Certo era scomodo cercare qualcosa in quello sgabuzzino buio, ma avevo bisogno di qualcosa da vendere per comprare la cena a mia madre.
All'improvviso sentì una voce, una voce di una ragazza della mia età, stava parlando al telefono.
Presi la prima arma trovata, non so bene per farci cosa, ma presi delle forbici affilate come coltelli.
Usci dallo sgabuzzino in punta di piedi e la porta dietro di me sbatte, lei si girò.
Era una ragazza che sia per aspetto che per accento non era per niente italiana, aveva dei capelli lisci castano chiaro che andavano fino alla fine del collo, gli occhi erano verdi speranza, si vedeva che aveva un'animo puro, una ragazza che se pur bellissima dubitava di poter essere qualcuno o qualcosa.
Quando i nostri sguardi si incrociarono i mille vuoti che avevo dentro di me si iniziarono a colmare, quella sensazione non mi permise neanche di fare ondulare quelle forbici e per mia sfortuna appena lei si girò per scappare i miei vuoti tornarono alla normalità.Ogni volta che eseguo il tragitto per tornare a casa mia penso che scappare da una prigione sia più facile.
Però quest'oggi mi fermai prima nella rosticceria più affollata di quella sera, per passare in osservato tra tutta quella gente e rubare qualcosa da mangiare.
Stava andando tutto bene finché cinque secondi prima di oltrepassare la porta una mano si mise sulla mia spalla e mi fermo, quella mano era di un'uomo grande e grosso con una folta barba, il grembiule sporco di condimenti per panzerotti vari e gli occhi rossi e incandescenti più della lava
<<Guarda che se vuoi quel panzerotto, lo devi pagare!>> disse l'uomo.
Li pestai un piede facendolo sobbalzare e cadere a terra, corsi così via con la certezza che grazie il mio cappuccio nero, non mi avesse visto più di tanto.
Dopo un'altro pò di corsa tra le strade, i borghi, i palazzi, le piazze, i muri e le città arrivai in una pianura strapiena d'erba, con al centro una casa, devo dire non tanto malconcia,ma in cui dentro si svolgeva l'intero inferno.
Manco il tempo di spalancare del tutto la porta che...
<<Miii hai portato le altre birre?>>disse una voce calda proveniente dal divano.
<<Mi scusi padr-... signore, ma il supermercato era chiuso ogg->>
Mentre dicevo quella frase mio padre strinse i pugni e con la velocità della luce mi tiro con la mano destra due bei schiaffoni.
Lui colmo di rabbia si gettò sul divano e ringhiando come un cane mi esclamò
<<È la seconda volta che me lo dici in un mese, voglio che questa sia l'ultima volta! SONO STATO CHIARO!!!>>
Io annui e corsi in una camera che si trovava alla fine del corridoio, la stanza da cui mia madre non usciva da mesi o meglio dalla morte di Sonia, mia sorella...Quel giorno fu orribile, mia madre mi chiuse a chiave nella cantina che era ed è tutt'ora la mia stanza, sapevo cosa stesse succedendo la fuori.
Cercavo in tutti i modi di tapparmi le orecchie o sentire il meno possibile, poiché da la fuori non si faceva che sentire urla, sofferenza e compiacimento.
Per due istanti ci fu silenzio, ma poì dei suoni assordanti di pianti, grida e disperazione provenivano tutti insieme da mia madre e lì mi fondai verso la porta e cercai in tutti i modi di scassinarla, avendo molto in fretta un bel risultato.
La scena davanti a me era così agghiacciante che me la sogno ancora, mia sorella stessa a terra colma di sangue e lividi, mia madre in lacrime davanti a lei e mio padre che appena arrivai io grido
<<SMETTILA SUBITO DI STRILLARE SE NON VUOI FARE ANCHE TU LA SUA FINE!!!>>Disse rivolgendosi a mia madre e poì girandosi verso di me
<<TU COSA CAZZO CI FAI LÌ IMPALATO È TUO IL COMPITO DI SEPPELLIRE IN GIARDINO IL CADAVERE DI TUA SORELLA!!!>>
Dopo un pó di caos, mia madre con le mani sporche di sangue e il viso grondo di lacrime corse in camera.
Ero a qualche isolato da casa mentre seppellivo il cadavere.
I miei polpastrelli toccavano aggraziati la pala, nel frattempo, tra una spallata e l'altra, pensavo al perché mio padre esistesse.
Volevo sapere come mia madre avesse anche solo pensato di sposarlo, si vede che era un persona di versa all'ora?Apri piano piano la porta, così da non farla cigolare, e mia madre oggi era lì, seduta al centro del materasso mentre guardava le stelle fuori dalla finestra.
<<Buonasera madre, come stai oggi?>>dissi a lei a bassa voce e chiudendo la porta
<<Solito...>> Disse lei girandosi verso di me
<<Ti ho portato la cena, sono riuscito a rubare solo un panzerot->>
<<Mirko...>>
<<Dimmi>>
<<Basta rubare...>>
<<L'ho solo fatto per te>>
<<E io di questo ne sono grata, però basta perché potresti finire nei guai...>>
<<Scusa, hai ragione, cercherò un'altro modo.>>dissi io sedendomi accanto a lei.
Mia madre sospiro e poì disse
<<Mirketto...>>
<<ti ho detto mille volte di non chiamarmi così!>>
Mia madre si mise a ridacchiare a bassa voce e poì aggiungesse
<<Ok ok... Volevo solo ricordarti che domani è il tuo primo giorno di scuola...>>
<<Sì, lo so>>
<<Scommetto che quest'anno qualche ragazza ti ruberà il cuore...>>
<<No, mamma>>
<<E perché?>>
<<ho, paura>>
<<E di cosa? L'amore è una cosa meravigliosa, fantastica, o almeno lo sarà per te.>>
<<Appunto, è questa la mia paura, diventare come papà>>
Mia madre mi mise una mano sulla gamba, mi guardo con gli occhi lucidi e poi disse
<<Non succederà mai, ora dividi il panzerotto a metà e mangiamo...>>
Lei per me era l'unica donna che io abbia mai amato, una persona dall'anima pura e dolce, certo da quando avevo tre anni era sempre con l'occhio sinistro nero (per colpa di mio padre) e con delle occhiaie più profonde del mar morto, ma lei per me era TUTTO.
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THAT BOUTIQUE OF TULIPS
RomanceDopo la tragica morte di suo padre, Flor una ragazza di 15 anni amante della botanica, si trasferisce insieme alla madre dalla sua villetta a Siviglia fino alla casa dei suoi nonni materni a Roma, e lì la sua vita cambia drasticamente per colpa dell...