Il passato che ritorna

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Varco la soglia del tribunale di Ancona.
Non è cambiato quasi nulla da quando sono andata via. È sempre quell'ambiente freddo che avevo lasciato: avvocati in giacca e cravatta, militari in divisa e nessuno che ti faccia un sorriso.
Raggiungo quello che era il mio ufficio e che da oggi sarà nuovamente il posto in cui trascorrerò gran parte delle mie giornate. È una stanza fredda e buia, vuota. Sulla scrivania solo tanti fogli di carta. Dalla finestra vedo solamente un grande parcheggio e tante auto.
"Qua non c'è il mare fuori" penso.
Una lacrima percorre il mio viso.
Mi vengono in mente le giornate piene di vita, di paura perché Ciro si era messo in testa che quella sera avrebbe dovuto uccidere qualcuno, di ansia perché quei due fetenti di Filippo e Carmine erano evasi, di soddisfazione perché Pirucchio aveva deciso di "rigare dritto", di terribile tristezza e senso di colpa perché non ero riuscita ad evitare che Viola si buttasse da quel maledetto cornicione.
Ripenso all'amore che ero riuscita a provare per tutti i ragazzi dell'IPM, per Futura, quella bimba che mi ha fatto sentire mamma davvero. E poi, c'era Massimo, "lo stronzo col cuore buono". Da quando sono andata via da Napoli non l'ho più sentito. Mi manca, tanto. Ma non gli telefonerò, forse così soffrirò di meno. Almeno credo.
E poi, probabilmente, lui starà tentando di ricostruire la sua storia con Consuelo.
Bussano alla porta, mi asciugo le lacrime e dico "Avanti". È un collega Magistrato, un mio vecchio amico. È un bell'uomo, riservato, gentile e simpatico. Prima che sposassi Lorenzo avevo provato qualcosa per lui, ma sapevo fosse già impegnato con un'altra donna e dunque avevo messo da parte i miei sentimenti. Da sempre preferisco mettere all'ultimo posto ciò che provo per evitare di ritrovarmi nei casini e forse è per questo che ora mi ritrovo di nuovo, sola, proprio qua ad Ancona, la città dove qualche anno fa la mia vita è stata distrutta.
Giorgio (è questo il suo nome) è venuto a salutarmi e a raccontarmi quello che è successo da quando avevo ottenuto il trasferimento a Napoli. Mi parla di varie vicende giudiziarie, alcune delle quali dovrò occuparmi nei prossimi giorni, del nuovo personale e di quante cose siano cambiate all'interno del tribunale e poi, anche della sua vita. Mi dice che sua moglie è andata a vivere con un altro uomo negli Stati Uniti e sua figlia è con lei. Noto nelle sue parole e nei suoi occhi tanta tristezza e tanta malinconia. "Mi dispiace" sono le uniche parole che riesco a pronunciare. Lui mi guarda e mi dice: "Anche tu, dottoressa Vinci, hai uno sguardo molto triste". "Si sarà accorto che stavo piangendo prima che arrivasse" penso. Faccio spallucce, mi siedo alla scrivania e apro una di quelle cartelle piene di documenti.
Lui si avvicina alla porta per uscire e, con la mano sulla maniglia, sussurra: "Paola, se ti va, una sera potremmo andare a cena insieme".

A vita è n'araputa 'e fenestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora