The Proposal

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C'era stato un tempo, più o meno a cavallo dei quaranta dei suoi suonati quarantotto anni di esistenza, in cui Charlotte Katakuri aveva pensato di aver perso ogni speranza di risvegliarsi soventemente accanto ad una bellissima donna.
Per carità, non che vi fosse qualche qualità di cui Madre Natura fosse stata parsimoniosa con lui: era un uomo intelligente, colto, dai modi di altri tempi, ricco. Si riteneva anche piuttosto attraente nei giorni buoni, in cui la sua autostima superava quell'altalenante barriera sollevata dalle sue numerose insicurezze. Nonostante quelle piccole rughe che cominciavano a formarsi ai lati degli occhi, non dimostrava nemmeno uno degli anni che portava, come parevano ribadire anche le toniche fasce di muscoli che guizzavano al di sotto della sua pelle, che avrebbero fatto invidia al più atletico dei trentenni.
Nulla di tutto ciò, tuttavia, era servito a fugare i dubbi che l'uomo nutriva sulla propria persona a causa di quelle odiose cicatrici sulle guance provocate da un brutto incidente accaduto quando era bambino, e che quotidianamente nascondeva agli occhi del mondo con una sciarpa. Nonostante la cosa sembrasse alimentare ancor più un'aura di mistero che irretiva chiunque, uomini e donne senza distinzioni, le sue insicurezze e il timore che qualcuno fingesse di amarlo solo per il cognome che portava, automaticamente sinonimo di ricchezza, lo aveva sempre condannato ad una vita di relazioni brevi, fugaci, talvolta nemmeno definibili come tali.
Pensava che non avrebbe mai avuto il privilegio di potersi sposare, formare una famiglia e vivere una vita spoglio di tutti i timori che covava dentro sé sin da bambino, originati anche da una madre anaffettiva che sembrava anteporre la titanica impresa di famiglia a chiunque, numerosi mariti e ancor più numerosi figli.
Questo, almeno, fino a che non aveva conosciuto lei.
Distolse per un momento lo sguardo dalla donna che ancora dormiva, spalmata sul suo corpo e con una guancia sui suoi pettorali, solo per adocchiare l'orologio sul suo comodino. Aveva perso la cognizione del tempo, perso in quei pensieri.
Presto avrebbe dovuto svegliarla, pensò, o avrebbe fatto tardi. In ogni caso ci avrebbe pensato tra non molto il sole attraverso le tende scure della sua camera da letto, i cui raggi sembravano attirati lentamente verso il suo viso.
Abbassò nuovamente lo sguardo mentre continuava ad accarezzarle i capelli turchesi, tutti arruffati.
Tolse l'altra mano che sosteneva la propria testa dal cuscino e la passò sulla schiena della donna, accarezzando con la punta dei polpastrelli il magnifico profilo del suo corpo nudo, arricciando un angolo della bocca quando la sentì fremere sotto il suo tocco. Si prese l'audace libertà di lasciar scivolare le sue mani più in basso: le sue dita sfiorarono con delicatezza il solco tra le sue natiche, la sua mano accarezzò l'interno di una coscia e i suoi polpastrelli scivolarono impunemente nell'antro tra le sue gambe, ancora umido per la notte appena trascorsa.
La donna emise un gemito sulla sua pelle per quell'intrusione, sollevando il bacino verso le sue dita.
A quel punto fu il corpo di Katakuri ad avere un fremito, il membro teso e i denti stretti dal desiderio.
Se solo avessero avuto più tempo, pensò, l'avrebbe presa ancora e ancora, come se le tre volte della notte trascorsa fossero state appena sufficienti a placare il suo enorme appetito. Dopotutto lei lo sapeva, sapeva quanto peccasse di gola...
Il cadenzato movimento delle sue dita fu sufficiente per indurla al risveglio, un dolce risveglio a giudicare dalla quantità di piccoli gemiti che lasciavano le sue labbra.
La donna non aprì nemmeno gli occhi, ma si resse sulle ampie spalle di Katakuri per trascinarsi più in alto, così che le loro labbra potessero raggiungersi. Fu un bacio carico di desiderio, di amore, di implacabile lussuria. Piccoli baci vennero anche poi depositati su tutto il viso di Katakuri, sul naso, sugli occhi e sulla fronte... in particolare sulle cicatrici, per tutta la loro lunghezza. Dedicava sempre così tanta attenzione alle cicatrici, le venerava al pari di ogni altra parte di lui, forse anche di più.
E questo aveva esorcizzato quasi completamente ogni sua insicurezza. Ai suoi occhi, i suoi begli occhi smeraldo come l'oceano a mezzogiorno, Katakuri si sentiva l'uomo più bello sulla faccia della terra.
Raggiunse infine il suo orecchio, dove sussurrò a voce bassa e suadente: - Puoi usare qualcos'altro per finire quello che le dita hanno iniziato, Charlotte.
L'uomo rabbrividì. Quando lo chiamava per cognome, quasi a sbeffeggiarlo con strafottente irriverenza, una strana pulsione montava dentro di lui. Digrignò i denti e la carezza delicata sui suoi capelli si trasformò in una presa deliziosamente dolorosa che espose alle sue labbra la pelle nivea del collo di lei.
Un gemito un po' più forte lasciò la sua bocca quando lui la morse: - Come potrei mai dire di no a te, mio piccolo donut.
Nel giro di un attimo, senza di preciso sapere come, la donna non si trovò più distesa sul torso del suo uomo ma pressata a pancia in giù sul materasso con le ginocchia piegate al petto, lui posizionato alle sue spalle. Entrò in lei con un unico movimento fluido che le mozzò il respiro in petto.
Katakuri ondeggiò il bacino in piccoli movimenti per consentirle di abituarsi a quell'irruzione, cosa che avvenne più in fretta di quanto si sarebbe mai aspettato. Cominciò poi a muoversi, con movimenti decisi e mirati al cuore pulsante di quell'accogliente alveo, strappandole gemiti strozzati ad ogni colpo.
Si chinò su di lei, cosicché il calore del suo ampio petto le avvolgesse la schiena e i loro visi fossero sufficientemente vicini per potersi baciare, le accarezzò il dorso della mano con cui si puntellava sul materasso per risalire poi con una carezza lungo il braccio, poi i seni, fino al viso.
L'altra sua mano, ancora intenta a tenerla saldamente da un fianco per guidare in sincrono i propri bacini, corse poi a titillare quel piccolo bottoncino di carne tra le sue cosce, ottenendo l'effetto immediato di far aumentare di intensità i suoi deliziosi lamenti.
Per un attimo ringraziò di avere un appartamento tutto suo dove nessuno lo avrebbe sentito fare sesso. Alcuni dei suoi fratelli più giovani non avevano avuto la stessa fortuna quando vivevano nella gigantesca magione di famiglia. Come Cracker che, ben prima di sposarsi e in piena tempesta ormonale tipica dell'adolescenza, portava a casa di nascosto le sue fidanzate. Nascosti però i loro incontri non rimanevano mai, perché chi fossero i fratelli malcapitati che dormivano in camere adiacenti alla sua non chiudevano occhio per tutta la notte.
Quando sentì i muscoli della compagna serrarsi e pulsare attorno al proprio fallo, Katakuri smise definitivamente di trattenersi.
Avvolse le mani attorno ai fianchi della donna e con altre due profonde spinte riversò il suo seme dentro di lei, cavalcando le onde sincrone dell'amplesso di entrambi.
Ancora ansimante, lei si distese totalmente tra le lenzuola, che così fedelmente conservavano il profumo e il calore dell'uomo che amava, ancora dentro di lei, mentre le sue braccia l'avvolgevano come una coperta: - Buongiorno, amore mio.
Katakuri depositò tanti baci sulla spalla della donna, accarezzandole un fianco mentre si ritraeva da lei con un roco gemito: - Buongiorno a te, Iris. Hai dormito bene?
Iris sghignazzò prima di sbuffare: - Non si può certo dire che io abbia dormito chissà quanto, questa notte. E sai di chi è la colpa? – domandò ironicamente, puntellandogli una guancia con il dito indice.
L'uomo non smise di baciarle la spalla, ma sorrise sulla sua pelle: - E io che ho anche pensato di farti un piacere svegliandoti – le sussurrò, avvicinandosi poi al suo orecchio – Infatti mancano venti minuti alle otto.
Come se le avessero versato addosso un'improvvisa secchiata di acqua gelida, Iris spalancò gli occhi e lo spinse di lato, saltando giù dal letto: - Merda! – esclamò, correndo nuda da una parte all'altra della camera da letto del fidanzato alla disperata ricerca dei vestiti che lui aveva lanciato via la sera prima, ciascuno in una direzione diversa.
- Perché diavolo non mi hai svegliata prima?! – esclamò, scomparendo in bagno.
- Mi sembrava ti stesse piacendo così tanto quello che ti stavo facendo che pareva scortese interrompere – borbottò Katakuri, ancora comodamente stravaccato sul materasso e ancora gloriosamente nudo, trattenendo a stento un sorrisetto sardonico.
Iris venne fuori dal bagno meno di dieci minuti dopo, avvolta in un asciugamano bianco e con rivoli d'acqua che ancora le accarezzavano le gambe.
"Che invidia", pensò Katakuri.
- Farò tardi in ospedale, ne sono sicura! Proprio oggi che ho l'agenda piena di appuntamenti!
- Io non sono mai stato in ritardo neanche un giorno della mia vita – la canzonò lui, sollevando le mani per parare il cuscino che gli venne scaraventato in faccia.
- Beh, non tutti sono il "miglior fratello dell'anno" o il "miglior dirigente dell'anno" o "lo Charlotte più puntuale del secolo"! – lo sbeffeggiò lei, mimando con le dita le virgolette e deformando il tono di voce in finta adulazione. Accanto a lei, sul comò, la tazza personalizzata con una loro foto con su scritto "Miglior fidanzato dell'anno" troneggiava fiera, regalo fattogli solo per prenderlo in giro su quanto fosse perfetto.
- E per di più, - continuò la donna, levandosi l'asciugamano senza pudore e cominciando ad infilarsi nei propri vestiti – Io non avrei dovuto nemmeno rimanere qui stanotte! Sei stato tu che mi hai ficcato la lingua in bocca e la mano nelle mutande come un quindicenne!
- A te non è dispiaciuto...
- Non è questo il punto! – ribadì la donna, arrossendo – Avevo detto ai miei che sarei torna... Oh merda – sbiancò lei, mollando il reggiseno a mezz'aria e recuperando dal pavimento il proprio cellulare.
Come si aspettava, dodici chiamate perse da suo padre.
- Merda!!!
Katakuri decise di alzarsi, nonostante la sua prima riunione della giornata non fosse prima di due ore: - Ho ovviamente avvisato io tuo padre. Altri due squilli e tutta la sua pattuglia mi sarebbe piombata in casa mentre ti facevo... beh, quella cosa – sogghignò l'uomo con voce baritonale, attirandola al petto con una mano e chinandosi su di lei per rubarle un altro, intenso bacio.
- Mmh... - mugolò Iris, portandogli le braccia al collo – Allora sei davvero il fidanzato migliore del mondo – Anche se mio padre dovrà capire prima o poi che ho trentadue anni, non può continuare a chiedermi quando intendo rincasare come se ne avessi sedici...
- Questo è perché tuo padre non mi sopporta – rimbeccò Katakuri, al che Iris sbuffò e roteò gli occhi all'indietro.
- Ci risiamo di nuovo. A mio padre piaci, e piaci molto. Solo, non accetta che ci sia un altro uomo nella vita della sua "piccina".
- No, è la mia età a non piacergli, Iris... Non riesco nemmeno a dargli torto, dopotutto – replicò ancora, atono, cominciando a sistemare le coperte fingendo disinvoltura.
La donna si mordicchiò il labbro inferiore quando lui evitò il suo sguardo, e Dio solo sapeva quanto detestasse quando faceva così. Quando si sentiva inadeguato per lei, senza nessun motivo al mondo.
- Ehi – lo richiamò con dolcezza, sollevandogli il mento con un dito – A me piaci così come sei. Anni, cicatrici e il resto.
Katakuri sorrise, la strinse più forte e affondò il naso nell'incavo del suo collo, inebriandosi del suo profumo.
La vicinanza dei loro corpi nudi risvegliò in entrambi un calore nel bassoventre a cui sapevano di non poter cedere.
Dopo un fugace bacio, Iris si rivestì completamente e agguantò la propria borsa, raggiungendo la porta di casa con lui al seguito, coperto solo da un asciugamano sulla vita.
- Sei libera stasera? – domandò Katakuri, con un braccio sullo stipite della porta, sorridendole dall'alto della sua statura.
In punta di piedi, la donna si erse per donargli un ultimo bacio sulle labbra e sogghignò: - Credo di avere già un impegno, amore mio.
Lui la guardò allontanarsi oltre la soglia. Seguì la sua figura fino a che non scomparve in fondo al corridoio. Chiuse la porta e rientrò in casa.
Avrebbe fatto meglio a prepararsi per andare al lavoro o il meeting di "Big Mom" - così la chiamavano le persone che lavoravano per lei – di quella mattinata con un noto imprenditore con cui cercavano di stringere una collaborazione avrebbe rischiato di andare alle cozze.
Si lavò accuratamente per levarsi di dosso il profumo di Iris e l'odore del sesso, si fece la barba, aprì l'armadio e liquidò con lo sguardo il settore dei suoi adorati abiti in pelle e ricoperti di borchie per scegliere, invece, uno dei numerosi completi formali. Quando tirò il cassetto espositivo che custodiva con cura quasi maniacale tutte le sue cravatte, sorrise quando adocchiò un piccolo rigonfiamento al di sotto di una di esse.
Tirò fuori la piccola scatolina di velluto blu notte e sorrise tra sé e sé in un modo che, se si fosse guardato, avrebbe definito idiota.
Quello sarebbe stato il giorno in cui il contenuto di quella scatolina avrebbe visto il viso della sua proprietaria.
Quella sera, Katakuri avrebbe finalmente chiesto alla donna che amava di diventare sua moglie.

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