– Ciao, scusa il ritardo.
Lui siede, sbuffa, borbotta qualcosa riguardo al traffico ma non sto ascoltando, sto immaginando di scoparmelo nel bagno del locale, farlo schizzare sul muro accanto all'orinatoio, il cazzo schiacciato sulle piastrelle.
– Taehyung?
– Sì.
– Stai bene?
– Sì.
– Hai ordinato?
– Due caffè.
– Va bene, vediamo che cazzo fanno da mangiare.
Sto sudando come un animale, sono un cane bagnato.
– Jungkook.
– Sì.
– Vuoi scopare?
Lui si ferma, stacca gli occhi dal menù, mi indaga.
– Stai bene?
No, non sto bene per un cazzo, sono fradicio e dolorante, le mutande addosso mi fanno male. Jungkook abbassa il menù, affila lo sguardo e a me viene solo più voglia di strisciare sotto al tavolo e succhiarglielo.
– È che ho fatto un sogno.
– Ma non mi dire.
– Invece ti dico. E questo sogno l'ho rifatto. Molte volte.
Lui sospira, chiude gli occhi, si massaggia le palpebre.
– E da quand'è che-
– Due mesi. Due mesi che sogno di martellarti il culo e sono sfinito, non riesco a dormire, mi devi aiutare.
Lui sbatte la mano tatuata sul tavolo, tira su col naso.
– Io non mi faccio fottere, Taehyung, lo sai.
– Lo so, è che questa cosa mi sta uccidendo, cioè se tu potessi anche solo per tre minuti venire con me nel bagno del locale-
– Mi hai preso per un marchettaro?
– No, per carità, allora facciamo in un altro bagno, uno qualsiasi, un bagno scelto da te.
– Un bagno scelto da me.
– Sì.
Jungkook sorride, medita, poi si alza grattando il pavimento con la sedia e mi lancia addosso il menù.
– Vaffanculo, stronzo.A lavoro sto di merda, non riesco a concentrarmi, ho una faccia da paura. Il capo mi chiama nel suo ufficio, mi chiede se sono fatto, se sto morendo. Gli rispondo nessuna delle due, allora lui mi invita a non schiodare il culo dalla sedia finché non avrò completato l'articolo sulla riproduzione delle scimmie dello zoo di Seul. Gli faccio notare che sono le sei del pomeriggio, lui mi fa notare che devo andare a fanculo.
Mezz'ora dopo i miei colleghi raggiungono l'uscita, è venerdì e tutto quello che riesco a pensare è che non vedo l'ora di restare solo per sfondarmi di seghe sotto alla scrivania, prima però andrò a frugare nel cestino di Jeon per vedere cos'ha mangiato, se ha sputato qualche gomma.
Quando sono tutti spariti e le telecamere a circuito chiuso spente mi alzo e corro alla scrivania di quello stronzo, quel maledetto, quell'egoista, cerco nel suo cestino ma ci trovo solo trucioli, fogli strappati, una spillatrice.
Allora corro in bagno, sono gonfio e duro e sto per esplodere, ho bisogno di svuotarmi prima di mettermi a scrivere qualcosa su quelle scimmie del cazzo. Chiudo a chiave la porta e ammiro per un attimo gli orinatoi allineati davanti a me, le porte dei gabinetti chiuse. Da qualche parte in questo bagno lui ha pisciato e la cosa mi fa impazzire. Mi abbasso i pantaloni, mi prendo il cazzo tra le mani e va meglio, molto meglio, inizio a pompare, sento l'eccitazione sciogliermi il sangue come eroina, il buco del culo rilassarsi. Chiudo gli occhi, rallento, voglio durare parecchio, voglio restare qui a toccarmi finché non torno lucido, sano, così potrò scrivere quell'articolo di merda e tenermi questo lavoro di merda. Mi sento sbronzo, sento l'orgasmo salire, sta arrivando, poi qualcosa mi interrompe, il respiro di un altro. Apro gli occhi e lui è davanti a me. La camicia e i pantaloni abbottonati, la faccia rossa, gli occhi liquidi. Mi guarda il cazzo a bocca aperta. Deve essere un sogno, devo essere svenuto alla scrivania, forse sono in coma, arrapato, eppure stavolta è diverso, sento lo sperma colloso sulla cappella, il calore della mia carne, il suo alito di caffè a pochissima distanza.
– Che figlio di puttana – sussurra, scuote la testa, poi si toglie i pantaloni, li stende sul pavimento, si siede sopra, sfila le mutande e apre le gambe. Il suo cazzo svetta sul buco del culo in bella vista.
– Vieni qui, vieni a leccare – è un ordine caldo, allora io smarrito striscio fino al suo culo, m'inginocchio, lecco a lungo, profondamente, succhio finché lui si spalanca, poi gli prendo in bocca la cappella bagnata e con un dito vicino al suo ano m'infilo. Lui urla, io spingo dentro un secondo dito mentre il suo cazzo mi vibra in gola, sta per venire, esco e smetto di succhiare, lo guardo. Lui ha gli occhi allagati come i pantaloni su cui stiamo fottendo. Non mi chiede perché, si alza e si schiaccia al muro vicino all'orinatoio e in un attimo lo sfondo, gli premo la testa sulle mattonelle, allo specchio vedo la mia faccia e fa paura sul serio, chiazzata e umida di saliva umori e sperma, e sento finalmente le pareti del suo culo soffocarmi, e lo martello colpo su colpo mentre il suo cazzo soffre schiacciato contro le mattonelle, immagino che le bagna, che si dimena e improvvisamente non esisto più, sono solo il mio cazzo che affonda nel culo più bello di tutto il maledetto ufficio finché ci svuotiamo e la sua sborra è come l'ho sognata, bianca densa e collosa contro il muro, gocciola fino al pavimento, sulle nostre scarpe.– Ciao, scusa il ritardo.
Lui siede, sbuffa, borbotta qualcosa riguardo a quello stronzo del nostro capo ma io non ascolto, sto immaginando di scoparmelo in mensa, sul tavolo, all'ora di pranzo.