Anatome

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L'artiglio della macchina escavatrice allentò la presa sulla spazzatura e venne sollevato in aria, a penzoloni. Il motore della macchina smise di borbottare fumo, ma il netturbino lasciò i fari accesi. Scese la scaletta e, con gli stivali sprofondati nei rifiuti, si diresse nel punto in cui aveva cominciato a scavare. La notte nel Fiume di Rifiuti era una coltre impenetrabile affogata nella solitudine. Le luci della città rischiaravano soltanto la cima dei margini del Fiume e delle barriere, lasciando intatto il buio del fondale e cancellando allo stesso tempo la luce delle stelle e della Luna che, nelle notti di lavoro più disperate, era l'unica consolazione degli addetti alla nettezza, un palliativo per la loro tristezza.

Chi si fosse affacciato sul Fiume di Rifiuti dopo il tramonto, avrebbe visto un canale nero e, sul fondo, minuscole luci che navigavano sole nel buio, come delle lucciole.

Quando il netturbino raggiunse il punto, si gettò a terra in ginocchio e sporse il capo nella buca che aveva scavato, ma una luce gli trafisse gli occhi.

«Perché sei lì?» gli chiese un uomo con la sua stessa divisa arancione «La tua macchina ha qualche guasto?»

«No,» rispose il netturbino, riparandosi gli occhi con la mano «Ma credo che tra i rifiuti ci sia una persona»

L'altro uomo abbassò la torcia e abbassò lo sguardo sulla buca che si apriva davanti a lui. Dopo che ebbero recuperato le pale, i due iniziarono a scavare nella fossa, ma non occorse troppo tempo per trovarla. Ansimanti e con le mani che gli tremavano, si avvicinarono al corpo pallido e immobile che avevano rinvenuto.

«Dio mio» esclamò uno dei due «È una ragazzina»

La afferrarono per le gambe e per le spalle e la portarono fuori dalla fossa, per poi farla stendere su un materasso. Mentre la trasportavano, si accorsero che sul braccio aveva un profondo taglio che partiva dalla spalla ed arrivava fino al gomito. Ma di tagli ce ne erano davvero tanti, anche sul volto, per non parlare poi dei lividi gonfi, pulsanti e scuri.

«E quel sangue sulle gambe?» esclamò uno dei due.

«Non verrà mica da lì, vero?»

I due si guardarono in silenzio, ma per la vergogna sfuggirono l'uno dagli occhi dell'altro. Era troppo, anche per due come loro. Uno dei due si accostò alla ragazza e, sollevandole con delicatezza il braccio, strinse il polso.

«È viva»

«Davvero?»

«Sento il battito e, se ascolti, respira ancora»

«Ma è incredibile! Dobbiamo portarla subito in ospedale! Chiamo la squadra di supporto...» e tirò fuori la ricetrasmittente. L'altro però scattò in piedi e gli bloccò la mano.

«Ma che fai?»

«Non possiamo occuparcene noi»

«E perché?»

«Hai idea di cosa potrebbe accaderci se chiamiamo qualcuno e questa qui ci muore tra le mani? Ho già visto come queste cose vanno a finire e non voglio guai. E poi ti ricordi di quel cadavere che hanno trovato il mese scorso? Tutta cosa di mafia! Bande che si ammazzano tra loro e buttano i corpi qua dentro. Io non voglio far incazzare nessuno, mi dispiace!»

«Quindi vuoi lasciarla crepare?»

Ci fu una pausa di silenzio. Entrambi osservarono il viso addormentato della ragazza, e la mente volò ai figli che li aspettavano a casa, acciambellati nei loro caldi letti. Cazzo, poteva essere loro figlia.

«Hai fatto i corsi di pronto soccorso, vero?»

«Sì, li ho fatti»

«Ti porto il mio kit. Vedi cosa riesci a fare»

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