Out of my system

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Sono completamente immersa nella musica, le casse dietro di me continuano a pompare suoni che alimentano la mia energia. Se qualcuno mi chiedesse cosa sto suonando non saprei dirlo con esattezza, so per certo che le mie dita stanno seguendo uno schema ben preciso che ho studiato nelle scorse settimane, ma in questo momento non sto pensando alla partitura, sto vivendo la musica. Le tre ore settimanali in sala prove sono quelle che mi tengono a galla in questo periodo in cui tutto il resto sembra affossarmi.

La canzone che stiamo suonando è una di quelle che ho scritto io, conosco a memoria ormai le emozioni dietro ad ogni parola del testo e le traduco in musica senza difficoltà. La linea del basso non è virtuosa, ma collega tutta la canzone, è il primo strumento che inizia a suonare e l'unico che continua a sentirsi anche mentre la voce dovrebbe essere scoperta, la chiusura è contesa tra il mio strumento e la batteria.

Finisco di suonare e mi ci vogliono un paio di decine di secondi per tornare a connettermi con il mondo reale. Le nostre ore in sala prove sono finite, anche se vorrei fermarmi un altro po'. Ripongo il basso con cura nella sua custodia, so già che a casa non potrò tirarlo fuori ancora, i vicini sono poco tolleranti e i miei genitori ancora meno.

Saluto gli altri e cerco di scappare via più in fretta possibile, con il cappotto nero ancora sbottonato che si gonfia non appena metto un piede fuori dalla porta e una folata di vento mi colpisce in pieno. Per un secondo immagino la scena dall'esterno, come se guardassi la ripresa di un film e mi rendo conto che sono uno stereotipo che cammina. I capelli biondi corti svolazzano sulla fronte e attorno alle mie orecchie, il trucco nero attorno agli occhi si è sicuramente sbavato per colpa del caldo della sala, il look ricorda molto quello di un musicista squattrinato, camicia bianca larga e più sbottonata possibile, pantaloni neri attillati, mocassini abbinati, sciarpa a quadri lasciata aperta a incorniciare l'orlo del cappotto e ovviamente la custodia del basso che tutti scambiano per una piccola chitarra.

Mi avvio a passo spedito verso la fermata dell'autobus, ma sento dei passi veloci che mi raggiungono da dietro. So che è Martina e so che vorrà parlare con me, ma io non me la sento. Non che ci sia niente di nuovo di cui parlare, ma lei insiste sempre per farmi un sorriso quando sono giù e provare a dire due parole quando il silenzio inizia a farsi troppo pesante. Mi fa saltare i nervi, non sopporto che capisca sempre quando sto male, quando ho bisogno di un sorriso o una parola in più, detesto che se ne accorga e faccia sempre in modo di non farmene mancare. Non ho bisogno della pietà di nessuno, ma soprattutto non ho bisogno di nessuno, sto bene da sola, anzi sto meglio da sola.

《Le prove di oggi sono state stupende》 attacca bottone avvicinando le mani a coppa davanti al viso per scaldarle. Ha un berretto a coprirle i boccoli castani e una sciarpa azzurra pesante che sembra un salvagente attorno al suo collo, il piumino nero le dà un aspetto alla omino michelin e anche la statura non aiuta, è più bassa di me di parecchi centimetri e ogni volta che la vedo così imbacuccata accanto a me penso sempre a quanto diverse possiamo sembrare, lo trovo buffo, io alta ed elegantemente trasandata, con le mani viola per il freddo che provo senza mostrarlo e lei un fagotto tremolante che saltella per stare al mio passo.

Sbuffo in risposta e lei non aggiunge nulla. Mi conosce da anni, ormai sa come prendere i miei silenzi e le mie risposte, anche quelle scortesi.

Arriviamo alla fermata e appoggio la custodia sulla punta del mio piede per non doverla tenere in mano, spero che l'autobus arrivi in fretta, non mi piace sottoporre il basso a tutti questi sbalzi termici, ma so di non avere altre soluzioni. Martina ha le mani libere, lei è la cantante della nostra band perciò è quella che viaggia più leggera, subito dopo di lei c'è Marco, il batterista, che si porta da casa le sue bacchette, ma trova tutto il resto già pronto in sala. Giovanni deve portarsi dietro la chitarra acustica, anche se a volte arriva anche con quella elettrica, lui però è fortunato perché sfrutta sempre il passaggio in macchina di Federico, il pianista che porta la sua tastiera da casa a tutte le prove, anche se nessuno ha ancora capito perché.

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