto ciò che c'era e c'è stato, non c'è più.
La guardo che piano piano si allontana, senza guardarsi indietro e io mi auguro che esiti fino a quando diventa una macchia indistinta.
Scombussolato, e senza pensarci due volte, m'incammino a passo spedito per cercare di intravederla, per ritrovarla; percorro la strada a ritroso sperando di incontrarla.

Le saracinesche iniziano ad aprire, vago ancora ma senza accorgermene mi ritrovo davanti casa, e sfinito ne approfitto per rientrare. La casa, a differenza mia, è rimasta intatta e nessun suono disturba la quiete; mi butto sul letto e prima ancora che riesca a ragionare, mi addormento. Un rumore mi sveglia: mia madre sta cucinando e a differenza delle altre volte, quando mi vede entrare, sorride. Io ancora intontito, stropicciandomi la faccia, mi siedo e accendo la tv; mangio e fisso nel vuoto, senza riuscire a metabolizzare cosa è successo stanotte. Il telegiornale cattura la mia attenzione e anche mia madre ora l'ascolta attentamente: all'alba di oggi, domenica 6 gennaio, una ragazza di 19 anni è stata ritrovata esanime in camera, si pensa sia un'overdose da pillole di diazepam. Viene acclusa una foto e appena la vedo il respiro mi si blocca, e un groppo in gola incombono, corro in camera mia con la vista appannata, non riesco a pensare, non può essere successo veramente.
Se avessi saputo, se non avessi pensato solo a me stesso, lei sarebbe ancora qui; se l'avessi fermata e rincorsa avrei potuto trattenerla di più, l'avrei convinta a rimanere. I sensi vengono meno, mi agito spasmodicamente mentre le lacrime scendono senza intralcio, le grida mi muoiono in gola. Faccio avanti e indietro per la stanza: i ricordi tornano a galla come una macchia d'inchiostro, il suo sguardo, la sua dolcezza, i sorrisi silenti, le nostre danze.
Non ho neanche saputo il suo nome, se avessi prestato più attenzione, avrei, avrei. É tutto un condizionale, lei non c'è più; l'afflizione, la rabbia sono amare, giro lo sguardo e trovo la corda che mi saluta e sorrido.

Racconti brevi #1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora