Ignazio

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Ignazio ha cinquant'anni.
Va alla Caritas tutti i giorni.
Là si prendono cura di noi, dice.
Sul suo volto stanco c'è ancora lo spazio per un sorriso.
Ha un odore strano, Ignazio. Si scusa, mi dice che forse sento puzza. Gli dico che non m'importa.
Dice che è colpa del fumo.
Penso si riferisca alle sigarette, ma Ignazio scuote la testa. Parla dei piccoli faló che fanno, giù alle "capanne", per scaldarsi. Parla delle tende dove vivono, lui e gli altri. Parla del freddo di gennaio che non si sopporta, la notte. Si sfrega le mani, Ignazio, mi dice che ha fame.
Cerco nella borsa, ho solo i miei mandarini da viaggio. Gliene offro due, tre, quanti ne vuole.
Lui ne prende due, mi ringrazia, sorride. Gli chiedo cosa ci fa su questo treno direzione Roma.
Mi dice che ha risparmiato tanto per permettersi di andare a trovare un suo amico in ospedale, a Genova.
Non ci era mai stato, a Genova. Non ce lo vedo, Ignazio, a Genova. O forse si.
Lui alza le spalle, ingoia uno spicchio dopo l'altro.
La Caritas lo ha aiutato, per il viaggio. Mi dice che gli hanno dato vestiti nuovi; mi mostra il suo impermeabile nuovo. Sorrido, non mi sembra così nuovo ma non glielo dico. Gli chiedo cos'ha il suo amico.
Lui si intristisce un po', mastica piano.
Dice che ha la cirrosi epatica.
Non sta molto bene, mi dice scuotendo la testa.
Ignazio voleva proprio andarlo a trovare. Non voleva aspettare. Non gli chiedo perché.
Invece gli sorrido, ma non so cosa chiedergli. Non ne ha bisogno, di domande. Mi parla di Roma, della sua città. Ignazio ama Roma, la ama come può amarla uno come lui.
Mi racconta delle tende in cui vive, che non sono poi tanto male, degli amici che gli danno conforto, dei tramonti che si vedono dai punti più belli di Roma. Sento lo sforzo che fa per non mostrarmi le ombre della sua vita; quelle che si aggirano di notte ad aggredirli, a derubarli di qualche coperta, di qualche bene irrinunciabile. Mi racconta della bellezza del cielo d'estate, quando la notte le luci di Roma si spengono e restano solo le stelle. Mi racconta che dormire su una panchina non è brutto come posso pensare. Gli sorrido, lo ascolto, non lo contraddico. Sento che per lui è importante che io gli creda. E io lo faccio, gli credo. Perché il cielo d'estate è sempre bello, da dovunque lo si guardi. Perché le stelle rassicurano chiunque le interroghi. Perché chi non si è sdraiato su una panchina, di notte, e sentito che non bastava nient'altro?
Ignazio sorride, la tristezza velata appena dietro il suo sorriso stanco. Lo sappiamo entrambi, se ne sta la dietro acquattata. Ma non c'è bisogno di mostrarla, finché riesce a starsene buona dietro le bucce di mandarino. Come i noccioli odiosi che quando metti in bocca lo spicchio, per quanto lo controlli, non li individui mai. Ma poi eccoteli sotto ai denti, quei maledetti noccioli. Duri, spigolosi, pronti a rovinarti il succo del mandarino. Vanno sputati quei noccioli.
Ignazio, invece, non ne sputa nemmeno uno. Lo vedo ingoiarne uno dopo l'altro, senza battere ciglio.
Mentre scende dal treno, stretto nel suo impermeabile nuovo, mi domando se, nel fondo della sua pancia, qualcuno di quei semi potrà mettere radici. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 22, 2023 ⏰

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