05 aprile 1999

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Le poche pagine scritte che lesse Jotaro, il padre della bambina, bastarono per fargli tremare le mani, cosa decisamente inusuale per lui. Egli infatti era conosciuto per la sua compostezza e freddezza, era capace di non far trasparire emozioni attraverso lo sguardo e i gesti, ma ciò che stava apprendendo era talmente disturbante che gli fece perdere la sua facciata tipicamente gelida.

Strinse fra le dita quel diario rosa con le farfalle stampate sulla copertina che svolazzavano ignare di tutto. Ignare del racconto che trasportavano sulle loro pagine sotto forma di piccoli scarabocchi imprecisi di matita e penna. La scrittura semplice e impacciata della bambina, man mano, si faceva più tremante e imprecisa, quasi timorosa. L'ultima pagina pareva scritta di fretta a differenza del disegno che era piuttosto accurato per le doti artistiche della bimba conosciute dal padre.

Lentamente, Jotaro abbassò lo sguardo sulla bambina in lacrime accanto al proprio letto dove era seduto, col lenzuolo che gli copriva il grembo. Deglutì. Si allentò il colletto della camicia del pigiama e poi chiuse lentamente il diario, resistendo all'impulso di rileggerlo.

Fece spazio alla bambina al proprio fianco e lei subito si nascose contro il suo possente petto, facendosi coinvolgere in un abbraccio stretto stretto fra le sue braccia muscolose. Accanto al padre non aveva paura, ma era ancora molto scossa per quello che stava succedendo in quei giorni e si sentiva sciocca a non averlo mai rivelato ai genitori. Si fece accarezzare i capelli raccolti dal padre mentre appoggiava la guancia contro uno dei suoi pettorali, rimanendo in silenzio e ancora leggermente tremante.

Jotaro la proteggeva con la propria presenza, la teneva stretta al proprio corpo e teneva controllata la stanza, pronto ad intervenire con Star Platinum se si fosse rivelato necessario. Per ora non notava nulla di anomalo fortunatamente, né nella stanza né proveniente dal corridoio e questo gli fece tirare un sospiro di sollievo poco sonoro, ma ben udibile in quella situazione piuttosto tesa.

Lentamente, a farsi meno percepibili, erano i sospiri e singhiozzi della figlia che, pian piano, si stava calmando fra le braccia muscolose del genitore che non esitava a cullarla e ad accarezzarla con premura. La osservò a lungo in quegli istanti e in quelli seguenti, meditando su quanto letto nel diario, tentando di metabolizzare come poter affrontare tale avvenimento e come contrastarlo. Ma la cosa che più gli dava pensiero era che a causare tutto questo sgomento e terrore nella figlia era stato il suo migliore amico. Il suo migliore amico defunto da ormai tanti anni.

Ciò lo tormentava, non lo credeva possibile, ma non tanto il fatto che un fantasma si palesasse a qualche essere ancora in vita, questo no, piuttosto a destabilizzarlo era il modo con il quale Kakyoin si stesse approcciando alla sua piccola Jolyne. Per l'appunto non si comportava per nulla come quando era in vita, questo lo aveva appreso attraverso le pagine della bambina nella quale appariva come un completo mostro inquietante. Tutta la dolcezza, lo spirito e la simpatia che lo avevano caratterizzato in vita parevano svaniti per lasciare posto solo a qualità e modi di fare negativi e per nulla sani, insomma era divenuto il proprio opposto e questo non se lo spiegava.

Mentre passava le dita fra i capelli della figlia, continuò a rimanere vigile ad osservare attentamente l'ambiente circostante con Star Platinum al proprio fianco che fluttuava dove solitamente dormiva la moglie, quella notte assente in quanto in viaggio di lavoro. Prima o poi, a suo parere, lo spirito si sarebbe palesato, quando non era ovviamente certo, ma sarebbe stato paziente certamente e avrebbe difeso la piccola Jolyne in caso di bisogno. In cuor suo sperava di non dover ricorrere a utilizzare -non era ben chiaro come- la violenza sull'amico scomparso.

Schiuse le labbra per emettere un lieve sbadiglio, il suo corpo aveva decisamente bisogno di riposo, era ben visibile anche nel suo stand, la cui aura emessa pareva meno minacciosa e possente del solito. Jotaro nemmeno lo aveva notato da quanto i suoi occhi si stavano facendo meno vigili a causa del torpore provocato dalla stanchezza e dal bisogno di sonno. Cercò comunque di tenere duro e di non lasciarsi andare. Strinse la figlia al proprio petto, continuando a cullarla e a dedicarle carezze, tentando in ogni caso di rimanere in allerta per essere pronto a intervenire in caso di necessità. Purtroppo per lui, quel bisogno fisico contro il quale stava lottando ebbe il sopravvento e chiuse le palpebre.

𝓲𝓵 𝓼𝓲𝓰𝓷𝓸𝓻 𝓚 𝓮 𝓲𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora