L'insetto stava per appoggiarsi sul tavolo. La cosa più bella non era tanto l'idea di tralasciare i compiti, o addirittura il fatto che i suoi genitori non fossero in casa, ma il fatto di divertirsi con gli insetti che gli gironzolavano nella stanza, e non era tanto per il divertimento di ucciderli, ma per il gusto che provava nell'infastidirli, prima di ucciderli.
Una mosca si avvicinò alla sua scrivania, arrivando in picchiata, poi si alzò, fece un giro e scese planando, infine si appoggiò sulla calotta della lampada; si vedeva il nero del suo corpo sul nero lucido del metallo, un bel modo di mimetizzarsi. Era astuta quella mosca!
Dan si avvicinò con la testa e si fermò a pochi centimetri dall'insetto. Aumentò il proprio respiro cosicché la mosca ne sentisse il flusso d'aria. Essa mosse le ali, si strofinò la faccia, le zampette, e si mise a fissarlo, ignara del fatto che potesse costituire una minaccia.
Dan aveva già un piano per catturarla, e aveva il solito kit di tortura per gli insetti pronto, nella cassettiera.
Piano piano aprì il primo cassetto, ma senza smettere di fissare la mosca, lanciandole occhiatacce.
Inserì la mano e rovistò tra penne, matite e altra cancelleria varia. Prese lo straccio che avvolgeva alcune matite e lo sistemò come se fosse un frustino, tirandolo forte dagli angoli.
Di scatto colpì in direzione della mosca, ribaltando la lampada, che si spense subito. A quel punto la stanza era al buio.
Al momento del colpo, la mosca aveva provato a volare via, ma era stata colpita ed era caduta sul tavolo. Dan ci mise qualche attimo a riconoscerla, nella poca luce. A quel punto si alzò e andò ad accendere la lampada grande della stanza, così che la vedesse bene. Tornò al tavolo e trovò che la mosca non c'era più. Smarrito si guardò attorno. Guardò a terra, sul tavolo, in aria; forse si era rimessa a volare? Non c'era da nessuna parte. A quel punto la sentì, perché c'era silenzio e le ali dell'insetto vibravano nervose; la tensione si sentiva nell'aria.
Stava ronzando, sbatteva le ali cercando di volare. La fuggitiva aveva camminato per tutto il tavolo fino ad un angolo, probabilmente lo voleva usare come punto di decollo; ma mentre ci stava ancora provando, Dan prese lo straccio sul tavolo (con estrema calma per non farla scappare) e con uno scatto intrappolò la mosca.
Era spacciata!
La chiuse dentro allo strofinaccio, e con l'altra mano l'afferrò tra le dita, per osservarla da distanza ravvicinata. Si immaginava i suoi strilli acutissimi.
Ora finalmente l'aveva presa, e aveva tutto il potere per divertirsi con lei.
<< Non puoi scappare vero?>> disse all'insetto cercando di scorgerne gli occhi, che erano davvero strani.
Non aveva mai pensato a quanto fossero diversi esseri umani e insetti; forse erano proprio quelle diversità a renderlo così crudele nei loro confronti?
Con una sola mano libera, Dan ritagliò un pezzettino di carta, poi prese la colla stick dall'astuccio nel cassetto. Cosparse la colla a fatica su un lato del foglietto, strato di colla sopra a strato (almeno quattro passate), infine ci appoggiò sopra la mosca, premendo leggermente cosicché la colla facesse presa. Quando era convinto che la mosca fosse ben appiccicata, levò il dito. La mosca era ancora viva, con le zampe e il minuscolo addome aderente al foglietto. Cercava di spostarsi, di dimenarsi, di liberarsi, ma presto avrebbe perso le speranze.
Dan era troppo crudele, era un bambino senza cuore.
Sua sorella era vittima dei suoi scherzi da molto tempo. Lui uccideva lucertole o cavallette cercando di mantenerle intatte, per poi infilargliele sotto le coperte. Che salti che faceva! Nel mezzo della notte per giunta! Ma Dan credeva che la sorella fosse troppo impressionabile, oltre che antipatica, e così erano anche i suoi genitori, che lo mettevano sempre in castigo per quelle innocenti birbanterie (come le definiva lui). Ma che goduria vedere quella faccia sconvolta e sentire quelle urla!
E in quel momento non c'era nessuno ad impedirgli di spassarsela!
Quello che voleva fare alla mosca gli interessava molto di più che fare i compiti, tra quei noiosissimi quaderni e libri giganteschi!
Mai la maestra avrebbe scoperto come passava il tempo invece di studiare!
Prese dal cassetto l'accendino che aveva preso a suo padre, un fumatore incallito. Provò ad accenderlo, poi prese il foglietto con la mosca appiccicata, e lo mise davanti alla fiamma. Non era quello il momento di porre fine alla piccola, sporca e inutile vita di quell'insetto! Voleva solo farle vedere che tipo di armamenti usava. Percepiva nella mosca un aumento di battiti del cuore al minuto, ma per la sua ignoranza non era sicuro che le mosche avessero davvero un cuore.
La mosca sbatteva le ali, cercando di volare via da quella terribile minaccia. Quello era un piromane, pensava probabilmente.
A Dan piaceva tantissimo immedesimarsi negli animali che uccideva, era uno spasso provare paura senza avere qualcosa per cui essere impauriti, perché era la mosca che stava per morire, non lui, che invece era totalmente al sicuro, in camera sua. Non esistevano giganti capaci di rifare a lui quello che lui faceva agli insetti!
O forse si?
Accese la radio che aveva in stanza, e iniziò a riprodurre una cassetta di musica rock. Trovava che ci stava bene, che era adatta a quel momento. Con la musica in sottofondo si mise a fissare l'insetto, poi chiuse gli occhi e provò a immaginare di essere una mosca. Lui, Dan Teenay, era nato per essere mosca!
D'un tratto si sentiva così minuscolo, così indifeso, e allo stesso tempo così sotto attacco. Si sentiva in pericolo, ora che era mosca. Poi tornò di nuovo in sé e si sentiva forte, audace, infinitamente perfido. Ed era questa sua spavalderia che dava più disagio all'insetto, a quella povera mosca che rispetto a lui era minuscola e debolissima. Per giunta la voce del gigantesco essere tuonava tanto da farle vibrare i microscopici timpani! Poverina!
Era questo a farle agitare le ali? O forse era tutto frutto della sua immaginazione, e la mosca non aveva sentimenti? Cercava solo di liberarsi e sopravvivere?
Dan afferrò nuovamente l'accendino, sfilò il muso di metallo e ruppe la levetta del limitatore. A quel punto l'accendino avrebbe dovuto emettere una fiamma enorme, con il rischio di esplodere. Voleva testarlo subito. Prese un fermaglio dal cassetto, pensando a come usarlo per dei preliminari tortuosi. Storse il metallo per raddrizzarlo, poi accese l'accendino, gustandosi il rumore della pietrina che faceva la scintilla. L'ordigno emetteva una gran luce. Agli occhi dell'insetto doveva sembrare un lanciafiamme.
Infilò l'estremità del fermaglio nel fuoco e aspettò che si fondesse. Divenne arancione, poi viola. Mollò l'accendino che era diventato caldissimo, e guardò famelico il piccolo essere sul tavolo, ancora appiccicato al foglietto di carta. A quel punto appoggiò il fermaglio rovente sul dorso dell'insetto. La mosca doveva patire una sofferenza atroce! Infatti pareva agitarsi con maggiore intensità. E forse, sentiva il ragazzo, aveva paura di morire.
Quanto soffriva! E quanto era divertente vederla dimenarsi. Dan sapeva però che non doveva tenere il metallo troppo a contatto con l'insetto, altrimenti sarebbe morta per ferita da taglio, o ustione, o di paura, e fine dei giochi. Infatti metteva e levava di continuo il fermaglio dal suo corpo.
<< È caldo, vero? Lo so che non ti piace.>>
La mosca ronzava.
A quel punto arrivò un altro insetto, un'altra mosca, che cominciò a girare intorno alla mosca attaccata al foglietto. Probabilmente, aveva pensato Dan, quelli erano i rinforzi. E sarebbe stato ancora più emozionante bruciare la seconda mosca assieme alla prima.
Volava tutto attorno senza mai appoggiarsi da nessuna parte, e sembrava allarmata, per la velocità con cui gironzolava, e in base gli angoli di volo stretti che eseguiva. Faceva delle vere e proprie acrobazie.
Dopo un po' di giri la seconda mosca si posò sul tavolo, a pochi centimetri dalla sua compagna, e Dan preparò lo straccio.
Senza che riuscisse a fuggire via la colpì e la prese in mano.
In quel momento Dan ebbe un'idea emozionante. Doveva trovare da dove entravano in casa le mosche, e aspettarle lì per intrappolarle. Avrebbe dovuto elaborare un ottimo piano, e più tardi lo avrebbe fatto. Per concludere avrebbe potuto uccidere un paio di cavallette e alcune formiche, per poi infilare la macedonia di insetti nelle coperte della sorella.
Che spasso!
L'ultima mosca che il ragazzo aveva preso cercava nel frattempo di liberarsi, inutilmente, proprio come aveva fatto la prima. Dan la teneva ferma dentro le mani, rinchiusa come se fosse in una gabbia. Sentiva il solletico sui palmi.
La intrappolò sul foglietto di carta, posizionandola di fronte all'altra, in modo che le due si guardassero. A quel punto ebbe un'idea fantasmagorica!
Andò di sotto correndo all'impazzata, corse in cucina e prese un bicchiere da birra di papà. Lì vide sulla mensola un barattolo di vetro con delle caramelle. Ne prese una al volo, e stando attento a non far cadere il bicchiere tornò di sopra. A quel punto corse al bagno. Da un cassetto dello scaffale vicino al lavandino prese l'alcool. Tornò in camera. Dal cassetto sotto al letto a castello prese la pista smontabile delle sue macchinine, e la montò in gran fretta. Quando ebbe finito si accorse che c'era ancora la musica accesa; questo lo fece tornare alla realtà, distogliendolo dalla propria fervida immaginazione.
Sentiva una strana sensazione inginocchiato lì, sul tappeto in mezzo alla stanza. La stessa sensazione che avrebbe avuto un bambino sorpreso a rubare nella borsa della mamma, e quello era estremamente familiare a Dan.
Non se ne preoccupò troppo e si alzò di scatto.
Prese l'accendino sul tavolo e lo mise in tasca. A quel punto posizionò il foglietto con le due mosche in cima alla pista, nel punto di partenza.
Ronzavano entrambe, cercavano di volare via, ma la carta e la colla pesavano più di loro, per cui non riuscivano a volare; tuttavia riuscirono a spostarsi, e cadendo percorsero tutta la pista fino a cadere sul tappeto.
Dan intanto stava buttando dell'alcool nel bicchiere, solo alcune gocce. A quel punto corse di nuovo al tavolo, dal cassetto prese un foglio e lo accartocciò. Lo buttò nel bicchiere, lasciandone fuori dal bordo un'estremità, e inondò anche quello di alcool. A quel punto voltò lo sguardo a dove prima erano le due mosche, ma dal punto di partenza della pista non c'erano più!
Accidenti! Dove razza erano finite? Quelle furono le parole che percorsero tonanti la mente di Dan.
Freneticamente guardò dappertutto; se fossero sul tappeto, nascoste sotto la pista, tra i tornanti sopraelevati o nelle giunture del giocattolo, ma degli insetti nemmeno l'ombra. Sempre in ginocchio guardò ovunque, ma ad un certo punto le trovò nel posto più inaspettato. Si erano spiaccicate sotto il suo ginocchio, senza accorgersene le aveva rese una frittata.
Dannazione di nuovo!
Questa proprio non ci voleva! Aveva progettato tutto appunto per divertirsi, e per assaporare la loro morte lenta e dolorosa. Questa improvvisa perdita gli aveva lasciato un retrogusto amaro.
Colpì la pista ed essa si smontò. Dan la prese a pugni più intensamente, proprio per sfogarsi, ed essa si rovinò tanto da non essere più utilizzabile. Alcuni pezzi si erano spezzati, ma a Dan in quel momento non importava affatto. Smise di colpirla solo quando le mani gli facevano troppo male per continuare, e cominciò a dire parolacce.
Se i suoi genitori l'avessero sentito si sarebbero infuriati!
Per ripicca prese le due mosche spiaccicate sopra al foglietto, strappandole dal foglio, e le strinse nella mano con tutta la forza che aveva. Accese la punta di carta che fuoriusciva dal bicchiere e a quel punto prese fuoco tutto ciò che vi era contenuto, emettendo una grande luce e un improvviso calore. Stava per metterci le mosche dentro, ma con un ginocchio lo colpì, ed esso si rovesciò sul tappeto lasciando uscire la carta infuocata. Il tappeto prese fuoco all'istante, per via dell'alcool. Dan balzò subito all'indietro per la paura, ma poi l'idea di una sgridata lo spinse a mettere le mani sulle fiamme per spegnere l'incendio. Si dimenava sperando che sortisse qualche effetto.
Colpendo in continuazione all'epicentro delle fiamme, con una furia cieca, il fuoco si estinse, ma per averlo fatto gli scottavano tremendamente i palmi e le dita. Si sfregò le mani sui pantaloni, anche se ciò non serviva a placare il bruciore, quindi si alzò di scatto e corse in bagno più veloce che poteva. Lì provò a bagnarsi con una cascata d'acqua gelida. L'acqua lo faceva stare meglio, inizialmente, ma il bruciore tornava subito dopo aver levato le dita da sotto il getto.
Si guardò allo specchio e all'improvviso provò un grande odio anche per sé stesso. Si fece una smorfia, concentrando in quell'espressione tutto il proprio dolore, e pensò a quanto fosse impressionante il suo sguardo da arrabbiato.
Dopo un po' uscì dal bagno, deciso a mettere a posto la pista.
Pensò che quello che gli era accaduto era davvero una sfortuna, stava per dare addirittura fuoco alla casa!
Avrebbe dovuto trovare un metodo per nascondere la macchia di bruciato dal tappeto, ma per quella pensò che sarebbe stato sufficiente buttare via il tappeto; tanto i suoi non se ne sarebbero mai accorti! E se proprio avessero notato la sua assenza, sarebbe bastato guardarli in faccia e inventare qualche scusa assurda!
Arrotolò il tappeto, lo prese da terra e uscì dalla stanza, poi scese le scale correndo; ma appena arrivato di sotto si fermò. Aveva sentito un rumore. Sperava tanto che non fossero i suoi genitori, che ritornati in anticipo gli avrebbero fatto davvero una brutta sorpresa.
Aspettò un attimo, pregando in silenzio, ma dopo poco non era ancora entrato nessuno, quindi si incamminò fuori di casa, e anche lì non incontrò nessuno.
Lasciò la porta aperta, controllò che non si chiudesse da sola e controllò che nessuno lo stesse guardando. Nessuno dei vicini aveva la testa fuori dal balcone o sbirciava dalle finestre. Buttò nel grande recipiente verde il tappeto arrotolato, poi, sempre svelto ritornò dentro, fino in camera sua a rimettere a posto tutto quello che era sparpagliato intorno, e che avrebbe fatto pensare ad un incendio avvenuto in camera sua.
Dopo un po' la sua camera era perfettamente ordinata, si era fermato al centro della stanza e guardava in ogni angolo. La cosa più lampante era che si notava la mancanza del tappeto, e forse l'avrebbero notata anche i suoi genitori. Ma cosa avrebbe potuto farci?
Si guardò intorno, doveva trovare qualcosa da fare, qualcosa che non avrebbe causato altri danni. Uccidere le formiche e altri animali nel giardino, come voleva fare prima, non gli sembrava una grande idea, in quel momento.
Afferrò un fumetto, poi andò in bagno. Chiuse la porta con due giri di chiave, per paura che qualcuno potesse entrare anche se era solo, poi si sedette sul gabinetto. Non aveva niente da fare in bagno, ma stare seduti rilassati era l'unica cosa che voleva fare in quella situazione.
Prese dalla tasca dei pantaloni una caramella, la scartò e se la mise in bocca, poi buttò la cartina nel gabinetto.
Poco dopo, quando aveva cominciato ad osservare il silenzio, arrivò la noia. Non aveva alcuna voglia di leggere.
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Nato per essere Mosca
FantasyUna bizzarra storiella scritta per divertimento quando avevo tredici anni. Non avevo voglia di fare i compiti e mi chiedevo: come ci si sente a vivere come un'insetto? ⚠️ Attenzione: storia IN REVISIONE!