2. Faber est suae quisque fortunae [versione cartacea]

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Ciascuno è artefice della propria sorte.
Sallustio

Un mese dopo, 27 marzo 2006

Era trascorso esattamente un mese e qualche giorno dallo scontro avvenuto tra Cat e Stefano Di Martino negli spogliatoi della palestra e dalla festa di Alessia.
Il tempo era volato senza che Cat se ne rendesse conto, tra interrogazioni, compiti in classe, gare e uscite a quattro fino a qualche tempo prima ritenute improbabili. Leonardo e Adriano avevano parlato e, dopo aver chiarito, erano tornati amici. Adriano lo aveva addirittura abbracciato, secondo il racconto di Leonardo.

Il biondo non poteva saperlo, ma quel gesto l’aveva resa fiera di lui, facendogli guadagnare parecchi punti ai suoi occhi. Aveva calpestato il suo orgoglio, e se ce l’aveva fatta Adriano Greco, l’individuo più superbo che avesse mai incontrato, forse ce l’avrebbe fatta anche lei.
Quando aveva raccontato a Micaela della rappacificazione tra i due ragazzi, l’amica le aveva ribadito che non aveva mai creduto che Irene fosse stata sedotta da Adriano. «Su uno così non ci inciampi per caso, lo fai di proposito», le aveva detto, e poi aveva aggiunto con un’acidità non indifferente: «Strano che Leonardo ci sia arrivato da solo. Lo facevo più idiota».

Quella sera avevano fatto la videochiamata su MSN più lunga della storia: due ore e trentacinque minuti.
L’aveva messa al corrente di tutto, anche dell’aggressione di Stefano. L’aveva tenuta per ultima, pensando bene di sganciarle prima le bombe più leggere, come la faccenda di Nicola e Alessia.
«Gay?! Mannaggia, se ne vanno sempre i migliori!» aveva piagnucolato tragicamente Micaela, neanche fosse morto.

Miki aveva avuto una sbandata per lui in quinto ginnasio, per questo la notizia l’aveva lasciata scossa. Anche Fabrizio adesso sapeva di Nicola e l’aveva presa meglio di quanto l’amico si aspettasse. Certo, era rimasto un po’ sorpreso all’inizio, ma poi, stando al racconto di Nicola, ci aveva scherzato su. Ora erano più persone a conoscere il suo segreto e Cat ne era sollevata, non l’aveva mai fatta stare serena la consapevolezza di essere l’unica a doverne portare il peso. Era inutile inserire Adriano nel conteggio: era a conoscenza dell’omosessualità di Nicola, ma gli importava così tanto da averlo già dimenticato. Sarebbe stato davvero bello, se tutti quanti avessero dimostrato il suo stesso menefreghismo nei confronti dei gusti sessuali delle persone.

Poi era arrivato il turno della granata pesante. Ci aveva impiegato un’ora per tranquillizzare Micaela, nonostante le avesse assicurato che l’infame non avrebbe più rappresentato una minaccia per lei. Infatti, secondo le voci di corridoio si era trasferito da alcuni zii a Firenze.
La migliore amica non si era risparmiata rimproveri e insulti, e aveva rischiato di farsi venire un attacco apoplettico per la foga.
Il suo odio per Adriano si era un po’ placato, grazie a tutti i dettagli forniti da Cat, ma restava prevenuta nei suoi confronti.

In ogni caso, si era mostrata parecchio incuriosita dalla piega che aveva preso il suo rapporto con Adriano.

Cat si rimirò allo specchio, lisciò con nervosismo la gonna di tulle dell’abito che Beatrice l’aveva convinta ad acquistare per il matrimonio della cugina.
«Sul serio sto bene così?» La sua voce vibrò d’incertezza, mentre si faceva aria con la mano per il caldo. Da una settimana a quella parte si era scatenata un’afa anomala e decisamente fuori stagione per la fine di marzo.

«Stai tranquilla, sei bellissima!» le ripeté Bea per l’ennesima volta, orgogliosa del risultato. Le aveva arricciato le punte dei capelli in onde stile anni Venti e l’aveva truccata in modo leggero, con un gloss rosato sulle labbra e un ombretto chiaro appena accennato. Aveva osato di più con l’eyeliner e il mascara per rendere lo sguardo penetrante.

L’unica cosa a non convincere Cat era il colore dell’abito. Era sicura che un rosa pallido molto vicino alla sua pelle cadaverica l’avrebbe solo spenta, non valorizzata; eppure, Bea se ne era innamorata subito non appena glielo aveva visto addosso. Con quella gonna di tulle e la scollatura a v, le ricordava il costume che era costretta a indossare quando faceva danza classica da bambina.

Superbia. La Sindrome di Didone (Vol.2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora