φῶς

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Le risate riecheggiano nell'aria notturna mentre piegati tutti e 4 ridiamo per una battuta con l'addome dolorante, alzo lo sguardo e non posso che apprezzare il momento tra le mie amiche e il mio ragazzo, la luce viola del locale accanto ci illumina e il debole vento ci scompiglia i capelli, fermando il tempo e catturandolo.
Affamata mi reco al bancone del locale, anche per attenuare i postumi, ordino un panino cercando di non soffermarmi troppo sul cibo e di non incolparmi, e nel frattempo mi raggiungono anche i ragazzi; anche loro ordinano senza rendersi conto di quanto mi aiutino: non danno per scontato nulla, e si accoglie e si sorseggia ogni instante.
Angosciata mentre mangio, cerco di distrarmi avvicinandomi al mio ragazzo per rifugiarmi in un suo abbraccio con il cibo in una mano; affondo la testa sull'incavo della sua spalla, e non ricambiata dall'abbraccio, mi allontano e noto una punto di dissenso nelle sue espressioni. Confusa, lo interrogo silenziosamente e aprendo la bocca, lascia sfuggire, senza apparente motivo, la sua frustrazione nei miei confronti.
Non appena le ragazze si avvicinano, le parole sgorgano a fiotti dalle sue labbra, giudicandomi e lamentandosi che abbia mangiato e io, interdetta, cerco di replicare, ma non ho il tempo che attacca ancora: "dovreste vederla mentre fa avanti e indietro agitando le mani come un autistica, o quando trema come se avesse la sindrome di Tourette, perché non fai una dimostrazione pratica?".
Altre risate emergono solo da parte delle due ragazze e un sorriso cinico da parte del mio, stavolta però sento la morsa del freddo e con essa l'amarezza e il disagio; loro non dovrebbero giudicarmi, solo lui sa il motivo e l'importanza del mio malessere, perché parlarne davanti a loro?
Una smorfia mi deforma il viso e un nodo in gola minaccia di arrivare, ma ancor prima che possa far qualcosa, il mio ragazzo si avvicina e mi toglie di mano il panino e lo butta. Ancora più confusa cerco di capire il motivo del suo gesto, e sarcastico, mi schernisce: "preferisco evitare sentirti boccheggiare come un pesce solo perché hai ansia".
Ferita, tradita dopo essermi aperta con lui così tanto, senza pensarci due volte, saluto le amiche, sempre che si possano definire tali, e salgo in macchina con la rabbia che vacilla.
Entra senza spifferare una parola e senza voltarsi dalla mia parte, accende e ci avviamo verso l'autostrada. Prima ancora che possa dire qualcosa, le lacrime escono senza timore, neanche le parole sarebbero sufficienti per esprimere il mio disgusto, il dolore, la vergogna che mi stanno corrodendo.
Come se non bastasse, cerco comunque di parlargli e riesco ad attirare la sua attenzione e l'unica giustificazione che ottengo è l'alcool.
Non contento, trabocca e continua mentre io, scoraggiata, provo a mantenere il silenzio e non cadere nella tentazione di ribattere.
"Arrivati a casa faresti meglio a svuotare lo stomaco così da rimanere in forma, altrimenti potrei optare per una delle tue amiche, sicuramente loro non guardano la bilancia", sembra dire con tono beffardo.
L'apatia prende il sopravvento mentre il mio ragazzo sorride; per lui è tutto un gioco, ma non comprendo cosa abbia sbagliato per meritare questo.
"Anche io piangerei guardandomi allo specchio", continua senza fermarsi.
Non riuscendo a rispondere, i singhiozzi mi percuotono.
Un calore caldo si diffonde sul viso mutando in dolore, e frastornata, scorgo il riflesso della mia guancia viola e della sua mano alzata: "smettila di mettermi a disagio e ascoltami quando parlo".
Sbalordita, rido e la mia mano scatta prima dei pensieri.
La curva che la macchina intraprende si staglia davanti a noi, tutto scorre a rallentatore, e riesco a scorgere come il suo sguardo irridente cambi mentre comprende ciò che sta per succedere.
Tutta la vita mi passa davanti mentre rimango a guardare come una spettatrice, solo che stavolta il panico e lo smarrimento mi assalgono, cerco invano di proteggermi da qualcosa che è inevitabile; è come essere in un sogno, non percepisci tanto il dolore, quanto l'impatto.
100 metri ci distanziano, 40, 30, 20.
Buio.

Un odore familiare mi percuote, il camino davanti a me arde senza sosta, i tizzoni emanano fiamme sempre più vivide e non posso che sorridere; inizio a tossire e coprendomi con la mano noto che è piena di sangue.
Tutto sfuma, e con esso anche le certezze: le vertigini mi colpiscono mentre provo inutilmente ad alzarmi, mi sento troppo stanca, vorrei dormire, ma c'è troppo caldo.
La realtà mi balza addosso senza pietà, ora ricordo, la macchina è sdraiata di lato come lo sono io, il vetro spezzato minaccia di cadermi addosso, mentre con un braccio cerco di riscuotere il mio ragazzo.
Tentando di sedermi, qualcosa sgocciola dalla mia testa e con le dita ne accarezzo l'origine: una smorfia mi fa deformare il viso dal dolore mentre la mano è insanguinata.
Scuoto il mio ragazzo alzando la voce impanicata rendendomi conto della gravità della situazione.
Mi giro, il parabrezza scheggiato, converge in un vertice e quel vertice..
Un conato di vomito mi scuote il corpo mentre guardo il vetro radicato nella gola del mio ragazzo, il sangue scivola con un ritmo dilaniante e il mio ragazzo è immobile.
Mi manca l'aria, non riesco a respirare mentre cerco di tamponare la ferita, mi tremano le mani mentre cerco di rimuovere il pezzo e invece che migliorare, il sangue propaga.
Le lacrime sono solo una cornice ai miei respiri con le mani tremanti davanti la bocca, mi tolgo subito la maglietta per assorbire ma ormai..
"Nonono ti prego, ti prego resta con me, dio dio dio, ti prego svegliati per me, ti prego, ti prego", inzuppata di sangue, apro la portiera della macchina e solo ora vedo il tronco dell'albero incrinato e ardente; con i singhiozzi inizio a camminare avanti e indietro sulla strada deserta mentre tutto attorno rimane silenzioso, anche il firmamento sembra ascoltare e guardare.
Scossa dalle vertigini, mi reco dall'altra parte della macchina estraendo il mio ragazzo dalla macchina, inerme.
I flashback sopraggiungono come scatti di una macchina fotografica: io e lui che sorridiamo davanti ad un film, io e lui che lo facciamo per la prima volta, lui che si dichiara..
Le urla esplodono guardando il suo corpo esanime, agito le mani e inizio a correre nella distesa di alberi davanti a me sperando di incontrare qualcuno.
Corro corro corro, con le fitta alla testa, con le lacrime al viso, con un buco nell'anima, con la luna che mi abbandona cedendo la compagnia ai folti alberi.
Anche il bosco non emette nessun rumore, mentre i miei passi riecheggiano come un eco spezzando il silenzio scuotendo il terreno.
Il sangue dapprima sulla testa, si diffonde su tutto il viso.
Smarrita mi rendo conto di aver perso anche la via del ritorno e continuo a correre disperata.
Le risate, i litigi ritornano a galla mentre corro a perdifiato, mentre perdo la sensibilità dei piedi, i rami mi scorticano e il buio non minaccia di scomparire; il dolore alla milza è così insopportabile che vorrei fermarmi.
Il terreno sotto di me diventa morbido ma non ho modo di approfondire che una luce accecante mi costringe a chiudere gli occhi: devono essere i fari di una macchina.

Li riapro sentendo un solletico ai piedi, il cielo dapprima spento, ora si tinge e ubriaca il sole con il suo blu fiordaliso, i piedi giocano con i steli d'erba e una risata fragorosa prorompe dalla mia gola, impossibile da contenere.
Il sole mi riscalda come una carezza, nessun taglio macchia la pelle e il vestito bianco attrae i raggi del sole, i capelli ondulati e profumati di vaniglia mi fanno sorridere mentre mi metto a correre euforica.
I fiori mi salutano, mi circondano lieti della mia compagnia, l'odore che emanano mi fa socchiudere gli occhi mentre mi rotolo in questa infinita distesa di colori. Lavande, Peonie, Azalee, Begonie, Campanule, Celosie, mi lambiscono mentre, inebriata, stringo gli steli come con le coperte.
Il sorriso non svanisce dal mio viso mentre conto i fiori, mentre li raccolgo, mentre li adagio dietro le orecchie; guardando il cielo meravigliata non mi accorgo che dell'acqua mi cinge le caviglie: caldo e trasparente, un lago si staglia davanti a me collimando con il colore del cielo, perfino il sole sembra posato sul lago.
Senza pensarci due volte mi immergo nell'acqua calda lasciandomi trasportare e rimanendo con questo perenne senso di ebrezza.
Le gambe mi supplicano di ballare, mi chiedono di saltare e allora le accontento uscendo dall'acqua con il vestito già tiepido e inizio: una musica riempie l'aria, una melodia mi stringe come un abbraccio mentre giro su me stessa tentando di catturare il sole, le gambe tenaci non cedono e una risata riecheggia nell'aria, il sole risplende di più in risposta e anche i fiori ballano con me.
Il terreno caldo mi attira, i fiori chiedono di accarezzarmi. Sdraiata, inspiro il loro odore mentre galleggio con i raggi del sole che mi baciano; un torpore mi assorbe e mi lascio fagocitare da esso, un sorriso mi spunta sulle labbra mentre mi lascio cullare.
Non ho bisogno di altro.

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