Capitolo 2

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Il culto del diavolo è la preghiera nei templi pagani e tutto ciò che si fa ad onore degli idoli insensibili: accendere le lampade e bruciare incenso alle sorgenti dei fiumi, come alcuni ingannati dai sogni o dai demoni.

                                                                                                                                  (Cirillo di Gerusalemme)


Lungo la scalinata di marmo bianco risuonano i nostri passi. Sono l'unico rumore a parte il battito del mio cuore. Man mano che avanzo verso la cappella avverto in lontananza il brusio della congregazione riunita. Fiaccole pendenti alle pareti illuminano il mio cammino, l'ultimo da donna libera.

Liam è al mio fianco, la sua presenza è per me più fonte di rimpianto che di conforto.

Il portale di legno massiccio si spalanca al nostro arrivo. Le tre navate sono avvolte dal profumo di rose e mimose che fanno bella mostra sugli altari laterali, illuminati dalla traballante luce delle candele. La chiesa è avvolta da un leggero fumo, come foschia in una fredda mattina invernale, che rende tutti i contorni indistinti.

Dall'entrata centrale riesco a malapena a intravedere il fondo della navata principale. Avanzo lungo il corridoio e l'immagine nel fondo, dapprima sfocata, inizia a prendere forma. Al mio fianco la figura di Liam diventa sempre più inconsistente, a ogni passo lo sento distante, fino a quando svanisce del tutto quando i miei occhi incontrano il profilo del mio nuovo destino.

Il rituale non mi permette di guardarlo in viso e quindi abbasso lo sguardo. Le sue dita, lunghe e bellissime, stringono il manico di un pugnale d'argento. Non riesco a vederne il volto, ma i suoi occhi di ghiaccio che si riflettono sulla lama.

Occhi di polvere di luna, così diversi da quelli caldi e rassicuranti di Liam, mi scrutano con insistenza e avverto in quelli l'ombra di qualcosa di oscuro, qualcosa che contrasta con la purezza di quel colore; ombra nera come la pece, come le piume di un corvo che brillano nella notte.

Trattengo il respiro e in un istante sento quell'ombra avventarsi su di me e affondare la lama prima sul mio polso sinistro e poi sul suo.

Terrorizzata spalanco gli occhi nel buio della notte. Cerco di alzarmi facendo leva sul braccio sinistro, ma un dolore lanciante al polso mi sorprende e ricado di nuovo sul letto.

Accendo la luce sul comodino e giro il braccio per vedere meglio. La cicatrice che ho da quando ero bambina pulsa rossa sulla mia pelle bianca. "Forse sto ancora sognando", ma mi rendo presto conto che non è così. Sono completamente sveglia.

Quella cicatrice è lì da quando avevo tre anni. In un pomeriggio di primavera giocando tra le aiuole del giardino di mia nonna caddi su un muretto di mattoni rossi e mi tagliai. Uscì molto sangue, la ferita era molto profonda, mi portarono subito al pronto soccorso per mettermi i punti. Da allora è sempre stata lì e fino a ieri soltanto una sottile linea bianca sulla mia pelle, ora invece brucia come se fosse fresca. Ricado stanca e stremata sul cuscino, lascio la luce accesa. Non me la sento di dormire sola al buio e tento invano di riprendere sonno.

Normalmente alla luce del giorno tutto appare diverso, anche l'incubo più spaventoso si dimentica, si perde tra i frammenti della vita. Ma stavolta nemmeno il sole, il caffè caldo sul tavolo, la radio accesa riescono a farmi cancellare quel ricordo. Perché ne porto ancora il segno livido su di me.

«Tesoro, stai uno schifo» le parole di Andrea mi schiaffeggiano al mio arrivo in galleria.

«A volte la tua schiettezza è davvero crudele, lo sai?»

EileenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora