1. Amicus certus in re incerta cernitur [versione cartacea]

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L'amico certo si riconosce nella sorte incerta.
Ennio


Cat era immersa nell’acqua fino al mento e non riusciva a togliersi quello stupido sorriso dalla faccia. Adriano non aveva perso tempo ad accogliere il suo suggerimento.
«La prossima volta che vuoi passare del tempo con me non inventarti balle, chiedimelo e basta!»

Nuovo messaggio ricevuto da Imperatore Greco:
Vuoi venire a vedere la mia partita venerdì sera? Potremmo andare a farci un giro dopo… Ps: Maria Antonietta
=P

Adriano Greco le aveva chiesto di uscire con lui, realizzò. Il poco fiato rimasto le si fermò in gola.
Micaela avrebbe dato di matto, se lo avesse saputo. Sarebbe rimasta in silenzio per minuti interminabili con lo sguardo fisso sul pavimento e poi avrebbe sbottato qualcosa sul come, dove, quando e perché fosse accaduto.

Non era pronta ad affrontare un vero appuntamento con Adriano.
Cosa avrebbero fatto? Cosa si sarebbero detti?
E, diamine, perché si stava facendo prendere dal panico come una ragazzina?
Avevano condiviso più di cinque ore insieme da soli a casa sua, ed erano anche stati sul punto di baciarsi seriamente un’infinità di volte quel pomeriggio: cosa poteva succedere di peggio? E se stesse fraintendendo tutto? Forse non si trattava nemmeno di un’uscita romantica, magari glielo aveva chiesto in segno di amicizia, di pace. O quello che diavolo era.
Il fischietto della sua istruttrice la riportò alla realtà. Tutti quei pensieri avevano finito per deconcentrarla: le sue compagne, infatti, l’avevano surclassata in velocità.

Lei aveva appena toccato la piastra, mentre le altre stavano nuotando nella direzione opposta. La donna la rimproverò e le raccomandò di impegnarsi di più in previsione della prossima gara, ma lei era troppo occupata a fissare Leo, seduto vicino al bordo vasca in attesa del proprio turno, per darle retta.
Raggiunse a nuoto quel punto esatto e si issò con le mani sulle piastrelle per darsi una spinta, poi poggiò un ginocchio sul muretto e Leo le tese la mano per aiutarla a mettersi in piedi. 

Fu più forte di lei soffermare lo sguardo sul suo tatuaggio, maledicendo il ragazzo per esserselo fatto proprio tra l’anca e l’inguine. Era un delfino tribale avvinghiato a un’àncora e la parte finale veniva nascosta dal costume. Dovette darsi un contegno, soprattutto perché non voleva dare l’impressione di fissare qualcos’altro.
In realtà aveva guardato di sfuggita anche quello, ma si giustificò ripetendosi che Leo aveva davvero un gran bel… fisico.
«Stai battendo la fiacca, eh?» la punzecchiò.

Cat si sfilò la cuffia di silicone e gli occhialini in un rapido gesto. «Così pare», rispose con un’aria afflitta. Leo l’avvolse con l’asciugamano che aveva tenuto sopra la spalla fino a quel momento e glielo strofinò delicatamente sulla schiena.
Odorava di lui, bagnoschiuma al muschio bianco e profumo di marca. Non sapeva dire chi avesse la fragranza più buona tra lui e Adriano, erano entrambe un attentato agli ormoni. Si strinse il telo sulle spalle e lo annusò con discrezione.
Si sentiva in colpa persino a trovare piacevole il suo odore, come se non le fosse consentito.

Il suo pensiero volò subito a Bea e a come l’amica si dovesse essere sentita nel leggere quelle sciocchezze scritte sul muro. Non poteva fare a meno di pensare che ci fosse un minuscolo fondo di verità. Non andava a letto con Leo, certo, ma lo desiderava e partoriva sempre degli apprezzamenti mentali su di lui. Ciò bastava a farla sentire uno schifo ogni volta che si guardava allo specchio.
Leo notò che il suo viso si era rabbuiato di colpo e le diede un buffetto affettuoso sotto il mento.
«Non devi dare peso alle parole di una cogliona qualunque», cercò di consolarla, convinto che fosse giù di morale per la scritta anonima.
«No, non stavo pensando a questo. Mi dispiace che tu e Bea abbiate litigato a causa mia», soffiò costernata.

Superbia. La Sindrome di Didone (Vol.2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora