1956

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Capitolo 4

L'aria era pungente. Iniziò a nevicare, il cielo abbagliava. Alzò il bavero del cappotto e si schermò gli occhi con una mano. Poca gente in giro. Tutti infagottati con sciarpe e guanti. Nuvolette di fumo uscivano da bocche e nasi. A testa bassa, passo veloce, i più previdenti con l'ombrello, gli altri filo muro per sfruttare i tetti dei palazzi ocra, alti fino a toccare il grigio del cielo. Lui l'ombrello non lo sopportava, s'era infilato il Borsalino, che gli dava quel tono da malavitoso fino al collo. Dal collo in giù era un fagotto imbacuccato.

Fiocchi lenti e piccoli facevano giravolte prima di cadere a terra. I primi si scioglievano, ma, più scendevano, più diventavano consistenti, più si gonfiavano e stendevano un velo di tulle su tutto il paesaggio. Livorno, Antignano, Montenero, Ardenza, il Porto, i Quattro Mori. Tutto bianco fino agli scogli. Il mare fermo, pareva nero.

La città addormentata, poche le auto in giro, un grande silenzio.

Così andò la nevicata del '56.

E fu proprio in quella giornata che venne al mondo alle nove e trenta, puntuale per la prima colazione, Giovannina Piras, per tutti Nina.

Raggiunse gli Spedali Riuniti, con le spalle del paltò disseminate di fiocchi di neve. Non prese il tram e fece la strada da casa all'ospedale in fretta. Il poco traffico era intasato a causa della situazione del tempo. Non aveva mai visto la città in quella veste bianca. Nei passi veloci, quasi a scatti si leggeva tutta la sorpresa e l'emozione per la nascita della sua bambina e per la giornata inusuale.

Al collo ciondolava la macchina fotografica e, come un maratoneta che mentre è in marcia afferra l'acqua, prese al chiosco del fioraio un mazzo di rose bianche per sua moglie Tosca.

Arrivò in affanno per la corsa, per la contentezza, per l'agitazione. Davanti a sé la grande entrata con la porta a vetro incorniciata di legno scuro. Appoggiò il palmo della mano e spinse mentre dall'altra parte qualcuno apriva. Sbilanciato disse: «Ops, mi scusi...» Ma le parole uscirono biascicate e incomprensibili, intanto che "qualcuno" era già lontano per strada. Si mise di lato per non disturbare il traffico della gente e per passare inosservato. Cercò di sistemarsi, tolse il cappello e lo scrollò, con le mani si frizionò i capelli, poi se li ravviò, la vetrata faceva da specchio, notò quanto fosse ebete la sua espressione, tolse il cappotto lo scosse, levò gli ultimi rimasugli di neve, e se lo mise in spalla, i fiori in mano, la macchina fotografica a tracolla. Salì a due a due l'ampia gradinata di marmo candido dell'ospedale. Si aiutò facendo leva sul corrimano di bronzo, pieno di riccioli e fregi, che accompagnava i primi scalini in curva.

Arrivò alla camera di sua moglie accaldato, le gote rosse, con una faccia di bimbo che ha appena incontrato Babbo Natale.

Le prime parole di Tosca, dopo un bacio sfuggente furono:

«Nina non voleva proprio venire al mondo, mi ha fatto soffrire come un animale!» Annusò le rose bianche mentre lui gliele porgeva. Fece un gesto da diva di Hollywood, e lo anticipò:

«Per favore, mettile a bagno, sennò si sciupano.»

Ubbidiente le pose nel bel vaso che era sopra al comò, messo lì apposta.

La bambina dormiva serena, avvolta da una copertina rosa. Era in braccio alla madre che la osservava, inarcando un nero sopracciglio, con un sorrisetto che toglieva ogni dolcezza dal suo viso.

«Luca per favore, non stare lì in piedi come una statua, prendi quella sedia e mettiti qui vicino a me, così la tieni un po' in braccio.» La faceva sembrare un fagotto di cui si doveva liberare presto, come se fosse radioattivo.

«In braccio? Ma io non so come si fa.» E intanto recuperava la sedia e il coraggio di fare il bravo babbo.

Tosca gliela porse. Nina, da come era fasciata nella copertina rosa, pareva una mummia in miniatura.

La prese con la stessa delicatezza che avrebbe usato per maneggiare un vaso di cristallo.

Bastarono pochi secondi per rendersi conto di quanto era felice di quella microscopica vita che aveva generato e di averla messa al mondo con Tosca, perché lui, Tosca, la amava profondamente.

La abbracciò, la cullò, le cantò la ninna nanna.

Tosca, sistemò il risvolto del lenzuolo, si toccò i capelli e si tolse e rimise il cerchietto che glieli teneva indietro, tirò in su le coperte, le stirò con le mani, la bocca corrucciata e immusonita.

«Accipicchia, come siamo affettuosi.» Il tono era freddo e acido. «Scusa Luca, se ce la fai, mi passeresti il beauty?»

Approfittò delle mani libere per rifarsi il trucco. Poi entrò l'infermiera che prese la bimba per portarla nella nursery. Tosca sfogliava una rivista di moda. Lui rimase a braccia vuote, impacciato, si guardò intorno sperando in un momento intimo con la moglie, un sorriso, un bacio, una complicità. Ma Tosca rimase con la testa sprofondata nelle pagine colorate e lucide del giornale.

«Tornerei domani a trovarvi» disse lui.

«Devi andare al lavoro?» disse lei col solito sopracciglio inarcato e gli occhi dritti su un'immagine della rivista.

«Sì, vado al giornale» e fece per baciarla, ma lei si scostò fra sbuffi e mugolii.

Nonostante sua moglie fosse ghiaccia come un iceberg e rigida come il colletto di una camicia inamidata, lui non toccò il suolo per giorni, camminava sull'acqua, guizzava come un'acciuga fra le onde marine. Un sorriso intramontabile, gentilezze per tutti, sempre disponibile, pieno di attenzioni per lei che non le digeriva e borbottava.

La macchina fotografica a portata di mano, pronta a rubare faccette strane, bronci, sorrisi, sguardi che non sarebbero mai più stati quelli. Catturava le emozioni di Nina per trattenerle tutte per sé.

Stampava le sue foto, fermava il tempo con uno scatto.

Regalò fotografie a tutti i parenti, fiero per la prima volta di qualcosa che aveva fatto, come se fosse stato un dio creatore.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 31, 2023 ⏰

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