Età Adulta - Il sole mio

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tw: linguaggio omofobo

La bruttezza delle loro vite si sciolse gradualmente in due sfumature distinte, gocce sempre più grigie che cadevano sempre più in basso in direzione di Manuel, nel bassofondo della sua esistenza che s'era sempre distinta per una qualche integrità morale, che si era piegata sotto il peso dell'austerità della vita adulta, e sempre più verdi e secche, spennellate acide di colore verso l'altura a cui puntava invece l'esistenza di Simone.

Non stavano più bene nello stesso quadro, troppe variabili, troppi schizzi distinti, rendevano la loro visione comunitaria spiacevole anche da fuori.

I genitori di Simone insistevano sempre più per quell'allontanamento, ragioni e ragionamenti diversi, ma lo stesso punto focale.

"Non t'ho fatto studià pe startene con mafiosi e fascisti" ripeteva il padre ogni qual volta Simone tentava di raggiungere l'abitazione dell'amico anche solo per un caffè.

"È 'na famiglia de disonesti" piagnucolava invece la madre, che in un matrimonio fra Jacopo e Lavinia aveva sperato fino all'ultimo secondo.

E Simone avrebbe voluto parlargli, non c'era altra anima umana a cui avrebbe voluto raccontare ciò che solo quella mattina gli era stato chiesto, ma ogni volta che ci pensava la sua mente finiva allo stesso disgustoso scenario matrimoniale di cui non voleva farsi testimone, e tra le altre cose non era Manuel la barriera ad ergersi fra lui e Firenze, non era a Manuel che andava chiesto il permesso.

Eppure di Manuel era l'unica opinione a contare, a Manuel, che a malapena tirava una forzata quinta elementare, avrebbe voluto parlare della scelta d'ateneo, della facoltà, del sogno da scrittore, a Manuel, le dita fra il grasso ed il motore, avrebbe voluto chiedere di letteratura e macchine da scrivere, avrebbe voluto chiedere di Firenze, della sua storia, della bellezza delle sue strade.

"Papà?"

Rumore sadico del coltello che incontrava il tagliere, fra un cosciotto di coniglio e l'altro, pareva aver ingarbugliato ogni attenzione dell'uomo, che era d'uso sparire nella sua testa, un po' come faceva Simone, ma perdersi nelle bruttezze che lo attanagliavano, che il figlio non riusciva a visionare se pur percepiva nel suo sguardo perso, nella testa china, nel capello abbassato, sempre incastrato fra le mani o fra le gambe, come se d'improvviso qualcosa o qualcuno potesse trovarlo impreparato nella necessità di indossarlo.

La bruttezza di suo padre s'era sempre distinta da quella attorno a lui, pareva più ragionata, giustificata, aveva lo stesso fascino che conservava la vita anche nei suoi punti più bui, pareva piena di storie, come lo era quella di Simone, piena di colore come quella di Manuel.

"Papà?"
E il padre si destò da quel sogno ad occhi aperti, il coltello quasi gli sfuggì a tagliare una falange al posto del piccolo osso di roditore, e Simone vide in quegli occhi persi un accenno di panico.

"Papà, non è successo niente" tentò allora di rassicurarlo.

"Si, no, non è nulla" si scoordinò, prese serio a cercare una pezza per pulirsi le mani, il capello ancora incastrato fra le cosce.

"Che me dovevi dì, Simò?"

"M'hanno proposto un esame"

"Un esame?"

"D'ammissione, per un'università importante"

Vide il padre deglutire, un'espressione sconosciuta prese rivalsa sul suo volto, assomigliava alla fierezza d'anni prima, quando Simone gli aveva chiesto delle scuole medie, ma era più amara, quasi intinta di vergogna.

"Simo, io so' così felice che tu sei bravo come sei" gli accarezzò il volto intingendolo della crudele gelatina sporca della morte del piccolo animale sventrato sul tavolo, prima di prendere fiato e continuare "Però io una cosa del genere non me la posso proprio permettere"

Nella realtà si fa come si può Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora