Estate 2015, Napoli.
"Perché ci sei tornata insieme?"
Ecco, ripartiva l'interrogatorio.
Era sempre così fra loro, non c'era mai un minuto di riposo, mai un momento in cui potevano semplicemente godere l'uno della presenza dell'altra.
Una lotta continua che li sfiniva, li portava ad essere stanchi anche solo di condividere l'ossigeno, eppure, non potevano farne a meno.
"Non ti riguarda, davvero." sussurrò, esausta ormai, prendendo dalle mani di Alessandro i caffè che aveva preparato, e porgendoli ai clienti con il suo sorriso più finto, per nascondere il fastidio che la stava invadendo.
Vide che, con tutta la rabbia che quell'argomento gli provocava, lui continuò a svolgere il suo lavoro, avviava la macina, preparava le tazzine, schiumava il latte per i caffè macchiati.Nonostante il centro dei suoi pensieri fosse altrove, l'uomo al suo fianco si impegnava a soddisfare le richieste dalla clientela, che aspettava aldilà del bancone in marmo di essere servita.
"Buongiorno, Eleonora."
Il signor Martinelli, uno dei clienti più anziani del bar, le porse lo scontrino e la salutò, senza nascondere l'immensa preferenza che aveva nei suoi confronti, sfoggiando un sorriso smagliante che marcava ulteriormente le rughe che gli incorniciavano il viso.
"A lei, signor Martinelli, il solito?" chiese entusiasta, appoggiandogli davanti un piattino in ceramica e un cucchiaino.Il cliente si limitò ad annuire, ed Eleonora gli riempì un bicchiere d'acqua frizzante, proprio come piaceva a lui.
Erano pochi, forse solo quelli non abituali, i clienti che dovevano precisare le loro richieste: Elly aveva una memoria di ferro e riusciva a ricordare i loro gusti, l'orario in cui magari variavano richiesta, e amava che i suoi compaesani la elogiassero per questa premura.I napoletani sono così, se entrano in un bar e vengono serviti senza nemmeno aprire bocca, si sentono coccolati.
"Me ne prepari uno schiuma.."
"schiumato in tazza bollente con dolcificante, si, è quasi pronto." la interruppe il suo collega, mostrandole quanto fosse attento al suo lavoro, e bravo a reprimere le sue emozioni.
Alessandro era il macchinista del bar in cui lavorava, ovvero la persona addetta a preparare i caffè, cappuccini, tisane, ed Eleonora aveva il compito di portargli il conto di quanti caffè e come dovevano essere, di disporre piattini e cucchiaini e di offrire l'acqua ai clienti.
Era un lavoro di squadra, il loro, richiedeva alchimia, soprattutto nei giorni più affollati in cui il tempo per servire la clientela diminuiva, e loro non avevano mai fallito in questo.
Lei pensava, lui agiva.
Lei agiva, lui pensava.
Mai un margine di errore, sin dal primo giorno svolgere quelle attività insieme, in totale sintonia, fu completamente...naturale per loro.
Lavorativamente era senza dubbio una qualità quella di capirsi al volo, senza la necessità di parlare.Privatamente, no.
Alessandro la spogliava in continuazione di ogni sua emozione, bastava uno sguardo e captava all'istante ciò che Eleonora pensava, ciò che desiderava.La scrutava e riusciva a cogliere ogni pensiero, ogni insicurezza.A volte la stupiva con gesti inaspettati, anticipava i suoi desideri, e aveva imparato a leggerla.
"Perché ne hai fatti due?Te ne ho chiesto solo uno." gli chiese, ormai infastidita da quella chimica che riempiva lo spazio in cui lavoravano, notando che affianco alla tazza del signor Martinelli, ce ne era un'altra di vetro.
"Calmiamoci un po', eh, bambina.Non fare la sapientona che me le fai girare.È per te, stupida, è il tuo orario." bisbigliò con uno sguardo severo e un tono rude, aggiungendo un cucchiaino e mezzo di zucchero al caffè in vetro che aveva appena fatto, e porgendolo ad Elly.
Era vero, Eleonora stava per chiedergli un caffè, approfittando del momento di tranquillità che era calato nel negozio, così come gli altri colleghi smanettavano con gli smartphone o chiacchieravano tra di loro.
Amava essere capita, o conosciuta, così tanto da Alessandro.Nonostante fosse arrabbiato con lei, aveva ugualmente soddisfatto una sua esigenza, e lei non potette far a meno di sorridere a quel gesto, che rafforzava ancor di più il loro rapporto.
Il modo in cui le loro teste combaciavano la sorprendeva ogni volta, la stordiva e la rendeva solo più vulnerabile al cospetto di quell'uomo, che non era il suo, e che non poteva assolutamente permettersi di venerare in quel modo.
Prese il suo caffè, ringraziando Ale con uno sguardo, e dopodiché si dileguò negli spogliatoi per fumare la sua sigaretta.
Entrando nella stanza, una fragranza maschile presente nell'aria le solleticò le narici, prestò più attenzione, e riconobbe il Bois D'Argent di Dior, segno che prima di lei, c'era stato Alessandro a fumare.
Non che quella stanza venisse usata solo per quello, -erano disposti anche un tavolo in legno, di modeste dimensioni, e un lavabo in acciaio con due vasche abbastanza grandi, in cui di solito venivano lavate le stoviglie necessarie al loro lavoro- ma conosceva la mania di Alessandro di spruzzare metà boccetta di profumo dopo aver fumato, per questo arrivò a quella conclusione, ricordando che un'oretta prima si era effettivamente allontanato.
Era solo a metà della giornata lavorativa, e si sarebbe già dileguata per tornare a casa, stremata dal contatto continuo con le persone e dal dover fingere di essere ben felice di lavorare li come schiava.
Accese la sua Marlboro e aspirò una quantità notevole di fumo, rilassandosi all'istante;fece cadere la cenere della sigaretta, picchiettando con il pollice l'estremità, si appoggiò al bordo del lavandino, e incrociando i piedi e rigettando il fumo nell'aria, seguì la scia che lasciava mentre si dissolveva, sperando di scomparire nello stesso modo.Il caldo estivo, in quella saletta, dedicata solo ai dipendenti, si moltiplicava e diventava insostenibile;c'era solo una piccola finestra nel bagno, l'assenza di altre vie d'uscite non permetteva all'aria di cambiare, il calore che le impregnava la pelle rimaneva in quelle quattro mura, e così anche tutti i suoi segreti, i suoi gemiti, i suoi desideri.Quella stanza era testimone di tradimenti e infedeltà, ma soprattutto di alcuni dei suoi ricordi più belli.
Sentì la porta aprirsi, e di scatto si voltò verso l'entrata, e vide Alessandro entrare e rivolgerle lo sguardo più duro che avesse mai visto.Non riuscì a sostenere quell'occhiata, perché sapeva di averlo deluso, di nuovo.Si sentiva sempre svuotata di qualsiasi emozione quando lui la trattava in quel modo, era l'unico capace di dare vita alle sue sensazioni e l'unico che gliele poteva anche togliere.Ale riusciva, più di chiunque altro, a influenzare ogni suo comportamento, ogni sua decisione, la stava educando, e non solo nel campo lavorativo, in cui lui era ormai veterano, ma cercava di insegnarle e trasmetterle tutto ciò che conosceva.
Iniziò a tremare, e sperò con tutta se stessa di non avere nessun attacco di panico.L'ansia le corrodeva le pareti dello stomaco, respirare le era sempre più difficile:consciamente sapeva quanto la sua presenza la disarmasse, e non voleva cadere di nuovo in quella rete in cui lui riusciva a trattenerla, inevitabilmente, sempre.Sentì il sudore formarsi sulla sua schiena, la camicia bianca della divisa incollarsi sempre di più alla sua pelle, formando quasi uno strato aggiuntivo.
Decide di mostrarsi forte, e facendo appello a tutto il coraggio che aveva sostenne il suo sguardo per svariati minuti, si dimenticò persino di fumare, e, quindi, a consumare la sua sigaretta, ci pensò l'aria.
"Dobbiamo parlare, subito." Alessandro si appoggiò al tavolo, in posizione parallela alla sua, con le braccia incrociate al petto e la scrutava, per scorgere ogni tipo di insicurezza.La rabbia lo stava facendo impazzire.
Quel discorso lo avevano affrontate varie volte, litigavano di continuo, ma il finale era ormai conosciuto ad entrambi.
L'aria era diventata pesante, e non era più colpa dell'afa, ma colpa di tutte le sensazioni che quell'uomo le provocava, squarciando le sue sicurezze e rendendo l'astio e l'odio palpabili.Non nei suoi confronti, ma delle sue scelte.
"Ale, per favore.Non ho bisogno che tu mi faccia la ramanzina, ne abbiamo parlato mille volte, non sei mio padre." era così stufa di sentirgli dire sempre le stesse cose, che pensò di stroncare il tutto sul nascere.
"Non trattarmi cosi, sono io quello incazzato, dimentichi?"
"Non sei mio padre." ribadì, più sicura di voler scappare che di voler parlare con lui.
Alessandro voleva essere l'unico a percorrere il suo corpo, l'unico a guardarla, bramava averla solo per se.Odiava sapere che qualcun altro le dava attenzioni, e non sopportava vederla corrodersi per una relazione che non la rendeva affatto felice.
"Perché non capisci?Voglio solo proteggerti da lui, voglio solo che ti prendi cura di te stessa perché io non posso farlo.Non puoi stare con lui, ti sta distruggendo."
"Non puoi parlare proprio tu!" sbottò, alzando il tono della voce. "Il dolore fisico che mi provoca lui è zero paragonato a quello che provo ogni volta che so che sei con lei."
Notando la sigaretta ormai corrosa, superò la porta del bagno e la gettò nel water.Ritornò nello spogliatoio, e riprese a fissarlo, perdendosi completamente in quegli occhi verdi che la percorrevano come se fosse irresistibile.
La faceva sentire così donna.
La camicia nera gli comprimeva le spalle larghe, le braccia enormi, doppie.Nonostante fosse in uno stato di rabbia, la guardava con desiderio, facendole ardere ogni centimetro del corpo.
Notò come stringeva le mano in un pugno e come le vene risaltavano sulla carnagione chiara.Il suo aspetto fisico non c'entrava nulla con i motivi per cui lei si era invaghita di lui.Ma l'imponenza fisica lo rendeva perfetto per giocare a basket, per riempire le stanze anche solo con la presenza, e soprattutto era perfetta per dominare l'istinto ribelle di Elly.
"Credi sia facile per me vedere i tuoi lividi sulle braccia, o magari un sopracciglio rotto?Credi mi piaccia dover calmare i tuoi attacchi di panico ogni volta che lui ti sputa addosso tutta la sua rabbia?Ah no, sicuramente tu credi mi piaccia di più vederti digiunare, così quando ti scopo contro un muro sei più leggera, vero?È questo che pensi?" le si avvicinò, e si abbassò per porsi faccia e faccia con lei.Sembrava che avesse gli occhi vuoti, come se quella situazione lo privasse della sua propria anima.Era cosi accecato dalla rabbia che non aveva nemmeno notato i sobbalzi che percorrevano Eleonora ogni volta che aumentava la voce di un tono.
"So badare a me stessa, non devi intrometterti.Non sei nessuno, ficcatelo in testa."
"Eccola, la ribelle del cazzo.Con me ti comporti così, fai la fighetta che riesce a cavarsela da sola, ma quando lui ti fa del male te ne stai zitta, eh?" urlò, battendo un pugno contro l'armadietto antecedente alla porta.Il suono dell'alluminio rieccheggió nella stanza, ormai diventata un covo di urla e sguardi pesanti.
"Perché tu non hai nessun diritto di dirmi cosa devo fare, quando lo capirai?Lui mi ama e mi ha promesso di cambiare, punto."
"Ti ama?Quello non è amore, Elly.È ossessione, la stessa ossessione che ti sta consumando, e che, cazzo, sta consumando anche me!Mi strapperei la pelle pur di proteggerti." confessò lui, ad un passo da lei.Abbassò la voce, tentando di calmarsi.Sapeva che Eleonora, da li a poco, sarebbe stata vittima dell'ennesimo attacco di panico.Lo sapeva perché era lui quello che la calmava, sempre.Abbandonava ogni cosa pur di assorbire un po' del dolore che la invadeva quando stava male.
"È un coglione, non merita tutto ciò che fai per lui." continuò, volendo smuoverla a contestare.
Eleonora fece per andarsene.Ne aveva fin troppo di quel discorso.
Non sopportava la sfacciataggine con cui lui affrontava quel tema, il fatto che parlasse della violenza che subiva con così poca delicatezza.Non accettava che lui sapesse tutto, nonostante lei non le avesse mai raccontato nulla.Lui lo aveva capito, non come gli altri che fingevano di non accorgersene.
"Non.Uscire.Da.Questa.Stanza." la afferrò per il gomito, portandosela contro il proprio petto.
Ogni centimetro del suo corpo fu percorso da un brivido.Essere circondata dalle braccia di Alessandro la faceva sentire protetta, come se finalmente fosse tornata a casa, potente, come se nulla potesse recarle dolore.
"Sei la mia bambina, cazzo.Non posso lasciarti nelle mani di quel bastardo, non più.Basta, ti prego, basta."le sussurrò, mentre le sfiorava il naso con il suo e le lasciava un bacio castissimo sulla fronte.
Le si riempirono gli occhi di lacrime, e incurante di tutto ciò che stava succedendo al di fuori di quella stanza, Eleonora iniziò a singhiozzare.Appoggiò la testa sul petto di Ale, abbandonandosi completamente al suo corpo.
Era un pianto silenzioso, perché non voleva dimostrarsi debole, non voleva dimostrare ad Alessandro che aveva ragione, anche se lui sapeva quanto lei si sentisse impotente in quella situazione.Il suo ragazzo la stava distruggendo, le aveva tolto tutto.
La settimana prima, Elly gli aveva confessato di aver preso la decisione di iniziare l'università, e lui, sostenendo che fosse solo un posto inutile in cui i porci l'avrebbero mangiata con gli occhi, aveva fatto una sfuriata, colpendola in pieno viso e rompendole il sopracciglio.Si era ribellata, e lo aveva lasciato.Ma lui era ritornato, le aveva promesso di cambiare, di nuovo, e lei aveva ceduto.Non si sarebbe mai sentita abbastanza forte per lasciarlo definitivamente.
La sua estrema gelosia, però, non era stata abbastanza, evidentemente.
La forte sintonia che aveva con Alessandro era stata più forte di qualsiasi proibizione, sfociando nella passione pura e oltraggiosa.
C'erano giorni in cui si sentiva maledettamente sporca, ma i momenti passati con lui valevano molto di più.Lui la ascoltava, la capiva, era interessato ogni volta che lei parlava delle sue passioni, o di come si sentisse soddisfatta dopo che i ragazzi a cui dava ripetizioni prendevano un bel voto a scuola.
Non era bello essere l'amante di qualcuno, ed era sicura che anche Ale si sentisse sporco quando guardava la sua ragazza, ma ciò che condividevano era molto più profondo di una relazione clandestina.Era come se uno fosse l'estensione dell'altro, come se fossero fatti della stessa essenza.
Le prese il viso fra le mani, e la baciò dolcemente sulle labbra.I loro corpi si reclamavano, si desideravano, i punti in cui lui la toccava, bruciavano e richiedevano di essere sfiorati ancora, e ancora.
"Non sopporto vederti con gli occhi gonfi e tristi.Ti giuro che appena lei starà bene, racimolerò il mio coraggio e la lascerò andare.Dobbiamo solo aspettare, pero per favore, non permettergli di farti del male, non posso resistere ancora per molto prima di spaccargli la testa durante un partita."
Le sue parole la trafissero, perché rappresentavano la realtà.Non potevano uscire insieme, non potevano andare a mangiare al ristorante, non potevano viversi realmente perchè non erano una coppia, ma solo amanti.
Nessuno dei due voleva ferire altre persone, assolutamente.Stavano insieme semplicemente perché era successo.Il destino li aveva portati li.Ci avevano provato a chiudere, tante volte, richiesero persino un cambio di turno al loro titolare, ma non riuscivano a stare lontani.Ciò che c'era tra di loro era stato scritto da qualche stupida fatina del destino, perché non erano in grado di gestirlo, venivano sempre raggiunti dalla passione, e nonostante il sapore di peccato che si percepiva vivido nell'aria, non potevano evitarsi.
Eleonora aveva sempre creduto al destino, e soprattutto alla leggenda del filo rosso; ma si convinse dell'esistenza del fato proprio quando mise insieme i pezzi e le casualità che l'avevano portata alla conoscenza di Ale.
Tre anni prima, erano stati allo stesso compleanno, Alessandro aveva accompagnato sua sorella, e Eleonora era amica della cugina della festeggiata; non si erano conosciuti, ne si ricordavano.Una coincidenza.
Due anni prima, Alessandro e il ragazzo di Eleonora si erano sfidati durante una partita di basket, sport che li accomunava.Un'altra coincidenza.
Durante gli anni del liceo, Eleonora si riforniva del materiale scolastico in una cartoleria nei pressi della scuola, la cartoleria di famiglia della fidanzata di Alessandro.Un'altra stupida coincidenza.
E poi, due mesi prima, si erano ritrovati a condividere il lavoro, a passare più di otto ore al giorno insieme, e piano piano il loro rapporto aveva preso una strada sbagliata.Destino.
Non lo avevano scelto, ma nelle loro vite dovevano incontrarsi, in un modo o nell'altro.E da quando era successo, non avevano potuto evitare di attrarsi come due calamite, come se la vicinanza dell'altro alimentasse il fuoco che li governava.
Le loro rispettive relazioni, almeno sentimentalmente, erano già finite da tempo.Rimanevano in piedi solo grazie al silenzio, alla vergogna, e alla pena.
La fidanzata di Alessandro aveva da poco perso il padre, ed era in uno stato di shock profondo, seguiva la terapia per potersi riprendere dalla depressione, e più volte lui, nonostante la convinzione, non era riuscito ad affrontare l'argomento "chiusura", o almeno cosi le aveva raccontato.
Il ragazzo di Eleonora, invece, glielo impediva.Più litigavano, più la picchiava, più la tratteneva.La violenza fisica a cui la condannava era la meno importante, considerando che la sminuiva in continuazione e le aveva strappato via ogni grammo di allegria che la caratterizzava precedentemente.La lasciava lavorare, si, ma solo perché i fratelli di Eleonora si erano intromessi e gli avevano chiarito che non avrebbe interferito anche li.
"Ti sei calmata?"
Si limitò ad annuire, il pianto le aveva lasciato un brutto nodo in gola.
"Dormi da me, stasera?" le chiese, asciugandole le lacrime.
Anche questa volta non rispose.
Nonostante il sapore peccaminoso che aveva quella domanda, non poteva fare a meno di apprezzarla.Il sentimento di spensieratezza che la invadeva ogni volta che programmavano di passare il tempo insieme, ovvero raramente, la fece sentire rinata.Una volta usciti da lavoro, Alessandro andò all'allenamento ed Elly a fare ripetizioni ai suoi piccoli alunni, che dovevano migliorare durante le vacanze estive per riprendere al meglio a settembre.
Ale passò a prenderla subito dopo, e insieme arrivarono al suo appartamento.
"Sono curioso di sapere la bugia che hai raccontato a tua madre." ironizzò Ale, mentre si impegnava a cucinare qualcosa.
Eleonora se ne stava sul divano, con solo una maglia enorme che la copriva fino alle cosce e delle calze alte fino al polpaccio, proprio come se fosse casa sua.Avevano un'intimità tutta loro, anche se a volte veniva invasa da altre persone.
"Che andavo da Valeria, ovvio." ridacchiò, mangiando delle patatine confezionate.
Ricordando il discorso di quella mattina, si sentì maledettamente in colpa per il modo in cui aveva trattato Ale.
Effettivamente, lui cercava di proteggerla.Proprio come faceva suo padre, o i suoi fratelli, a cui lei nascondeva la maggior parte delle cose.
Mentre ammirava il modo in cui si muoveva esperto tra i fornelli, cercò di formulare un discorso adeguato, non troppo umiliante per lei ma abbastanza profondo da colpire lui.
Era sicura di volersi scusare, anche se odiava farlo.Di solito negava fino all'evidenza pur di non ammettere di essersi sbagliata o di avere torto.
Si alzò dal divano, e abbassando la t-shit un po più in basso, gli si avvicinò.
"Culo, senti..."
"Scusa?Come mi hai chiamato?" Ale si girò di scatto, e con un sorriso smagliante le cinse la vita con le braccia, avvicinandola ulteriormente a sè.
"Culo, perché?Ci chiamiamo sempre cosi" fece spallucce, non capendo lo stupore di lui.
"Ah, quindi la signorina non è più arrabbiata?"
"Pensavo fossi tu ad esserlo, e comunque proprio di questo vorrei parlarti."
Ale slegò l'intreccio delle sue mani, e le portò più in basso, ad affondare le dite nella carne del sedere di Elly.Fece leva sulle ginocchia per alzarla e la fece sedere sul ripiano della cucina.
"Ora sei alla mia altezza." le sussurrò, rubandole un bacio veloce.
Eleonora intrecciò le gambe intorno ai suoi fianchi, per sentire il calore del suo corpo un po' più vicino, e appoggiò entrambe le mani sul marmo freddo, per rimanere in equilibrio.
"So che vuoi solo proteggermi.A volte sbaglio a puntarti il dito contro, dimentico quanto tu stia male altrettanto.Non voglio sembrare scontata, ma anch'io vorrei abbandonare tutto pur di vivere un po' con te.Mi devasta sapere che sei mio solo un po', e non poter urlare al mondo che io sono tua."
"Non sarà così sempre, culo." tentò di rassicurarla, accarezzandole col dorso della mano la guancia, riconoscendo in lei lo sforzo enorme che stava facendo per aprirsi così.
"Lo so, lo so, e so che abbiamo scelto entrambi di ritrovarci in questa situazione, ma...non posso fare a meno di noi.Mi completi, mi illumini, e posso aspettare ancora, se la meta finale sarà una vita intera insieme."
Rapidamente, con un bisogno urgente di farla sua, Ale la baciò con impeto, risvegliandole ogni senso, provocandole bruciore in ogni parte del corpo.Elly si sentiva ardere di passione, sentiva il richiamo del corpo di lui di perdersi nel suo.
Devastante, un bacio al gusto di necessità, ma soprattutto di peccato.
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mai abbastanza coraggio
ChickLitVoi credete nel destino? Eleonora una volta ci credeva, a 16 anni, ma non più ai 21, ormai a quasi 26 anni era convinta che non esistesse nessun destino. Aver creduto per anni di essere destinata a qualcuno non aveva fatto altro che deluderla e reca...