Già si godea solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo;e quella donna ch'a Dio mi menava
disse: «Muta pensier; pensa ch'i' sono
presso a Colui ch'ogni torto disgrava».Io mi rivolsi all'amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
negli occhi santi amor, qui l'abbandono;non perch'io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può reddire
sovra sé tanto, s'altri non la guidi.Tanto poss'io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogni altro disire,fin che il piacere eterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.Vincendo me col lume d'un sorriso,
ella mi disse: «Volgiti ed ascolta;
che non pur ne' miei occhi è Paradiso!».Come si vede qui alcuna volta
l'affetto nella vista, s'egli è tanto
che da lui sia tutta l'anima tolta;così nel fiammeggiar del fulgor santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.Ei cominciò: «In questa quinta soglia
dell'àrbore che vive della cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,spiriti son beati, che giù, prima
che venisser al ciel, fur di gran voce,
sì ch'ogni Musa ne sarebbe opima.Però mira ne' corni della croce:
quello ch'io nomerò, lì farà l'atto
che fa in nube il suo foco veloce».Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Giosuè com'ei si feo;
né mi fu noto il dir prima che il fatto.E al nome dell'alto Maccabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del palèo.Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com'occhio segue suo falcon volando.Poscia trasse Guiglielmo e Renoardo
e 'l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.Indi, tra l'altre luci mota e mista,
mostrommi l'alma che m'avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere
o per parlare o per atto segnato;e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva gli altri e l'ultimo solere.E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l'uom di giorno in giorno
s'accorge che la sua virtude avanza,sì m'accors'io ch'ìl mio girar d'intorno
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
veggendo quel miracol più adorno.E qual è il trasmutare in picciol varco
di tempo, in bianca donna, quando il vólto
suo si discarchi di vergogna il carco,tal fu negli occhi miei, quando fui vólto,
per lo candor della temprata stella
sesta, che dentro a sé m'avea ricolto.Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar dell'amor che lì era,
segnare agli occhi miei nostra favella.E come augelli surti di rivera
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l'un di questi segni,
un poco s'arrestavano e taciensí.O diva Pegasèa, che gl'ingegni
fai gloriosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e i regni,illustrami di te, sì ch'io rilevi
le lor figure com'io l'ho concetto;
paia tua possa in questi versi brevi!Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.«Diligite iustitiam», primai
fur verbo e nome di tutto il dipinto;
«qui iudicatis terram», fur sezzai.Poscia nell'emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d'oro distinto.E vidi scendere altre luci dove
era il colmo dell'emme, e lì quetarsi
cantando, credo, il Ben che a sé le move.Poi come nel percuoter de' ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde gli stolti sogliono augurarsi;risurger parver quindi più di mille
luci, e salir, qual assai e qual poco
sì come il Sol che l'accende sortille;e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e il collo d'un'aquila vidi
rappresentare a quel distinto foco.Quei che dipinge lì, non ha chi il guidi;
ma Esso guida, e da Lui si rammenta
quella virtù ch'è forma per li nidi.L'altra beatitudo, che contenta
pareva prima d'ingigliarsi all'emme,
con poco moto seguitò la 'mprenta.O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!Perch'io prego la Mente in che s'inizia
tuo moto e tua virtude, che rimiri
ond'esce il fummo che il tuo raggio vizia;sì ch'un'altra fiata omai s'adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri.O milizia del ciel cu'io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti sviati dietro al malo esemplo!Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che il pio Padre a nessun serra.Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che morìro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.Ben puoi tu dire: «Io ho fermo il disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,ch'io non conosco il Pescator, né Polo!».
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Divina Commedia: Paradiso - Dante Alighieri
PoetryLa Comedìa, o Commedia, conosciuta soprattutto come Divina Commedia, è un poema allegorico-didascalico di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di endecasillabi in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 13...