Nel paese dove vivo piove sempre. Piove ora mentre scrivo, pioverà domani mentre sarò via.
In un paese piccolo dove piove e la tradizione dell'amore per la bottiglia si trasmette di padre in figlio (o meglio: dai genitori ai figli- nè le madri né le figlie sono da meno dei maschietti e qui diciamo le cose come stanno- ) da secoli è quasi scontato che il rifugio della gioventù sia rintanarsi in uno dei tantissimi bar. Potrei parlare per ore di come ad ogni bar appartenga una determinata categoria di abituali clienti e che sia pressoché impossibile cambiare rifugio, ma parlerò del mio bar. Che in realtà si potrebbe classificare come pub, meglio ancira Irish pub, dal fantasioso nome (Brando, il proprietario, è particolarmente orgoglioso della trovata) di " Moonshiner's Pub. Nonostante questo, noi assidui frequentatori facciamo fatica ad abbandonare il nome storico "Lugar" intimo e caldo, candele e (un) gatto nero sui tavoli con qualsiasi tempo e stagione.
Quella sera me ne stavo andando a mangiare al Lugar, mia mamma e mia sorella mi avevano accompagnata all' entrata e lì mi avevano abbandonata, doveva essere una gran fortuna perché mia mamma mi aveva dato i soldi per la cena e così mi ero risparmiata la fatica di cucinare e pure i miei soldi siccome loro due avevano un impegno per la serata.
Scelsi un tavolo e mi diressi al banco per ordinare, mi sedetti, appoggiai la schiena allo schienale della sedia e mi accorsi che la mia giacca era sparita.
Ero preoccupata, non capivo.
Mi guardai attorno attentamente.
Ad un tratto intravidi da una porta una cameriera, con la mia giacca in mano. La chiamai:
《Scusa potrei vedere la giacca che hai in mano?》.S puntó dalla porta e con voce angelica e occhi diabolici rispose:
《Quale giacca? Non ne ho vista nessuna mi dispiace.》
《Avevi in mano una giacca, ed è la mia. Si trovava qui, appesa alla sedia e ora non c'è più》ero arrabbiatissima, la falsa vocetta innocente di lei mi faceva innervosire al punto da sentir bruciare il desiderio di colpirla fortissimo.
《Se vuoi posso andare a chiedere al propietario.》
Mi voltai e lo vidi al di là del bancone. Non era il Brando a cui ero abituato l'ex personal trainer giovane, atletico e con il barbone nero, ma piuttosto il contrario, l'uomo che vedevo era basso, molto robusto, quasi rotondo, con un' espressione malvagia stampata sul volto vecchio sopra il quale un ampio cerchio di pelle lucida attorniato da capelli lunghi, grigi e crespi, coronava il tutto.
《Non importa.》le risposi.
Avevo paura, ma ero troppo arrabbiata per fare finta di niente.
Uscii a prendere una boccata d'aria e chiarirmi le idee, ma vidi dal vetro della porta che il vecchio si stava accingendo ad entrare nella stanze chiuse riservate all staff. Fulminea aprii la porta e una coppia di ragazzi bellissimi mi seguì :
《Possiamo aiutarti.》dissero.
Non capii se era una domanda o un'affermazione, ma annuii. Erano entrambi alti, non davano l'impressione di essere fisicamente troppo magri, ma era come se si innalzassero, erano.. regali. Lui aveva i capelli ricci e arancioni, lei lunghi e scuri. Lui si chiamava Tom, non capivo come potessi conoscere il suo nome, ma in qualche modo lo sapevo e anche lui mi era familiare. Lei indossava un lungo vestito bianco e non sembrava appartesse a questo mondo, o almeno, non al mio paese o al Moonshiner's. I due mi inviarono di far piano e, leggeri leggeri, ci intrufolammo dentro la stanza chiusa dalla porta aperta.
Eravamo in un corridoio buio, su cui davano un sacco di porte scure, ne sciegliemmo una caso, su cui dava un'altra porta. Cominciammo a cercare in una stanza dopo l'altra. Ad un certo punto mi accorsi che la ragazza con il vestito era sparita, restavamo io e Tom. Avevo il respiro affannoso e tanta paura, finché qualcosa cambiò, non capivo cosa fosse ma la nuova camera era diversa, aveva un odore differente. Tom cominciò a tastare le pareti invece di dirigersi verso la porta come avevamo fatto fino a quel punto. Arrivato alla terza parete sospirò: 《Vieni qui.》Premette le mani sulla muro e spinse.
Era una porta nascosta! Mi prese un braccio e la attraversammo, verso il buio.
Mi sentì precipitare, ma per fortuna fu un salto di mezzo metro o poco meno. Avevamo fatto un bel rumore, ero un po' preoccuoata, mi alzai sistemandomi e alzai lo sguardo.
Ci trovavamo dentro un teatro.
Anche Tom osservava tutto meravigliato, questo non se lo aspettava nemmeno lui.
《Di qua!》 L' urlo ci interruppe e ci colse di sorpresa. Eravamo stati scoperti! Contemporaneamente ci dirigemmo verso i camerini e Tom si mise a tastare tutte le pareti, ma invano. 《Il soffitto.》lo chiamai. Avevo notato che c'era un quadrato nel muro sopra di noi di un colore leggermente diverso da quello principale. Il ragazzo spinse e il pezzo di parete si tolse, lui si issò sopra e poi tirò su anche me.
Ci trovavamo in una stanzetta minuscola che dava su una terrazza, appogguata ad un prato in salita. Uscii per dare un' occhiata attorno e notai che c'era uno steccato che allontanava la discesa. Notai una signora che mi guardava e sussultai.
《Come ti chiami?》chiese.
Era vestita di una lunga vestaglia violetta, aveva dei capelli lunghi e di un colore indefinibile, un misto tra grigio, indaco e polvere. Erano crespi e disordinati e le cadevano sulle spalle.
《Alice.》risposi.
Lei sorrise. Ma subito dopo cambiò espressione, e cominciò ad urlare.
《ALICEEEE si chiama AALICEEEE》
Tom spuntò dalla stanzetta:
《Falla smettere!》
《Come?》 Lui non rispose.
Il cuore mi batteva forte nel petto.
《Non mi chiamo Alice, mi chiamo Emma, EMMA!》
La donna taque.
Mi voltai sorridendo verso Tom, non lo vidi.
《EMMAAAA si chiama EMMAAAA non Alice, ma EEEMMAAAA!》
Non fu neccessario che Tom uscisse per avvertirmi, sentii anche io passi zoppicanti che venivano a stanarci. Mi precipitai giù dal pendio e dalla terrazza, Tom mi prese per un braccio:
《L' ho trovata, ho trovato la tua giacca, andiamo!》
Ero nella confusione più completa, non capivo come avremmo potuto fare a fuggire. Cominciammo a correre, lui mi trascinò per i corridoi neri, ma ad un certo punto mollò la presa, eravamo all'inizio di un ultimo corridoio che terminava con una scala esterna.
《Vai.》
Io annuì e mi precipitai per il corridoio e poi scesi le scale. Quando fui davanti alla porta del pub mi girai.
Vidi il soffitto crollare e con lui due figure per mano, dietro di loro il vecchio sbigottito che guardava.
Atterrarono in piedi, eleganti e regali in mezzo alle macerie. E la dama bianca era ritornata. Capii che dovevo allontanarmi e trovai tre carretti bassi, rettangolari poggianti su due ruote, salii sul mio che mi riportava a casa. Ero salva.Tempo dopo.
Tornai, molto tempo dopo al pub, volevo portarci mio papà a mangiare, le cose erano tornate alla normalità e tornare al caro vecchio Lugar mi sembrava naturale. Ci sedemmo ad un tavolo e mangiammo allegramente, io e mio papà chiaccheravamo felici, ero propio contenta che fosse venuto a mangiare con me.
Mi voltai e scorsi un viso ben noto contratto in una smorfia di odio.
Vidi il vecchio sillabare a qualcuno :
《È lei》
Mi alzai.
《Andiamo!》
Mio papà capì subito e corremmo fuori dal pub. Era la strada che avevo fatto migliaia di volte, ma quella era diversa, correvo come non avevo mai corso prima, con mio papà e uno scagnozzo del vecchio alle nostre spalle.
Non era più un gioco, una gara, come quando ero piccola, io e mio papà correvamo per la vita. Vidi mio papà allontanarsi, sulle prime fui colta dal panico, ma capii: per casa ma c'erani due entrate: dovevamo dividerci. Vidi mio papà che cercava di farmi un gesto: voleba che ci incrociassimo per confondere il nostro inseguitore ancor di più.
Con il cuore in gola lo assecondai, la paura e l'adrenalina mi stavano dando alla testa. Correvo più veloce che mai.Mi sono svegliata con il cuore che batteva velocississimo, avevo paura che scoppiasse o che mi stesse venendo un infarto.
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L'Alice sbagliata - ovvero - viaggio di notte nel mio paese delle Meraviglie
De TodoRaccolta di sogni, ma sogni veri!che la mia mente produce di notte. competamente fuori, ma và così. Sogni d'oro..