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Mi conosceva, Giovanni, mi aveva saputa leggere bene fin dall'inizio e questa cosa un po' mi divertiva. Era strano che qualcuno che conoscevo da così poco tempo mi avesse presa così a cuore nonostante le mie maniere spesso brusche e scontrose. Gli volevo molto bene, era uno dei miei più grandi amici, non che ne avessi mai avuti molti. Ma ad un certo punto la razionalità aveva preso il sopravvento: l'avevo capito subito di piacergli, quello che non potevo accettare è che lui stava iniziando a piacere a me. Appena ci siamo scambiati quel bacio, così tenero come quello fra due ragazzini delle medie, quella fastidiosa vocina nella mia testa ha incominciato a tormentarmi, a dirmi che non dovevo fargli del male, non dovevo illuderlo, che il mio era solo bisogno di affetto e apprezzamento. Le ho dato ragione, l'ho allontanato.

La vocina continuava a parlarmi anche quando stavo con te, quando venivi a cercarmi nella mia stanzetta azzurra, quando sapevi che non ci avresti trovato nessuno oltre a me e ti stendevi sul mio letto aspettando che io finissi di scrivere i miei pensieri e che poi te ne parlassi. Mi diceva che non avrei dovuto fidarmi, rendermi così vulnerabile difronte a te, ma non ce l'ho mai fatta ad ascoltarla. Parlare con te mi faceva stare bene in un modo che non avevo mai provato. Il modo in cui mi guardavi fisso negli occhi, a volte anche intimidendomi e costringendomi ad abbassare lo sguardo, mi faceva sentire considerata, capita, apprezzata. Non hai mai finto con me, eri la voce della verità, non mi dicevi quello che volevo sentirmi dire, eri brutale a volte, mi facevi rimanere male, mi arrabbiavo con te, per poi capire che quello che dicevi era sempre giusto, nell'interesse del mio bene.

E poi eri bella, eri così bella che a volte non volevo guardarti, mi sentivo sempre di meno rispetto a te. Ero meno brava, meno affascinante, meno carismatica, la tua voce era sempre più ammaliante della mia, i tuoi modi sempre più giusti dei miei. Eri semplicemente di più, di più di tutti. Eppure, non capisco come, ma avevi mille complessi, mille motivi di non sentirti abbastanza, ti sentivi sempre non all'altezza, ti buttavi giù facilmente e non volevi che nessuno ti vedesse, nessuno a parte me. Mi lasciavi entrare nella tua stanza quando la porta era chiusa, il che significava permettermi di entrare dentro quel mondo incredibile che era la tua testa. Ti lasciavi abbracciare quando non volevi parlare, so che volevi sentirmi vicina in quel modo, così mi sedevo sul letto e distendevo le gambe permettendoti di posarci la testa su, ti accarezzavo piano la testa, la fronte, a volte attorcigliavo quei capelli perfetti intorno alle mie dita finchè non sentivo il tuo respiro farsi più pesante e non vedevo i tuoi occhi verdi chiudersi più rilassati. Ti guardavo per un po', spaventata di svegliarti quando sarebbe arrivato il momento di alzarmi per tornare nella mia stanza. Cercavo di rimandare quel momento il più a lungo possibile, mentre tu dormivi continuavo a scrivere, idee su idee, a volte scrivevo anche di te. Scrivevo di come esserti utile mi facesse sentire bene, di come sentivo il bisogno di esserci per te, di renderti felice, di alleviare un po' il dolore nelle giornate più difficili. Poi ti guardavo tanto prima di trovare la forza di alzarmi e andarmene.

un cazzo di soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora