Capitolo II - Il Borgo Vecchio

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La vecchia porta cigolò, fatto insolito nel Borgo Vecchio, mentre ruotava sui cardini arrugginiti. Dall'interno non giungeva alcun suono, neppure il trambustio impietoso del piede nevrotico di Aiden, neppure il vociare sommesso dei vicini ciarloni. Nulla. Il silenzio teso giungeva solo dall'uscio di quella casa, rannicchiata fra le altre mille costruzioni arrampicate le une sulle altre, senza una vera organizzazione; dopotutto, quello era il Borgo Vecchio: un confusionario agglomerato di casupole sorte spontaneamente attorno al palazzo nel corso del tempo.
Il kripte si affacciò con cautela allo stipite scrostato della porta, facendo involontariamente ancora più rumore. Poi mosse un passo in avanti, lento, misurato, pronto a retrocedere al minimo segnale d'avvisaglia. E quel passo risuonò sul pavimento mal rifinito, annunciando definitivamente il suo arrivo: avesse portato con sé pentole e stoviglie avrebbe dato di certo meno nell'occhio.
Seduto al tavolo, là al centro della piccola stanza, Aiden non c'era; in camera loro, Aiden non si trovava; nella minuscola latrina, di Aiden non c'era traccia. Che fosse uscito? Impossibile, avrebbe iniziato il turno soltanto di lì a qualche ora e non aveva affari da sbrigare fuori. Non che lui sapesse, almeno.
Così, non sapendo come far scorrere il tempo, s'acquattò sulla vecchia panca in fondo alla stanza, poco distante dalla tenda che divideva il soggiorno dell'unica camera da letto, e agguantò malamente uno dei libri letti e riletti che suo fratello era riuscito a sgranfignare tempo addietro dalla grande biblioteca del castello, senza esser visto.
Fu così che Aiden, quasi un giro di clessidra dopo, lo trovò, rientrando in casa.
-Non dovresti essere già qui- s'annunciò il giovane, appoggiando il mantello ad una sedia, per poi sedersi sulla stessa e sfilare i pesanti stivali tutti inzaccherati di fango ormai secco.
- E tu non dovresti essere uscito- lo rimbrottò il fratello, chiudendo il piccolo libro e appoggiandolo sul tavolino, sotto lo sguardo attento del maggiore.
- È logoro, ormai. Puoi smetterla di leggerlo, lo sai già tutto a memoria- provò a scherzare Aiden, ma il minore scosse velocemente le spalle.
- È rilassante, non può serbare alcuna sorpresa, né nascondere nuovi pericoli; scorre sempre su quegli stessi binari, non può sfuggire al solito corso già noto- replicò l'altro e il maggiore si morse un labbro: perché quel birbante si era trasformato in un così severo esecutore d'ordini?, quando, soprattutto?, lui non se ne era neppure accorto, ed ora si ritrovava di fronte un qualcuno che faticava ad associare a quel volto amato, ma a cui quello stesso volto apparteneva. Diamine, ecco un principio di emicrania, di quelle petulanti che perdurano per eterni minuti di silente sopportazione.
- Non sono più riuscito ad infilarmi in biblioteca, mi… - ma il minore, lesto, lo interruppe.
- Non dirlo neppure. Hai fatto tanto, forse troppo, per me. Non hai nulla di cui rimproverarti- era una sua impressione o le labbra chiare del minore si erano lievemente incurvate in un sorriso? Questo si gelò quasi subito, però, sostituito da un moto tormentoso, prima di tornare alla quieta, inflessibile, calma apparente che nulla lasciava trasparire. Eppure, Aiden sapeva con certezza che il minore si stava lentamente consumando nei propri pensieri, e che quel libro non v'aveva a che fare proprio per niente.
- È successo qualcosa?- si informò quindi, osservando il fratello alzarsi e dirigersi verso lo sgangherato armadietto della piccola cucina, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti senza doversi necessariamente recare alla mensa: non aveva la forza di trascinarsi fin là, non con quel continuo tramestio dei suoi fastidiosi pensieri.
- Cal- lo richiamò ad un tratto il maggiore, dopo aver osservato a lungo le dita affusolate del fratello agitarsi nervosamente, cercando di rammentare come preparare quei semplici piatti che sapeva cucinare. Il giovane, però, lo ignorò e continuò a tormentare il pentolino con cui stava armeggiando, per poi abbandonarlo appeso al gancio e afferrare l'acciarino, cercando silenziosamente di accendere un fuoco anche con la mente evidentemente altrove. Aiden, senza prestarvi grande attenzione, puntò un dito verso i radi legnetti e attizzò un fuocherello scoppiettante, che lasciò stupito ed assorto il minore lunghi istanti.
- Calian?- chiamò ancora, avvicinandosi di un passo. Il giovane serrò le mani attorno al pentolino, di nuovo fra le dita, e serrò le labbra, quasi a trattenere le parole. Poi, come se nulla fosse, appese di nuovo la pentolaccia al gancio e tornò a rovistare fra le mensole semivuote, per evitare di guardare il fratello.
- Come si fa a decidere cos'è giusto e cos'è sbagliato?- domandò ad un tratto, lasciando alquanto interdetto Aiden: credeva che la fase delle domande di quel tipo fosse passata da anni. E, invece, eccolo lì, mentre ancora cercava fra l'aria qualcosa che probabilmente non c'era mai stato soltanto per il gusto di muovere le mani, per ingannare l'agitazione, mentre chiedeva qualcosa all'apparenza tanto semplice.
- In che senso?- raramente suo fratello si fermava a riflettere sul quel che stava accadendo attorno a loro: eseguiva semplicemente gli ordini e non si faceva troppe domande, non ad alta voce almeno. Per questo, quella sera, era più che disposto ad ascoltare qualsiasi cosa sarebbe uscita dalla bocca del minore.
- Se tu dovessi prendere una decisione importante, di quelle che potrebbero cambiare la tua vita, anzi, la cambierebbero sicuramente, come faresti a scegliere?- domandò, smettendo finalmente di armeggiare con quel sacchetto di riso, riponendolo di nuovo al sicuro nell'armadietto cigolante. Aiden spense silenziosamente il fuoco, attento a non farsi vedere dal minore, mentre cercava una risposta sensata da fornirgli.
- Devi capire cos'è giusto fare, cosa ti suggeriscono il tuo istinto e la tua coscienza- osservò la nota espressione corrucciata andare a dipingersi sul volto del minore, mentre chiaramente rimuginava velocemente su quelle poche parole.
- E cosa devo fare, se il mio cuore mi suggerisce una cosa, ma la mente mi impone l'esatto opposto?
- Quale delle due non ti ha mai fallito?- e questa volta Calian non esitò neppure un istante per rispondere.
- Tu fratello. Ti prego, aiutami: io non so davvero che fare- mormorò, voltandosi verso di lui. Eppure, nonostante l'esitazione della voce e il tremore delle mani, il suo sguardo era fermo, sicuro, esattamente come Aiden l'aveva sempre conosciuto. Così annuì, invitando il minore a spiegare meglio la situazione.
- Ho due possibilità. Nel primo caso salverei una vita, ma verrei considerato un traditore- e a Calian non sfuggì l'occhiata allarmata del maggiore: questi, infatti, non era mai stato molto abile a mentire - Nella seconda preserverei il tuo nome e la mia vita.
Calian stava davvero valutando l'ipotesi di commettere tradimento. La stava veramente valutando. Lui che era sempre così ligio alle regole. Il maggiore si sentì per un secondo destabilizzato, mentre di fronte a lui compariva per un istante il bambinetto scapestrato che aveva cresciuto. E per aver iniziato a valutare quella possibilità, doveva aver intravisto qualcosa oltre le crepe sparse sul perfetto muro che nascondeva la verità, erettosi attorno al loro signore.
-Non ti fidi più di Raden?- domandò con cautela. Ogni possibile risposta affermativa sarebbe stata già di per sé una dichiarazione di tradimento.
- Non lo so. Comincio a capire che Raden non vede tutto l'insieme- spiegò, limando e ponderando con attenzione le parole: chi poteva sapere se qualcuno fosse appostato fuori dalla finestra ad ascoltare quel che stavano dicendo? Dopotutto, non sarebbe stata la prima volta che Raden mandava qualcuno a controllare che il dewin non tramasse qualcosa.
- E tu vedi tutto l'insieme?- lo punzecchiò il maggiore con fare di rimprovero.
- No, affatto. Ma lui… non lo so. Ho una strana sensazione, fratello. E vorrei tanto potermi sbagliare, almeno questa volta, ma temo che all'interrogatorio…- ma Aiden gli fece cenno di tacere con una mano.
Poi, come per cominciare ad affaccendarsi con la cena, gli si accostò abbastanza vicino per non poter essere sentito dal di fuori e sussurrò - Fa' attenzione a ciò che fai, Cal. Ci tengono d'occhio, e lo sai. Raden ha iniziato a dubitare della tua lealtà quando ti sei rifiutato di incantare quella pietra, tre settimane fa.
Il minore annuì, poi si scostò da Aiden e si accomodò ancora sulla panca, sprofondando in un silenzio pensieroso e confuso.
Aveva giurato lealtà al signore di Laavar, Raden, ed ora si ritrovava al punto di non fidarsi più di quel suo stesso signore. Perché? Era solo per quella draach? No, no. Lei aveva soltanto risvegliato quel turbinio di emozioni che gli scoppiavano in petto ogni volta che era costretto ad immobilizzare i prigionieri interrogati e che lui, con la pratica e con il tempo, era riuscito a far tacere. Aveva risvegliato quella voce rinchiusa nella sua mente e nel suo cuore, nascosta dietro pesanti inferriate ed incatenata ed imbavagliata sì che non potesse parlare affatto. E lui non era per nulla felice di quel brusco risveglio, anzi, avrebbe voluto saperla mettere a tacere come aveva fatto in passato.
Eppure… eppure forse quella voce petulante aveva ragione. Forse non mentiva, quando gli sussurrava che Raden sembrava aver perso il senno, quand'aveva scoperto che il prigioniero era umano, che pareva come preso da una smania di risposte, smania che, era reticente ad ammetterlo, aveva coinvolto anche lui, per lo meno nei primi giorni.
Era umano e questo era quanto. Non meritava compassione, come quel suo simile non ne aveva avuta per lui. Non la meritava e non l'avrebbe avuta. Tuttavia… c'era quel tuttavia che gli risuonava in testa come un eco lontano e quell'eco portava il timbro d'una voce un tempo nota e amata. Tacere. Ecco cos'avrebbe dovuto fare quel tedioso "tuttavia"; tacere e scomparire dalla sua mente. Eppure… ecco che ne compariva un altro, d'indesiderato. L'avrebbero gettata la spugna, loro, o avrebbero perseverato tutta quanta la sera e la notte a dargli il tormento, assillandolo con quei loro "tuttavia" ed "eppure"? E d'improvviso gli balenarono di fronte tutte le interminabili sere spese là, nascosto dalle ombre di quell'immensa sala dal nero soffitto di telo e di pietra; là dove doveva star quieto, invisibile fra le lunghe dita di pece della notte e celato da quell'odioso manto scuro che pesava indosso come un macigno, pondo ch'andava a peggiorare il tramestio di quel suo simile aggrovigliato sul petto del dewin.
Quelle scene gli scossero la mente già confusa, lasciandolo lì in balia dei propri pensieri, sordo ad ogni richiamo del fratello. Questi, d'altro canto, gli mise il piatto in una mano e un cucchiaio nell'altra, confidando nel fatto che prima o poi il minore se ne sarebbe accorto.
Calian, invece, perdurò nel suo rimuginare e si accorse del pasto divenuto ormai freddo soltanto un giro di clessidra dopo, forse anche due.
Forse aveva ragione Arlen, forse l'umano non meritava quel trattamento, ma che fare? E soprattutto, sarebbe stato giusto fare qualcosa? Certo, avrebbe sottratto una persona, forse innocente?, alle grinfie di Raden, ma era davvero sicuro di volerlo fare? Dopotutto, erano stati gli umani a radere al suolo Neveri-Dewin; erano stati gli umani a dare alle fiamme Ennar Aer-Lì, dove lui e suo fratello erano cresciuti.
Eppure… c'era sempre quell'eppure, quel tuttavia, che si faceva sempre più insistente… basta, avrebbe deciso poi. Sì, ma poi quando? Entro poco, quanto?, avrebbe dovuto tornare alle prigioni, recuperare l'umano, assicurarsi di non esser visto in volto da quello e portarlo nel grande salone, dove avrebbe dovuto assistere senza poter fare nulla, limitandosi ad eseguire gli ordini come aveva sempre dovuto fare. Era un kripte-dewin e Raden odiava e temeva la magia come tutti i kriptes, ma, al contrario di altri signori del passato, lui non s'era mai fatto scrupoli a servirsi degli incantesimi di Calian.
-Cal- chiamò ad un certo punto Aiden, quando si accorse che il fratello stava cominciando a pensare davvero troppo: un po' era necessario, ma così tanto poteva solo essere dannoso. Calian, infatti, se ne stava seduto immobile, come paralizzato dalla sua stessa magia, ed osservava il vuoto senza saper vedere nulla, come perso fra le nebbie dei ricordi e delle congetture.
-Cailan- sbottò ad un tratto, temendo di non esser stato nemmeno udito. Il minore sobbalzò, ma Aiden non seppe mai che l'altro l'aveva già sentito in precedenza, né seppe di esser divenuto da subito il centro dei pensieri tumultuosi del giovane.
Questi, appunto, si susseguivano rapidi, balzandosi addosso e azzuffandosi come cani rognosi, mordendosi gli uni con gli altri e mostrando i denti vicendevolmente. Che strazio davvero, per Calian, ritrovarsi tirato da una parte e dall'altra, come una vecchia corda troppo usata e contesa da due contadini un poco egoisti. E quale tremendo terrore, quando il pensiero del fratello si fece largo fra gli altri, spintonando e dando di spalla, riuscendo finalmente ad emergere in quel groviglio. Forse aveva calcolato male. Forse non avrebbe dovuto dire nulla ad Aiden. Perché se poteva accettare di mettere sé stesso in pericolo, non poteva assolutamente permettere che suo fratello rischiasse la vita per colpa sua. Che fare? In tutto quel rimuginare la necessità di fare qualcosa era divenuta impellente ed ora l'incolumità di Aiden poteva esser messa in pericolo. Che fare? Lasciar perdere tutto e proseguire come se nulla fosse? Impossibile; ormai quella vocetta odiosa, che alcuni chiamerebbero coscienza, s'era risvegliatta e finalmente esigeva rispetto ed ubbidienza e lui non poteva più disobbedirle, men che meno farla di nuovo prigioniera. Che fare? Forse l'unica soluzione era che Aiden non sospettasse di nulla e poi… poi agire; la mattina, quando nessuno avrebbe potuto sospettare di lui, che non era di guardia alle prigioni in quel momento, e tempo del pomeriggio, quando avrebbe dovuto avere davvero un turno, sarebbe già stato lontano dal palazzo, via dal Borgo Vecchio, perso nell'antica foresta che li difendeva dagli umani. Già, ma poi? Abbandonare tutto, abbandonare suo fratello, per cosa? Lasciare la sua casa, la sua vita e ancora suo fratello solo per un estraneo? Tradire, sottoporsi all'onta del disonore, soltanto per qualcuno di cui neppure il nome sapeva, poiché Raden aveva sempre provveduto affinché nulla sentisse? Fuggire e fuggire dove? Perché poi? No, sarebbe stato folle scappare e sarebbe stato pure un tradimento ben peggiore del primo: aveva giurato lealtà al suo signore e a quel giuramento intendeva far voto, non avrebbe permesso che due prigionieri, seppur uno ancora non preso, fuggissero. No, uno sarebbe dovuto rimanere e non sarebbe stato di certo l'umano, quel ragazzino così smilzo e così giovane da fargli ribollire il sangue nelle vene ogni volta che Raden lo interrogava con quella furia maniacale.
-Calian- sbottò ancora Aiden, ora seriamente preoccupato. Una ruga severa s'era dipinta sul volto troppo giovane del minore e questi non aveva neppure tentato di dissimulare come avrebbe fatto, invece, in qualsiasi altra situazione.
L'interpellato levò il capo; e levò il capo guardia, soldato leale al suo signore e padrone, che della sua vita poteva disporre a proprio piacimento.
-Ho risolto, Aiden, rilassati- lo rassicurò quindi, tentando un'espressione serena e azzardando persino un sorriso. Il fratello, seppur dubbioso, annuì e gli si sedette accanto.
- Mangia qualcosa, anche se ormai è gelato il riso- il minore obbedì all'istante - E poi preparati, fra poco devi andare a recuperarlo- lo osservò a lungo, studiandone i tratti troppo quieti per essere reduci da un così turbinoso rimuginare - Hai fatto quella cosa, per caso, fuori dalla sala?- indagò quindi e Calian non si scompose nemmeno, limitandosi a scuotere il capo. No, non stava mentendo.
- No, è tutto a posto, davvero- lo rassicurò ancora. Eppure, nonostante lo sguardo rilassato, come di chi ha finalmente trovato una soluzione, quel sorriso appena accennato e quelle belle parole rincuoranti, Aiden era certo che il suo interlocutore gli stesse nascondendo qualcosa. Il problema era che non sapeva cosa fosse - Grazie- aggiunse poi e il maggiore si limitò ad annuire e scuotere il capo subito dopo, a significargli che non c'era bisogno d'alcun ringraziamento.
Calian, d'altro canto, avrebbe tanto voluto poter esprimere appieno la sua riconoscenza nei confronti di quel fratello che l'aveva cresciuto praticamente solo, ma sapeva di non potere: Aiden si sarebbe accorto subito che qualcosa non tornava nei conti e che il minore si stava rivelando improvvisamente troppo affettuoso. E non avrebbe impiegato più di qualche minuto a fare due più due, capendo finalmente la situazione e decidendo di fermarlo. Così si limitò a sorridergli un poco più ampiamente, cercando di imprimersi ancora di più nella mente il volto del fratello, come se il suo ricordo potesse sbiadite da un momento all'altro.
Aiden, lesto, gli si avvicinò ancor di più e gli sussurrò all'orecchio un avvertimento - Attento. Non fare nulla di avventato. Raden ti teme e qualsiasi scusa sarà buona per renderti un pendaglio da forca- e poi si allontanò di nuovo, dopo avergli stretto brevemente, ma saldamente, la spalla, quasi con quel gesto volesse imprimere nell'animo quel suo avviso.
-Certo, Aiden. Ho mai sgarrato ai miei doveri, io?- e il maggiore fu costretto a scuotere il capo, ben più sollevato di poco prima. Suo fratello non era un così abile bugiardo, non avrebbe potuto mentirgli tanto spudoratamente in faccia. Non teneva conto, però, di quel che può fare una persona, se minacciato è qualcuno a questa cara. E Aiden poteva essere in pericolo, se avesse saputo la verità. Se avesse saputo, Raden avrebbe accusato di tradimento anche lui. Raden li avrebbe rinchiusi entrambi, forse solo per aspettare l'alba per l'esecuzione. Perché un traditore poteva essere accettato, ma due sarebbero stati davvero troppi.
E fu così, con in animo la coscienza sporca di un bugiardo e di un infame, che si allontanò da quella casa stretta stretta, immergendosi fra le contorte strade del Borgo Vecchio, mentre i tamburi e le trombe suonavano le otto. Del sereno di quella mattina, in volta non v'era più alcuna traccia, e nuvole temporalesche s'erano andate dipingendo su quell'infinita distesa di mare turchino.

L'incanto di Neveri-DewinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora