Capitolo 7

606 5 7
                                    

Quando nel primo pomeriggio mi svegliai, alle due, mi ritrovai con un forte mal di testa e una debolezza snervante.

Sbadigliai e mi resi conto immediatamente che ero nuda in un letto che non era il mio, in una camera che non era la mia, in una casa che non era la mia, ma dei genitori di quel tizio ed ero sdraiata nel loro letto.

Stesso letto dove poche ore prima avevo fatto sesso con Giovanni. Portai le mani sul volto consapevole del grave gesto che avevo fatto. Perché era tutto un gran casino. Un casino di proporzioni bibliche. Giovanni mi amava mentre io lo desideravo soltanto come amico e come avrei fatto a spiegarglielo dopo che io gli avevo chiesto di scoparmi?

La nostra amicizia a causa mia era rovinata per sempre, perché non mi avrebbe più voluta come amica.

Cercando di farmi forte con un emicrania da chilo mi accorsi che la porta della stanza era aperta e filtrava una fioca luce, mentre il silenzio attorno a me non lasciava intendere nulla di buono.

Con difficoltà mi alzai mettendomi seduta, cercando i miei vestiti con gli occhi sul pavimento e con mio terrore mi accorsi che non c'erano, non c'erano da nessuna parte, nemmeno sulla sedia o sopra la panca.

Barcollante e con la testa che doleva, piegata in avanti e goffa, coprendo le mie parti intime nel caso fosse sopraggiunto qualcuno, aprii l'armadio in cerca di qualcosa da indossare, anche se era maleducato rovistare in casa d'altri.

Trovai un maglione rosso e un pantalone della tuta che dovevano appartenere alla madre di quel tizio e li indossai velocemente senza pensarci, pensando che come lo avrei visto mi sarei scusata per la mia invadenza, pensando a dove fosse finito Giovanni e i miei indumenti, oltre che alla mia borsa con il telefono, portafoglio e le chiavi di casa.

Scesi le scale tenendomi allo scorrimano con un solo occhio aperto, perché non riuscivo a tenerli aperti entrambi e scalza raggiunsi quella che doveva essere la cucina ed infatti lo era, senza scorgere nessuno, osservando le tapparelle far filtrare una bava di luce.

Camminai fino a raggiungere il soggiorno e con mia gioia vidi Giovanni nella penombra guardare il telefono in assoluto silenzio.

- Ciao Giovanni. Dissi avvicinandomi a lui, spezzando il silenzio opprimente e lui alzò la testa guardandomi preoccupato.

Si alzò in piedi e mi aiutò a sedermi sull'enorme divano in pelle marrone sedendosi accanto a me, baciandomi sulle labbra e tenendomi stretta in un abbraccio e io non riuscii ad oppormi perché ancora troppo debole.

- Come stai?

- Da schifo, credo mi sia passato sopra un camion. Dove sono i miei vestiti? Chiesi senza perdere tempo.

- Non lo so.

- Ma tu sei vestito e la mia borsa?

- Non lo so, so solo che siamo qui da soli.

Lo guardai cercando di capire se fosse serio e lo era. Forse.

- Ascolta. Dissi. Mi spiace per ieri sera ma quella con cui hai fatto l'amore non ero io. Mi spiace di essermi approfittata di me.

Giovanni sciolse il suo abbraccio e si alzò in piedi guardandomi con stizza.

- Quindi mi hai usato?

- Mi spiace, non volevo farlo.

- Ti odio Miriam, prima mi illudi poi mi rinneghi come se fossi un sacco di merda. Esclamò incurante che qualcuno potesse sentirci, uscendo dalla stanza e lasciandomi da sola.

Mi alzai dal divano, mi dispiaceva, non si meritava questo mio voltagabbana. Era vero che lui mi aveva baciata sulle labbra ma, quella che voleva scopare ero io.

MiriamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora