Era passato qualche tempo. Dan si alzò, senza nemmeno lavarsi le mani, tirò l'acqua e uscì dal bagno. La casa sembrava improvvisamente così buia e deserta, e si sentiva come se lui fosse l'ultimo essere umano vivente sulla faccia della Terra; ma questa sensazione era forse dovuta alla sua fervida immaginazione. Doveva avere una mente davvero contorta, se passava la maggior parte del tempo a progettare trappole e congegnare torture per infliggere dolore agli animali.
Andò in camera, stranamente volenteroso di fare i compiti. Aprì la cartella ed estrasse i quaderni, li buttò sul tavolo, e facendo questo notò quanto fosse semplice sedersi sulla sedia, prendere una matita e scrivere, in tutto quell'ordine che aveva fatto! E all'improvviso era bello anche fare i compiti.
Chi lo avrebbe mai detto?
Iniziò a scrivere, e a scrivere, senza mai badare o nemmeno pensare al tempo. Si perdeva tra le pagine del proprio quaderno di matematica, a risolvere i problemi che le aveva dato la maestra; poi iniziò a studiare la grammatica, e si fermò a riflettere. Pensò a quanto fosse una lingua incredibile, la sua. Non aveva mai provato tanto interesse per la grammatica.
Ad un certo punto fu sorpreso da un rumore nelle vicinanze, quindi si girò di scatto. Era sua madre, che era tornata a casa ed era salita per venire a vedere come stava, e sicuramente anche per sapere cosa era successo durante la sua assenza. Ma lui non avrebbe parlato. Quello che era successo quel giorno doveva saperlo solo lui.
<< Ma che bravo. Hai messo a posto la tua camera.>> disse con sguardo sorpreso.
Dan non disse una parola.
<< Cosa stai facendo?>> esordì avvicinandosi a lui, e nel frattempo guardandosi intorno. Notò che mancava il tappeto a terra.
<< Dove è finito?>> disse indicando il pavimento, e sottointendendo l'oggetto mancante.
<< L'ho buttato.>> rispose lui, spingendo con fatica le parole fuori dalla bocca. Come reazione si aspettava una sgridata, invece sua madre si limitò a guardarlo storto, si ricompose e disse ciò che lui non si sarebbe mai aspettato. << Hai fatto bene. I colori non ci stavano bene con l'arredamento e poi volevamo comprartene uno nuovo.>>
Dan non credeva a quelle parole, ma poi si ricordò che lui era solo un bambino e spesso i genitori intuiscono le balle e stanno zitti. Forse sua madre era particolarmente di buon umore, forse sapeva cosa era successo a quel tappeto. Probabilmente credeva che avesse portato del cibo in camera e l'avesse sporcato, poco ne sapeva che quel tappeto era quasi stato la causa di un principio di incendio per colpa dei suoi giochetti. Dopo la risposta della madre avrebbe potuto dire che i suoi gusti erano leggermente diversi da quelli dei suoi genitori, loro avevano scelto il mobilio del resto della casa e il look generale dell'abitazione, tra cui il colore dei muri, e lui aveva scelto il tappeto della propria camera che ora non gli andava più bene; avrebbe potuto dire che voleva quello con Bart Simpson disegnato sopra!
La madre si avvicinò ancora di più e accarezzò la testa del figlio, che stava inerme seduto al tavolo, tenendo saldamente la matita in mano.
<< Stai facendo i compiti.>> disse incredula, ma al contempo felicemente sorpresa; ciò faceva intuire che quella fosse la cosa migliore che lui potesse fare.
Ricapitolando: lei era sorpresa perché stava facendo i compiti, e in effetti era una cosa strana ma per lui quel giorno era una cosa da fare, ed era altrettanto sorpresa perché la sua camera era in ordine. Di solito le conversazioni con sua madre andavano in modo molto diverso. Lei avrebbe potuto credere che si trattasse di un piano per ottenere qualcosa da lei, oppure avrebbe potuto pensare che si trattasse del preparativo per uno scherzo, con la sua mente da bambino fin troppo fantasiosa! Ma la madre uscì dalla camera in silenzio, quasi canticchiando, senza dubbi o perplessità. Voltando le spalle provò a guardare se Dan si era girato a guardarla, invece era sempre impassibile, con lo sguardo rivolto ai libri e ai quaderni, e la sua matita in mano. Scese le scale e se ne andò di sotto, mentre Dan ascoltava i suoi passi nel silenzio della casa, tenendo ferma la testa davanti i compiti. Non avrebbe dovuto voltare le spalle ai compiti! Non avrebbe dovuto distrarsi o avrebbero scoperto cosa ci stava sotto alla sua improvvisa volontà di fare il bravo, e i suoi genitori si sarebbero potuti ricredere. E così rimase tutto il pomeriggio a studiare. E fece anche i compiti per tutta la settimana successiva!
In poche parole, invece di correre in giro per la casa e urlare in merito a un'invasione extraterrestre incombente, Dan terminò dei compiti e delle materie che di solito ripudiava, e che non portava mai a termine. Chissà come avrebbero reagito gli insegnanti?
Ormai era sera, poco prima di cena, e Dan lo sapeva perché aveva un sesto senso per quel tipo di cose. Non aveva bisogno di guardare l'orologio. Il suo stomaco non brontolava, ma come ogni tanto succedeva gli sembrava di non avere nemmeno le budella, da quanto era vuoto, e per riempierle di qualcosa avrebbe addentato la porta. La sua matita era completamente rosicchiata.
Uscì dalla camera e scese le scale, intento a raggiungere la madre. Non voleva dirle quanti compiti aveva fatto, nemmeno per quanto tempo era stato lì fermo sulla sedia. Se lo avesse fatto, lei avrebbe detto un sacco di cose riguardo a quanto era strano, e si sarebbe fatta tante di quelle paranoie!
Incontrò la madre a metà strada.
<< Ah, sei qui. Stavo venendo proprio a chiamarti. È pronto in tavola.>>
<< Ma papà quando arriva?>> chiese lui incamminandosi verso la tavola imbandita, quasi come se fosse pronta una festa. A quel punto si ricordò di lavarsi le mani, per continuare la sua interpretazione di bravo ragazzo.
<< Oh, papà. Lui ha avuto un contrattempo, e arriva più tardi.>> disse la donna molto gentilmente, quasi con riguardo verso il suo interesse. Che ragazzo beneducato pensava.
<< Che genere di contrattempo?>>
<< Se avrà voglia, cosa che credo possibile, te lo dirà lui.>>
Dan si lavò le mani al lavandino della cucina e tornò in sala per sedersi a tavola, concentrato a pensare dove potesse essere suo padre. Era davvero curioso. E non capiva perché mai doveva restare a pensare a quel mistero troppo a lungo.
Dan mangiò mezzo piatto di pastasciutta completamente in silenzio, poi cominciò a fare domande.
<< E Lisa? Non è tornata?>>
<< Oh, anche lei ha avuto un contrattempo.>> rispose la madre quando aveva finito di masticare il proprio boccone.
<< Questa cosa non mi torna. Lei arriva sempre prima di cena. E papà è con lei? Cosa è successo? Dimmelo.>>
<< Lo diranno loro.>>
<< Perché non me lo dici?>> chiese il ragazzo piuttosto imbronciato. << Sono per caso andati a divertirsi da qualche parte?>>
<< Puoi smetterla di fare domande? Siamo a tavola! È una regola fare silenzio a tavola, hai dimenticato?>>
<< Sì, ho capito, ma->>
La madre si era tanto infastidita da quella risposta, che prese qualcosa da una mensola senza guardare, come se sapesse che sopra vi era qualcosa di utile come un battipanni. Dan immaginò che lei volesse picchiarlo, e in effetti non aveva tutti i torti. La madre si sforzò di colpirlo con l'acchiappamosche, ovvero la prima cosa che le era capitata in mano. Dan venne colpito la prima volta, e per schivare le successive sfuriate cercò di alzarsi. Nel farlo ebbe subito le vertigini, e si sentì come se stesse per cadere a terra. Per fortuna non cadde. Purtroppo però qualcosa non andava. Non solo la gravità, ma anche la sua vista aveva subito qualche distorsione. Che il primo colpo fosse stato troppo forte? Come mai il tempo aveva cominciato a rallentare?
Inizialmente vedeva tutto come prima, tranne per qualche colore meno acceso, poi tutti i colori avevano cominciato a scurirsi, e la visuale era diventata sempre più scura o bianca, con qualche sfumatura di grigio e giallo.
Mentre pensava, e mentre si chiedeva cosa gli stesse succedendo, lui stava inconsciamente sorvolando la sala, ed era arrivato tanto in alto che la madre con l'acchiappamosche sembrava lontanissima.
Provò a parlare, ma non sentiva le parole nell'aria, solo un ronzio. Proprio come facevano le mosche.
Era una sensazione stranissima, volare. Sentiva che stava per rigurgitare tutta la pastasciutta che aveva mangiato, ma poi si ricordò che aveva un corpo tutto nuovo, senza stomaco per la pastasciutta, e guidarlo era portentoso.
Ronzare attorno alla mamma era un po' pericoloso, con quell'acchiappamosche, ma lui non aveva paura, quindi si staccò dalla superficie del lampadario (a fatica, perché le sue mani erano come delle ventose capaci di attaccarsi su qualunque superficie) e si buttò in direzione della donna. Appena aveva staccato le zampe dal vetro del lampadario (delle zampe che ai suoi minuscoli occhi sembravano giganti e pelose), aveva cominciato subito a volare, senza che nemmeno lo volesse. Si sentiva come se fosse sulle montagne russe, sotto certi aspetti: le sue ali andavano da sole, bastava pensare di andare da qualche parte.
Ma pensandoci bene, in quel momento poteva anche essere un insetto diverso, non per forza una mosca. Non si era ancora visto allo specchio. Tuttavia era consapevole, chissà come mai, di essere diventato una mosca.
Decise di andare a guardarsi allo specchio, per accertarsi della propria identità, quindi scese in picchiata dal soffitto verso la madre. Schivò automaticamente il colpo che ella aveva tirato e volò verso il bagno che c'era al piano di sotto. Poteva immaginarsi la madre corrergli dietro con l'acchiappamosche e le mani sollevate, mentre lui con poca energia copriva distanze enormi in volo. Volava molto veloce, e sicuramente si mimetizzava con tutte le cose scure che c'erano in salotto. La madre infatti ogni tanto si fermava e lo cercava frenetico con la testa, agitando la sua arma, senza mai riuscire a colpirlo. Quanto era ridicola!
A quel punto pensò a quanto era strano tutto quello che stava accadendo.
Come se stesse ricordando un sogno vide se stesso a fare i compiti, mentre ancora indossava quell'abito da umano. Aveva bruciato il corpo di alcune mosche, poi aveva perso tempo in bagno; ma quando mai si era addormentato? Non era un sogno?
Si appoggiò su una colonna portante a pensare. Stare così era bellissimo, potevi andare dove volevi, e l'idea di essere tanto piccoli da poter andare da tutte le parti era un sogno che si avverava, per lui; ma appunto "sogno" era la parola chiave.
Quella che stava vivendo era la realtà (e questo provava che le storie alla televisione potevano essere vere) oppure forse si era solo perso nei sogni e nelle fantasticherie a tavola? Quando è che l'immaginazione si mescola così tanto con la realtà da non riuscire più a tornare indietro e si inizia a confonderle? Beh, non sarebbe stata la prima volta che sognava a occhi aperti, in ogni caso si poteva solo divertire, a guidare un corpo da mosca.
Cercava di sdrammatizzare, ma comunque era in tensione, perché un sogno tanto realistico non lo aveva mai fatto.
Si stropicciò la faccia, poi si staccò dalla colonna. Volò via, e sentì le parole di sua madre, tanto forti da fargli vibrare le orecchie.<< Dove vai? Vieni qui! Che ti schiaccio!>>
Dan scappò via, arrivò davanti al bagno sul pianerottolo delle scale, e girò per salire al secondo piano; ma il suo corpicino, che di solito andava diritto con la sola forza del pensiero, prese un'altra strada, diversa da quella in cui voleva andare lui. Entrò in bagno, e salì sulla tazza del gabinetto. Lí cominciò a zampettare. Davvero non riusciva a dire al suo corpo di risollevarsi e scappare. Sua madre lo stava seguendo, e se mai l'avesse visto entrare lì sarebbe rimasto in trappola!
Fortunatamente la madre non arrivò mai, ma il suo corpo rimaneva appoggiato sulla tazza. L'odore che di solito sentiva entrando lì da umano era un odore nauseabondo, soprattutto dopo che Carter, suo padre, era stato in bagno. Ma adesso era un odore delizioso, che lo attraeva almeno quanto un piatto di pizza. E si chiese se mai più avrebbe mangiato pizza nella propria vita.
Adesso che era solo pensò a quanto fosse buffo tutto quanto. Certo era divertente volare, e anche fare gli scherzi alla mamma, ma come funzionava? E soprattutto come e per cosa era avvenuta la sua trasformazione? Come poteva tornare normale?
Dopo un po' il suo corpo si alzò di nuovo e lui fu in grado nuovamente di controllarlo. Poteva andare dove voleva, decise quindi di avvicinarsi allo specchio, che in fin dei conti era la sua meta. Lì davanti vedeva solo grigio, nessuna immagine. Ciò era stranissimo ma pensò che forse era per via dei suoi occhi strani che non vedeva i riflessi, e non perché lo specchio era stato rimosso. A quel punto scelse di andare in camera sua. In fondo non era un gran problema se non si vedeva allo specchio. E se proprio avesse voluto riprovare avrebbe potuto guardarsi allo specchio del suo bagno preferito al piano di sopra.
Muovendosi al buio vedeva bene, cosa che normalmente non gli riusciva. Nonostante ciò il buio colorato di giallo nel corridoio gli faceva soggezione. Doveva essere un'altra alterazione della vista!
In camera sua il suo quaderno e i suoi libri stavano sul tavolo, e rivedere le stesse cose con occhi diversi aveva un certo effetto su di lui. Cominciava a sentirsi preoccupato. Ora non poteva più fare gli stessi giochi di prima, non poteva più muovere le macchinine. E cosa avrebbe mangiato? Volò parecchie volte intorno pensando e pensando. Rimuginò per qualche tempo con in sottofondo il ronzio delle sue ali. Ovvero un nuovo giocattolo di cui non ne conosceva i limiti.
Chi gli avrebbe fatto da mangiare, e soprattutto lui cosa mangiava?
L'idea di non sapere con chi avrebbe passato tutto il suo tempo lo preoccupava molto, quasi quanto la perdita dei regali di compleanno e Natale. Provava a dirsi che non sarebbe stato così per molto, ma sapeva che quello non era un sogno, e sarebbe potuto durare in eterno.✅
A quel punto l'entusiasmo di potersene andare dappertutto senza seccature venne sostituito da una sana preoccupazione per il futuro, e dalla paura di non saper sopravvivere.
Sentì dei rumori di sotto, certo aveva un ottimo udito, bastava solo che volesse ascoltare, altrimenti sentiva solo un silenzio tombale, o il ronzio delle sue ali. I rumori dovevano essere quelli di una porta che si apriva, poi delle voci umane, che nonostante avesse un corpo da insetto riusciva sempre a distinguere e a comprendere, proprio come prima sua madre; ma quelle voci che sentiva ora si ripetevano e ripetevano, sempre le stesse, e diventavano sempre più stridule ogni volta che le risentiva. Decise di ignorare il fatto, prendendolo come un semplice difetto dell'apparato uditivo da insetto.
Aveva preso quel corpo da alcuni minuti, non aveva capito ancora come funzionava, e già pensava a riprendersi quello umano. Molto più maneggevole, comunica meglio con gli altri, e mangia pizza e tanti dolci.
Sentiva le voci avvicinarsi.
<< Dove è finita la mosca?>>
<< È andata di sopra.>>
<< Dammi l'acchiappamosche, vado a prenderla..>>
Per la prima volta Dan si chiese perché mai gli esseri umani ce l'avessero così a morte con le mosche, adesso gli umani volevano ucciderlo, lui non aveva fatto nulla di male. Avrebbe voluto scappare, ma questo avrebbe voluto dire scappare da casa per sempre, lasciare la propria dimora per andare chissà dove là fuori. Oppure poteva starsene lì dentro nascosto da qualche parte.
Dan cercò di alzarsi in volo, non ci riuscì, forse perché stando fermo troppo tempo il suo corpo si era addormentato. Precipitò, cadde, schiacciandosi le ali. Non si era fatto troppo male. Ma adesso era in grado di volare? Camminare di sicuro. Ma tutta questa sfortuna! E tornò alla domanda di prima. Come aveva fatto a trasformarsi in un insetto?
Cercava di correre con le sue zampette, ma con tutte quelle gambe era molto complicato non inciampare. Camminare?Forse, ci era riuscito prima al bagno. E così cominciò a scappare camminando.
<< Mosca? Moschino? Sto venendo a prenderti.>> Questa tonalità era quella del padre. Stava salendo le scale.
<< Ti conviene farti vedere, altrimenti quando ti scoviamo ti facciamo del male seriamente.>>
Del male? Si chiese Dan. Con un acchiappamosche lo avrebbero addirittura ucciso. Ma in un istante lo bloccò un presagio. lui uccideva le mosche per divertimento, non sarà mica che vogliano fare la stessa cosa con lui?
Per un secondo provò una tale vergogna che prese il volo, era riuscito a sbattere le ali, finalmente, e girò in tondo per un po'.
Sentiva sulle scale avvicinarsi qualcuno, stavano arrivando. Si nascose in un posto che credeva fosse il migliore, dentro una boccetta su una mensola, di cui il tappo era mezzo spostato. Per così dire quello era il primo posto che aveva visto, e con istinto si era precipitato.
Sentì le voci nella camera.
<< Sappiamo che sei qui.>> dissero in coro. Dalla boccetta il suono era ovattato.
<< Quando ti prenderemo ne passerai di brutte.>>
Dan doveva stare assolutamente immobile, con il minimo ronzio si sarebbero accorti di lui.
Sentì un rumore meccanico, forse lo scattare di una serratura.
I passi che erano arrivati nella stanza si muovevano, si avvicinarono molto al suo nascondiglio, e quelli erano momenti di tensione, ma fortunatamente poi si allontanavano. Forse ce l'avrebbe anche fatta, a scamparla.
Sentiva che stavano cercando in giro, nella stanza, e lui doveva fare assoluto silenzio. Quando se ne sarebbero andati lui avrebbe dovuto lasciare la casa, era la cosa migliore da fare, anche se gli dispiaceva lasciare le cose in quel modo. E solo quel Signore di cui tutti parlano, il signore che sta in cielo, avrebbe poi scelto il suo destino, e avrebbe scelto se doveva rimanere così ancora per tanto. Al massimo avrebbe potuto volare da lui.
I passi si avvicinarono, e le voci si zittirono, Dan cercò di stare in assoluto silenzio. Credeva che il suo nascondiglio fosse sicuro, ma sentiva il barattolo muoversi, si stava sollevando.
Il coperchio del barattolo venne spostato, e apparse il volto di suo padre, Carter. Dan sobbalzò, e volò via da lì dentro alla massima velocità, quella più folle. Quando era ormai sul soffitto, Carter che aveva i riflessi un po' lenti, lasciò cadere il barattolo a terra, e con l'acchiappamosche colpì nell'aria segnando a vuoto. Avevano chiuso la porta della stanza, quindi era in trappola. Questo complicava le cose.
L'acchiappamosche non lo colpiva mai, ma sentiva lo spostamento d'aria che lo spingeva qua e là. Diventava una corsa frenetica contro il nemico, per sopravvivere, ma senza una via di fuga la prospettiva di salvarsi diventava irreale, le energie si sarebbero presto esaurite.
Doveva partorire un'idea in fretta. Un colpo lo spinse contro la porta, riuscì a non schiantarsi per fortuna, con un gran sforzo d'ali, che ora gli dolevano.
Aveva guardato bene, la porta era chiusa.
Si stava stancando, e ancora non aveva trovato una via di fuga. Stava però imparando a controllare bene il nuovo corpo. Si alzò e passò vicino alla faccia del nemico, suo padre, esso smise di colpire e agitò l'aria vicino a lui per spingerlo via.
<< Allontanati!>> urlò.
Le onde sonore quasi gli spaccarono i timpani. Dan era più stordito che mai.
Ti prego Signore salvami! Ti prego Signore salvami.
Volava al massimo della velocità, intorno alla testa del padre, che infatti si stava infastidendo parecchio.
Dan si accorse che faceva angoli stretti durante il volo, da quanto era agitato, e per questo non voleva rischiare che suo padre, colpendo alla cieca, lo prendesse, per quanto era prevedibile la sua traiettoria, quindi cambiò strada al sesto giro e volò verso la porta. Pensava di poter passare attraverso le porte, di essere una mosca magica, e ad un tratto si ritrovò nel corridoio, e volando intorno sentiva i colpi del padre da dietro la porta della camera. Si era chiuso dentro e aveva nascosto la chiave, e lui era uscito dalla serratura. Un gran colpo di fortuna.
Fuori lo attendeva la madre con un altro acchiappamosche, lo muoveva casualmente, con rabbia, e l'aria lo spingeva ancora una volta qua e là. Finì addosso a un muro e finì a terra. Soffriva per il dolore, e sembrava che ad un tratto le sue ali non volessero più volare. Non riusciva neanche più a muoversi, poi realizzò che si era capovolto, quindi agitò le zampette e si mise diritto, e a quel punto il dolore era addirittura maggiore. In nessun sogno sarebbe riuscito a provare quel dolore senza svegliarsi.
Stette solo un istante fermo, dicendosi che poi sarebbe ripartito in fuga, ma quando provò a volare ancora era nelle mani della madre, che lo teneva rinchiuso. Era successo tutto così in fretta, adesso mancava l'aria, e sembrava che nella sua breve vita di mosca, lunga come un cortometraggio, fosse stato tagliato via un pezzo di nastro. Vedeva solo buio, e non è che i suoi occhi avessero una vasta gamma di colori per scorgere tutte le tonalità e tutte le sfumature di nero. Non c'era nemmeno un punto giallo in quell'oscurità.
Cercò di volare nella mano, ma sbatteva in continuazione, e dopo un po' gli venne un'idea.
A Lei che ormai lo aveva in pugno, e che poteva finalmente fargli fare la brutta fine che si meritava per essere stato un cattivo figlio, venne l'idea di come torturarlo. Voleva ucciderlo con dolore, nel modo più ingegnoso possibile.
In cucina c'erano degli stuzzicadenti, che poteva usare per immobilizzare la mosca. Le bastava conficcarglieli qua e là nel corpo, senza troppo penetrare per non rischiare di ucciderlo subito. Poi avrebbe giocato con lui assieme al fuoco, anche con del ghiaccio, e magari avrebbe potuto provare a immaginare il dolore che avrebbe provato. Per un solo istante essere una mosca, e sapere come percepiva il dolore. Davvero un bel passatempo.
Arrivò in cucina. C'era la figlia seduta al tavolo che mangiava i cereali da una tazza a forma di mucca. Ingoiava anelli al miele spalancando la bocca come un leone apre le fauci all'ora di cena.
<< Cosa tieni in mano, mamma?>> chiese con la bocca piena, masticando tra una parola e l'altra.
<< È Dan, tuo fratello.>>
La sorella si alzò in un istante, con il cucchiaio ancora in mano la raggiunse.
<< Fa vedere.>>
<< No, non posso. Ci ho messo un sacco a catturarlo.>>
<< Papà?>>
<< Oh papà sta nella camera di tuo fratello. Sai, lui mi ha aiutato a catturarlo.>> disse orgogliosa del suo operato.
Lisa la guardò storto.
Dan da dentro la mano morse un dito, con la sua piccola bocca fatta di artigli poi morse un altro dito, e dopo ancora il palmo.
<< Ahi.>> disse la madre, lasciando subito la presa. Così la mosca aveva finalmente la via libera per volare via, e così fece, velocemente verso l'alto. E sia la sorella che la madre stettero a guardare la mosca scappare. La madre era piena di rabbia, la sorella invece sembrava che stesse osservando una farfalla colorata, e guardando dall'alto a Dan non sembrava che fosse così ostile nei suoi confronti.
<< Dan, sei proprio tu?>> chiese Lisa.
Quanto avrebbe voluto rispondere. Lei era un'amica, si atteggiava allo stesso modo. Lei aveva capito quanto era strano tutto ciò, e questo lui lo vedeva dal suo sguardo.
<< Mamma. Ma ti senti bene?>> chiese la sorella.
Entrambe si guardarono.
<< Quella è solo una stupida mosca. Lasciala stare. Dan sarà uscito a giocare, tu non ti sarai nemmeno accorta, magari ti sei addormentata. Svegliati, questo è solo un sogno.>>
Dan era allibito, e restava appeso al soffitto a guardare, come un ragno.
Non aveva capito molto bene, ma aveva capito che lei non era proprio tanto amichevole, aveva detto che era stupido, ma nonostante ciò non era rivale.
Da quello che ricordava la sorella odiava gli insetti, gli facevano tanto ribrezzo che non osava toccarli.
La madre stava riflettendo alle parole che le aveva detto la figlia. Solo un sogno. Le bastava ricordare dove si era addormentata, per risvegliarsi. in effetti cosa era successo molto tempo prima non se lo ricordava. Era assolutamente un sogno! Era lei che stava sognando tutto. Cosa aveva fatto prima di addormentarsi? Era a tavola, ma prima? Prima che sgridasse Dan per tutte le sue domande...
Dan uscì dalla stanza, approfittando della calma per non farsi vedere. Arrivò in salotto, salì le scale e andò a rifugiarsi al bagno di sopra, quello in cui era andato prima. Si appoggiò sulla tazza del water, guardò il bagno intorno. La luce era accesa, qualcuno era andato in bagno e aveva lasciato la porta aperta, aveva dimenticato la luce accesa e si era dimenticato di tirare l'acqua. C'era dello sporco all'interno del gabinetto. Entrò all'interno e si appoggiò sopra allo sporco. Non c'era nessuno a guardarlo, pertanto appoggiò la faccia sulla macchia, e fu sorpreso di non riuscire a resistere alla tentazione.
Il sapore era anche delizioso, sapeva di menta, ed era estremamente dolce.
Ad un tratto sentì dei rumori, qualcuno era entrato in bagno, ne sentiva i passi, ma lui non riusciva più a staccarsi da lì, da quanto era attratto.
Quel qualcuno che era entrato in bagno era la sorella, guardava la mosca nel gabinetto, e lui la vedeva dal basso. Lei gli sorrise.
<< Ciao ciao fratellino.>> disse. Poi allungò una mano verso lo sciacquone e tirò l'acqua.
Dan non fu nemmeno in grado di pensare a nulla che aveva già l'acqua addosso, e tra il rumore e tutta la confusione vedeva anche lo spazzolone avvicinarsi a lui.
Ormai era finita la sua vita di mosca.
E se gli uomini buoni finiscono in Paradiso, lui dove sarebbe finito?Si svegliò di colpo. Era tanto impaurito che cadde dal gabinetto.
Gli si erano informicoliate tutte le gambe, e gli faceva male la nuca.
Lo sciacquone intanto stava scaricando l'acqua.
Ora si trovava a terra, e come effetto del sogno sputò ciò che aveva in bocca che sapeva di menta, con un brutto presentimento. Tutta insalivata cadde la caramella verde che aveva messo in bocca prima di addormentarsi. E realizzò che gli faceva male la nuca perché nel sonno doveva aver colpito il pulsante dello sciacquone.
Cercò di tranquillizzarsi, di riprendere fiato e di smettere di tremare. Durante il sogno aveva sudato, e adesso aveva l'impressione di aver davvero vissuto come una mosca, per quei cinque minuti, o quello che erano.
Si alzò in piedi, prese della carta igienica e pulì il pavimento dalla sua saliva, poi si sollevò i pantaloni, quindi rimase immobile per un po'. Doveva riprendersi.
Era stato solo un sogno. Solo un terribile sogno!
Esultò perché era libero da quella trappola, avrebbe potuto finalmente abbracciare mamma e papà, e pensando bene anche la sorella. Ma l'unica cosa che gli dava un sapore amaro in bocca era che in realtà non aveva fatto nessun compito, e adesso gli toccava farli tutti.
Uscì dal bagno senza nemmeno lavarsi le mani, e si accorse che in casa non c'era nessuno oltre a lui. Beh, aveva tutto il tempo per fare i compiti.
Da questa avventura, questo sogno, aveva tratto una morale. E si sentiva più felice. E sperava che non gli avrebbero detto nulla riguardo al tappeto.
Intanto sospirava, pensando che aveva vissuto davvero un brutto incubo.Il giorno dopo Dan andò a scuola con i compiti fatti, deliziato dai complimenti che gli avevano fatto i suoi genitori.
Passò tutte le lezioni felice come una pasqua, sperando che le maestre gli richiedessero i lavori fatti a casa.
Alcuni ragazzi che di solito lo prendevano in giro, quel giorno non gli facevano alcun effetto, lui semplicemente li ignorava, e andava avanti con la sua vita. Ma nessuna maestra gli aveva chiesto di vedere i suoi lavori, e questo lo fece sentire a disagio.
Ma come poteva essere che quando lui non faceva mai i compiti tutte le insegnanti gli richiedevano i lavori e proprio oggi...
Ma chissà.
Andando verso casa, nel solito bus, sentì delle osservazioni su di lui molto carine, dicevano che era cambiato, ma il commento preferito fu quello di una bambina che gli era sempre piaciuta, ma con cui non aveva mai parlato. Diceva che era carino, ma che prima d'ora non aveva mai avuto quell'aspetto, e nemmeno quel portamento tanto disinvolto.
Avrebbe dovuto portarle un fiore.
La sua vita era veramente cambiata, grazie a quella esperienza. Quindi si incamminò con la nuova amica mosca tra le mani. L'aveva nutrita con delle briciole, in classe, e lei ora si era affezionata.
Questo dimostra che anche le mosche hanno un cuore.
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Nato per essere Mosca
FantasyUna bizzarra storiella scritta per divertimento quando avevo tredici anni. Non avevo voglia di fare i compiti e mi chiedevo: come ci si sente a vivere come un'insetto? ⚠️ Attenzione: storia IN REVISIONE!