Capitolo 43

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19 ottobre.

Il tempo sembra scorrere fin troppo velocemente ed io non credo di riuscire a stargli dietro.
Quanto è passato da quando ho smesso di essere protagonista della mia stessa vita, per diventarne spettatore?
Non ne ho la più pallida idea e, quando ci penso, mi vengono in mente così tanti ricordi che potrebbero fornirmi una risposta, da pensare che, molto probabilmente, il ruolo da protagonista non mi sia mai appartenuto realmente.
In ogni mia singola decisione, mi sono sempre fatto condizionare da quella che sarebbe potuta essere la scelta migliore, quella più giusta.
Commettendo una serie di azioni che, semmai fossero state viste da un occhio esterno, questo non avrebbe mai potuto criticarle.
Poiché soggette a molte, troppe analisi.
Persino quando sceglievo i miei abiti, pensavo a quello che avrebbe pensato la gente attorno a me.
Eppure, non l’avevo mai visto come un problema.
Per quanto potessi sentirmi inappagato e, a tratti, frustrato, non mi rendevo conto di quale fosse il tassello mancante della mia vita.
Nonostante questo, tutto era tranquillo, come le calme acque di un lago.
Monotono, privo di movimento.
Ed io ero così tanto abituato a questa quiete apparente, da non rendermi conto dell’impetuosa tempesta che implorava, pur d’infuriare, dentro di me.
E quella tempesta, quell’uragano, aveva un proprio volto.
Persino quando non lo conoscevo, lui era già inculcato in me.
Il mio inconscio, in qualche modo, lo stava aspettando.
Aspettava lui, per esplodere.
Quando penso al me di poco tempo fa e finisco per guardarmi allo specchio, oggi quasi non mi riconosco.
Eppure, continuo ad avere gli stessi occhi, lo stesso viso, ma tutto è diverso.
Il vecchio Jimin, quello che pensava agli altri, prima di fare qualsiasi cosa, non esiste più.
Tutto è cambiato, nel giro di un anno, quando la mia vita si è divisa in vari pezzi.
Ed il pezzo ad aver manomesso, distrutto e ricomposto ogni cosa, si può chiamare in un unico modo: Jeon Jungkook.
Il demonio che mi ha cambiato, plasmondomi a proprio piacimento, creando un qualcosa che adesso sto di nuovo cercando di mettere a tacere.

Sono passati trentadue giorni dal mio incidente.
Trentadue giorni dall’ultima volta che l’ho visto.
Trentadue giorni da quando ho deciso di chiuderlo fuori, provandoci ancora, disperatamente.

Durante queste notti infinite, ogni volta che i miei occhi provavano a chiudersi, io vedevo lui… vedevo noi.
Ogni bacio, ogni carezza, ogni momento che abbiamo passato insieme, mi ritornava in mente.
Innumerevoli sono stati i sorrisi sinceri che gli ho regalato.
L’amore che fuoriusciva da ogni mio bacio, ogni tocco.
Abbiamo avuto solo un anno.
Un misero anno che, dalla mia testa, non vuole scomparire.
Un anno, composto da trecentosessantacinque giorni che a me sono sembrati secoli.
Immagini sfocate che si fermavano nella mia mente, la sua voce che tornava, assieme al suo dannato profumo, costringendomi ad afferrare un cuscino accanto al quale rannicchiarmi, mentre le mie lacrime ne bagnavano la stoffa.

Se vuoi tenermi lontano da te, allora dimmi che non mi ami”.

Nella mia testa, come una nenia maledetta.
Come un parassita.
Ed io che cercavo di dimenticarlo, per il mio bene.
Per un amor proprio che ho sempre avuto e che, Jeon Jungkook, mi ha quasi strappato via.
Intossicandomi con la prepotente scia di un amore inarrivabile.
Riempiendomi la testa di sogni che sarebbero dovuti rimanere tali.
Eppure, non devo pensarci.
Non adesso.
Ho fatto la scelta giusta.
Eliminando il problema dalla mia vita.
Hai fatto la scelta giusta.
Quello non era amore, anche se ci assomigliava maledettamente.

«No, Tae… ho appena finito». Dico, per rispondere alla domanda del mio migliore amico, adesso dall’altro capo del telefono.

«Ah, com’è andata?» Mi chiede il moro, con uno spesso filo d’entusiasmo nella voce.

«Abbastanza bene, hanno detto che non vedono l’ora di avermi nel loro corpo insegnanti. Comincio domani». Rispondo, raccontando a Taehyung quello che mi è stato appena riferito, da quelli che domani diventeranno i miei superiori.

Mi stringo nella mia giacca di pelle nera, piena di zip, mentre cammino per i corridoi dell’immenso istituto che diventerà la mia intera vita, nei prossimi giorni e, si spera, prossimi anni.
Queste mura, il cui odore d’intonaco mi risulta ancora pungente nelle narici, hanno un che di familiare e, nonostante si tratti di un’accademia completamente diversa da quella che frequentavo fino a poco tempo fa, non manca di riportarmi alla mente vari ricordi.
Tra questi momenti, compare anche lui.
Possibile che sia in ogni cosa?

Scuoto la testa, cercando di eliminare dalla mente questo pensiero, tornando a prestare attenzione alla voce di Taehyung.

«Ma è meraviglioso, Jimin-ah! Sapevo che alla fine ti avrebbero dato un’intera cattedra!» La sincera felicità del mio migliore amico, arriva a contornare la mia intera figura, sporcandone l’aura, come se fosse qui accanto a me, solo a pochi centimetri di distanza. «Quando torno, dobbiamo assolutamente festeggiare!» Continua il bruno, ma nonostante la sua allegria, io non riesco proprio a farmi trasportare.
Anche se il traguardo appena raggiunto, forse è uno dei più alti a cui potessi aspirare, ad una così giovane età.

Convinto di voler cambiare argomento, cerco di porre una domanda a Taehyung, in modo da spostare il centro dell’attenzione su di lui.

«Tu, piuttosto… com’è andato il viaggio?» Chiedo, iniziando a scorgere da lontano la grande porta che mi condurrà fuori dall’edificio, però, decido di fermarmi al distributore poco distante, per poter comprare una lattina di caffè freddo.

«Molto bene, sono arrivato proprio prima di chiamarti. Hoseok è uscito presto stamattina, almeno, così mi ha detto la sua donna delle pulizie, quindi mi ha fatto direttamente accomodare in camera sua!» Mi racconta il bruno, mentre io canticchio in assenso alle sue parole, inserendo le monete nel distributore automatico, tenendo il cellulare appoggiato tra l’orecchio e la spalla.

«Ed è bella?» Continuo a domandargli, conoscendo il suo amore per dettagli di questo tipo.

Lui, però, non mi sembra molto soddisfatto da questa mia domanda. Questo mi viene confermato dal piccolo sbuffo scocciato che gli sento emettere.

«Seriamente, Jimin-ah? Io ti dico che mi hanno fatto accomodare direttamente in camera sua e tu mi chiedi se sia bella? Devo spedirti un disegno per posta?» Domanda retoricamente il bruno ed io, come se il senso delle sue parole mi fosse appena piombato addosso, come un fulmine, replico prontamente.

«Ah, ma certo, camera sua! Quindi adesso sei ufficialmente la signora Jung?» Lo prendo in giro, sapendo quanto odi quest’appellativo.

«Ya, Jimin-ah! Non scherzare, ricordati che sono io l’attivo della coppia, ok?» S’impone il bruno ed io non posso far altro che sogghignare alle sue parole, guardandomi intorno per verificare la presenza di qualcuno, prima di continuare.

«Certo, come quella volta che lo portasti a casa, mentre dormivo nell’altra stanza!» Gli ricordo, utilizzando una finta vena d’irritazione. «Oh, sì hyung, ti prego, non fermarti!» Continuo a prendermi gioco di lui, imitando le sue parole di quella notte, ormai passata, fingendo di gemere con la sua voce.

Taehyung emette un suono che non riesco a definire, ma sicuramente sta facendo l’offeso di proposito.

«Ok, ad entrambi piace sperimentare!» Mi risponde il ragazzo, mentre io mi abbasso per afferrare il mio caffè e riprendere il cellulare tra le mani.

Una fragorosa risata esce dalle mie labbra e, come ogni volta che mi ritaglio dello spazio per conversare con Taehyung, un velo di spensieratezza mi pervade, come se non avessi alcun problema, come se fossimo ancora due ragazzini che si prendono in giro.

Eppure, la realtà esiste e, a volte, s’infrange contro di noi con la stessa intensità di un secchio d’acqua gelata.
«Come ti sei svegliato stamattina? Stai meglio oggi?» La domanda del bruno mi fa fermare sul posto, mentre ripenso al significato dietro le sue parole.

«Mi hai visto ieri sera, Tae... sto come mi hai lasciato». Gli rispondo, poggiando l’indice ed il pollice verso la bocca della lattina che stringo tra le mani, alzando e facendo pressione sulla linguetta.

«Mhh, come immaginavo». Suona quasi sconsolato ed io vorrei tanto che non lo fosse, sapendomi, non dico contento, ma almeno mentalmente stabile, dopo tutto il casino successo.

«Sta tranquillo Taehyung-ssi, tu goditi la tua vacanza a New York, io starò bene, non è poi così grave». Cerco di placare la sua preoccupazione nell’unico modo che conosco, per non pesare sulle spalle degli altri: sminuire le situazioni.

Peccato che io mi stia rivolgendo a Kim Taehyung.

«Sì, ora spiegalo al ragazzo che sento piangere tutte le notti, nella stanza accanto alla mia». Di nuovo questa malinconia nella sua voce che, in qualche modo, vuole suonare più come un rimprovero.

«È già una settimana che non succede più e lo sai. Ora sto bene, Tae… ho trovato il mio equilibrio». Cerco di dire, forse più a me stesso che al ragazzo bruno dall’altra parte del mondo.

Un silenzio che dura solo pochi secondi, ma che a me risultano ore, ricade su di noi, mentre io porto alle labbra il mio caffè, prendendone un sorso.
Questo stesso sorso che quasi non mi va di traverso.

«Allora dovrai perdonarmi, quando tornerò…» Taehyung sussurra queste parole, come se avesse timore di pronunciarle ed io aggrotto le sopracciglia.

«Che vuoi dire, scusa?»

«Niente, lo capirai tra poco, forse» Il tono del bruno mi risulta tremendamente serio, tanto da spaventarmi, così, allarmato, cerco di controbattere, ma Taehyung non me ne dà il tempo. «Scusa, Jiminnie, ora devo andare, sono troppo stanco e credo che tra un po’ crollerò sul materasso!» Mi saluta il ragazzo ed io mi sento come se mi avessero appena bloccato una frase in gola.

«Tae, aspetta un secondo! Che volevi dire con…»

«Ci sentiamo dopo, ti voglio bene!» Questa frase e poi il classico suono cantilenante di una chiamata che viene interrotta.

Allontano il telefono dall’orecchio, per guardarne il display, come a voler avere un’ulteriore conferma del fatto che il mio migliore amico mi abbia appena riattaccato la chiamata, senza neanche darmi il tempo di rispondere.

«Ah, Kim Taehyung, ringrazia che io non abbia la capacità di volare, altrimenti ti avrei raggiunto fino a New York per strozzarti!» Impreco tra i denti, per poi incamminarsi, finalmente, verso l’uscita, ancora non comprendendo le parole di Taehyung, ma cercando di non dargli troppo peso.

Sarà di sicuro un’altra delle sue.

Quando questa frase rimbomba nella mia testa, contemporaneamente al movimento che compie il mio braccio, nello spalancare il grande portone, per poco non cado lungo tutta la scalinata dell’istituto, cosa che, invece, tocca alla lattina di caffè che, fino a qualche millisecondo fa, era tra le mie mani, mentre adesso si ritrova a percorrere una strada immaginaria, rimbalzando su ogni scalino, rilasciando del caffè per terra, ogni volta che la superficie in alluminio batte contro il marmo dei gradini, emettendo un rumore a dir poco assordante.
La spietata ironia della sorte, vuole che il percorso di quella povera bibita, cessi proprio ai piedi dell’ultima persona che mi sarei aspettato di vedere oggi.

Alcuni metri ci dividono, forse più di quanto sembrino, mentre entrambi ci fissiamo, completamente immobili.
Io fermo, sul gradino più alto della scalinata, prima estremamente pulita ed immacolata e lui dal basso, poggiato con il corpo contro la sua auto, chiuso nella sua giacca in denim chiaro, mentre tiene tra le labbra la solita sigaretta che, in uno scatto felino, allontana dalle sue labbra.

No, non può essere lui.
La mia mente corrotta mi sta giocando un altro dei suoi brutti scherzi, come ogni volta che provo ad allontanare questo demonio dalla mia vita.
L’ossessione che ho per lui è davvero così potente, da far in modo che il suo corpo possa materializzarsi davanti ai miei occhi, in maniera così nitida?
Eppure, non è così.

Il ragazzo porta una mano al suo viso, scostando gli occhiali da sole che, pochi secondi fa, gli coprivano gli occhi, togliendoseli, per poi appenderli al colletto della propria maglietta, al di sotto della giacca.
Ogni movimento non mi appare molto nitido, data la distanza e, proprio per questo motivo, il mio corpo comincia a compiere una serie di movimenti involontari, come a voler avere un’altra conferma e nella bugiarda speranza di aver preso una svista.
Eppure, più mi avvicino e più il mio cuore accelera.

Due gradini.
Quel corpo è il suo corpo.
Quattro gradini.
Quelle mani sono le sue mani.
Sei gradini.
Quelle labbra sono le sue labbra.
Otto gradini.
Quegli occhi sono i suoi occhi.
Dieci gradini.
Questo ragazzo è il mio demonio.

Mi fermo, quando ormai la distanza che ci separa è pari solo ad un misero metro.
I nostri occhi s’incatenano ancora e, per quanto io provi a scacciarlo, ad allontanarlo da me, questo serpente torna ogni volta.
Chi dei due è il reale possessore di quest’ossessione?
«Che… che diavolo ci fai qui, Jungkook?»

𝐍𝐚𝐤𝐞𝐝 𝐍𝐨𝐢𝐬𝐞 "소음" 𝘑𝘪𝘬𝘰𝘰𝘬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora