Capitolo 23

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Alexandra

'Come? Che cosa significa?' Lo dico ad alta voce, letteralmente balbettando. Mi ritrovo ad indietreggiare di un passo, sbigottita e incerta su cos'altro dire, mentre gli sguardi di tutti i presenti sono addosso a noi.
Con la coda dell'occhio noto Jude che contorce la mascella nell'esatto istante in cui Erik si fionda tra le mie braccia, come se nulla in passato fosse accaduto, e io rimango imperterrita, paonazza; ho una gran confusione in testa, non sono lucida, non riesco a concentrarmi su un singolo pensiero, e molti ricordi riaffiorano a galla. Ricordi che pensavo di aver sommerso e che sarebbero stati solo protagonisti del mio passato.
Alla fine l'unica frase che risuona nella mia testa è 'Che cosa significa?'
'Posso spiegarti', si affretta a dire, mentre mi porge un regalo -sicuramente un regalo di natale- e afferra una mano cercando di tirarmi via dalla cerchia che si era formata attorno a noi; i ragazzi già sapevano che il ragazzo dell'Unicorno di cui ho parlato in precedenza fosse lui.
Cerco Jude con lo sguardo, e appena lo trovo, posso percepire l'ansia attraverso i suoi occhi, così come dai miei probabilmente si percepisce il panico e la lista di domande che si fa sempre più lunga mano a mano che il tempo scorre.
"Ulteriori spiegazioni" penso.
Proprio quando il passato sembrava non tormentarmi più, eccolo lì che ricompare, come a ricordarmi che non si potrà mai cancellare, come una macchia di pennarello indelebile che rimarrà per sempre, fino alla fine dei tuoi giorni.
'Spiegare cosa?' Aggiunge Mark visibilmente già abbastanza ubriaco, spezzando il silenzio creatosi.
'Il motivo per cui sono qui, mi spiace essere piombato un po' all'improvviso, avrei dovuto avvertire prima.' Dice lo stronzo che ho davanti.
'Avanti nana, andiamo.'
Nana.
È così che lui mi chiamava quando stavamo insieme, ormai svariati mesi fa, prima che mi trasferissi qui.

Flashback - un anno prima
'Tanti auguri nana!' Mi urla Erik saltandomi addosso e facendomi cadere per terra, interrompendo il mio sonno.
Oggi è Natale, e in quanto giorno di vacanza, ho dormito fino allo sfinimento.
'Dai Erik mi hai fatto fare male!' Urlo lamentandomi mentre cerco di levarmelo via di dosso. Di certo se rimarrà ancora un altro po' sopra di me finirà con lo schiacciarmi.
'Scusa Al non volevo, in ogni caso, come stai?' Mi guarda con aria apprensiva, e solo ora tornata alla realtà mi rendo conto che tra un paio di giorni saranno passati quattro mesi.
Quattro mesi da quando mia sorella non è più qui con noi, con me.

Ritorno alla realtà da quel terribile
ricordo grazie alla sua mano che prende la mia con urgenza, cercando di far intrecciare le nostre dita, come se la loro destinazione naturale fosse quella, e mentre mi trascina al di fuori della casa, lasciando indietro i ragazzi; lancio un'ultima occhiata alle mie spalle, solo per scoprire che lui ci sta ancora fissando mentre si passa una mano tra i rasta, visibilmente frustato ma impossibilitato nel poter dire qualcosa al riguardo. Digrigno i denti mentre Erik mi scorta fuori, sul marciapiede, e la porta si chiude alle nostre spalle con un tonfo, mentre realizzo solo adesso che nel giro di un anno sono cambiate tantissime cose.
Rimaniamo immobili sulla strada, al freddo e con alcune macchine che passano e con i fari illuminano i nostri volti, incerti su cosa dire. Lui ha il respiro affannato, forse perché in ansia, stringe la mia mano ancora più forte, mollandola quando nota una smorfia proveniente dal mio viso, con quegli occhi che mi penetrano ed esprimono un miscuglio di emozioni diverse, come se non sapesse decidere cosa provare esattamente. Lo scruto, e noto che non è cambiato di una virgola, stessa altezza e capelli pettinati nello stesso identico modo.
Decido dopo qualche secondo di rompere finalmente il ghiaccio, cercando di mantenere la calma: 'Quindi? Perché sei venuto fin qua dall'America.'
'Per te.' Deglutisce, raddrizzando la schiena e scrutando a destra e a sinistra la strada, come se qualcuno di indesiderato potesse origliare la nostra conversazione.
'Come?' Non capisco, il che è frustante. Domande su domande su domande, e ho bisogno di tutte le risposte per poter capire le motivazioni che l'hanno spinto a ritornare qua.
'Sono passati sei mesi e non ti sei mai fatto vivo. Mi hai mollata per un'altra senza spiegazioni e non ti sei nemmeno degnato di scrivermi o presentarti per il primo anniversario della morte di mia sorella.' Il tono di voce si è fatto più alto.
'Lo so.' Afferma soltanto, mentre fissa in maniera assente le nostre mani, ancora intrecciate, disegnandoci dei morbidi cerchi con il pollice sul dorso. All'inizio penso che lo faccia per rassicurare me, ma evidentemente è per rassicurare sé stesso, per non dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato, dosare le parole dette.
'Solo questo?' Scuoto la testa sbuffando e mi siedo sul marciapiede, ritirando la mano. Le sue parole non mi hanno esattamente fornito le informazioni che volevo sentirmi dire, anzi.
Lui di conseguenza fa lo stesso, si accovaccia accanto a me, stavolta cercando di mantenere una debita distanza, come se avesse paura di me, o meglio, delle mie azioni.
'Io sapevo tutto...' comincia, e io lo guardo confusa, sperando non si stia riferendo a quello che penso. 'Sapevo dell'adozione, di tuo fratello e del trasferimento, è per questo che mi sono comportato così, ho cercato di farmi odiare da te, consapevole del fatto che non ci saremmo più visti. Volevo allontanarmi ma non ho tenuto conto delle conseguenze. Te l'avrei voluto dire ma non sapevo come farlo. Mi dispiace.' Prosegue con voce sempre più flebile, continuando ansiosamente a girarsi l'elastico sul polso, il quale noto essere quello che gli diedi io il terzo mese in cui stavamo insieme.
'Il giorno dopo che sei partita ho provato a chiamarti, ma avevi già cambiato numero.' Espira lentamente.
'Non volevo più sentirti.' Le parole mi escono da sole dalla bocca.
'Non ti biasimo.' Adesso il suo tono è più duro. Sposta lo sguardo da me su quello che è il parabrezza di un'auto. 'Ma volevo comunque vederti, ho fatto un tentativo.'
Non vorrei starlo a sentire, ma una parte di me capisce che per poter andare avanti con la mia vita, ho bisogno di chiudere questo breve capitolo.
'Come mi hai trovata?' A questa domanda le sue mani si fermano. Fa un respiro profondo, deglutisce, espira a fatica. Si prende un secondo per ricomporsi e controllare l'improvvisa ondata di ansia che sembra averlo sopraffatto, e io subito mi preparo ad una lunga storia, l'intera storia.
'Come già ho detto, il giorno dopo la tua partenza ho provato a contattarti, fallendo miseramente.' Il disagio è evidente nei suoi lineamenti. 'Da quel momento in poi mi sono adoperato per farlo: ho chiamato i tuoi, i quali però non mi hanno mai voluto dire di preciso dove fossi, ho cercato informazioni in giro, dai conoscenti, la squadra di calcio, perfino i professori; l'unica cosa che sapevo era il luogo di residenza, il Giappone, poiché volevano cercare tuo fratello. Ma più il tempo passava, meno avevo tue notizie, anche se mi sarebbe bastato sapere che stessi bene.' Ammette. 'Avevo perso le speranze, fino a quando un mese fa circa, ho avuto l'occasione di parlare con Mark, ed è lì che ho pensato: perché non chiedere di lei? Tanto tentar non nuoce.' Solleva gli angoli della bocca e i suoi occhi sono di nuovo sui miei. 'Sapevo quanto fossi appassionata di calcio, perciò ho fatto questo tentativo, e appena mi ha detto di questa nuova ragazza molto brava con il pallone e dai capelli stravaganti, ho fatto due più due. Senza nemmeno chiedere il nome, non ho esitato un attimo a prenotare un aereo per venire, ho solo aspettato il momento giusto.'
Scuoto la testa: il momento giusto di certo non poteva essere il giorno di natale.
Le sue parole non mi hanno fornito proprio tutte le risposte che cercavo. O meglio non tutte.
'Quando hai saputo dell'adozione? I miei sanno che ne sei a conoscenza?'
'L'ho scoperto per caso...' Fa una pausa, incerto sul continuare. 'Tre mesi prima che partissi, quest'estate, ho sentito una telefonata tra tuo padre e il centro adozione; e si, lo sanno, li avevo minacciati di dirti tutto, ma me l'hanno impedito. Sappi che non è facile doverti dire tutte queste cose.'
'Però l'hai fatto. Non è facile nemmeno per me sapere ciò soltanto ora, e questo non ti giustifica per le azioni che hai compiuto, anche se ti credessi, non potrei perdonarti così facilmente', concludo.
'Non mi ami?' Resto spiazzata dalla domanda. Sbatto le palpebre, un po' per la sorpresa e un po' per l'incredulità e l'audacia.
'Non più Erik, non ora', ammetto. La mia confessione resta sospesa in aria, e nei suoi occhi scuri leggo la disperazione e i sensi di colpa.
'Perché non potrebbe funzionare? Stavamo benissimo... Se è per quello che ho fatto con l'altra ragazza, te lo giuro che non è mai significato nulla per me.'
È sull'orlo delle lacrime e io devo trattenermi e ricordare a me stessa che è stato lui in primis a farmi del male, che è stato lui a rovinare tutto il nostro rapporto.
'Tralasciando il fatto che è iniziato tutto per via dei miei genitori, che volevano stessi con te. Te l'ho già detto, e poi...' Sospiro, continuando: 'Provo sentimenti verso un'altra persona ora.' Il mio sguardo si posa verso l'abitazione, e penso a Jude. Non ho idea di quanto tempo sia trascorso, forse mezz'ora, o magari un'ora, ma una cosa è certa: sono ancora tutti li ad aspettarmi, ad aspettarci. Mi alzo in piedi e lui fa lo stesso.
'Non mi dirai chi è, vero?' A quella domanda annuisco. 'Lo scoprirai da solo.'
Forse avrei potuto perdonarlo, all'inizio, se le cose fossero andate diversamente, invece me l'ha nascosto, come se già non mi fosse bastato il silenzio dei miei genitori per sedici anni, senza tenere conto del tradimento subito da parte sua.
'Domani mattina ho l'aereo di ritorno, non mi fermerò più del dovuto se non sono il benvenuto.'
'Puoi sempre fermarti per stare con i ragazzi', aggiungo, ma vengo interrotta da un cenno negativo della testa. 'Sono venuto solo per te.' A quelle parole si smuove qualcosa dentro di me, ma la mia espressione rimane imperscrutabile. Quello che provo è solo dispiacere nei suoi confronti, infondo mi ci ero affezionata. Ero piccola quando l'ho conosciuto, siamo quasi cresciuti insieme per un periodo, e innegabilmente mi ricorderò sempre di lui.
'Mi dispiace, mi fidavo di te, hai idea di come mi sono potuta sentire? Sono rimasta sola.' Gli tremano le mani. 'Lo so, e ti ripeto che mi dispiace, fammi rimediare ai miei errori.' Si avvicina, e io faccio un passo indietro. 'Non puoi, Erik, ti vorrò comunque bene, ma non può funzionare tra noi due.' I suoi occhi sono spenti, cupi come il cielo che si è fatto scuro sopra di noi.
Mi incammino verso la porta di casa, non dopo avergli lasciato un bacio umido sulla guancia, come a simboleggiare un "addio".
Entro nell'appartamento senza voltarmi, e lui non mi segue.

Quando mi chiudo la porta alle spalle non scoppio a piangere come temevo: resto in piedi a fissare Bryce, impassibile, che era lì davanti ad aspettarmi insieme a Jude, Celia e Jordan, i quali mi accorgo essere gli unici rimasti.
'Sono andati tutti via nel frattempo', afferma mio fratello, come se mi avesse letto nel pensiero. Sicuramente saranno passati dal retro per non disturbare, tanto nessuno a parte noi due è venuto con la macchina.
'Axel sta bene?' Domando con un filo di voce, ripensando alla faccia del biondo abbastanza malconcia, cercando di sviare l'argomento principale.
'Si riprenderà', affermano Celia e Jordan all'unisono con un'alzata di spalle.
'Che è successo lì fuori?' chiede il verde.
Maledico me stessa per l'accaduto della serata: mi ero ripromessa di non bere per non fare casini, ma alla fine il casino è avvenuto pur non bevendo. E con un sospiro, faccio un breve riassunto ai quattro superstiti rimasti.

Jude

Mi sveglio sudato. Di nuovo. Mi ero dimenticato quanto fosse brutto doversi svegliare quasi ogni notte in questa maniera, credevo di aver finito con le notti in bianco e gli incubi, e invece no. Ultimamente il ricordo di Dark interrompe il mio sonno: gli incidenti degli anni precedenti, la storia della Raimon e la lettera di minacce ricevuta due giorni fa, fanno si che io non riesca più a stare del tutto tranquillo.
Guardo l'orologio: sono le cinque del mattino. Devo dormire, recuperare il sonno perso in queste settimane per via degli allenamenti e lo studio fatto. Chiudo gli occhi, e lo scenario che mi si para davanti è l'episodio del giorno precedente. Pensare che Erik sapesse tutto e che abbia avuto la faccia tosta di chiedere ad Alex di ritornare insieme mi fa ribollire il sangue; quando dopo il racconto è scoppiata a piangere, ho faticato molto a restare impassibile. Non so cosa succederebbe se le
confessassi che anch'io ho sofferto le pene dell'inferno,  che nemmeno io ero sicuro di riuscire ad affrontare questo dolore: la
separazione da mia sorella Celia, Dark, quando ho fatto di tutto pur di riprendermela e lei credeva non mi importasse nulla. Probabilmente lo sa ma ha fatto sempre finta di niente, e la ringrazio per questo.
Quello che posso fare di buono al momento è starle accanto, asciugarle le lacrime, soffrire insieme a lei se necessario.
Mi giro dall'altro lato del letto, con ormai il sonno che ha abbandonato il mio corpo per i troppi pensieri, e vedo il suo regalo di natale, la
maglia con il mio numero e il suo nome. Sicuramente la userò per i prossimi allenamenti.
Merda.
Non le ho dato il mio.

Alexandra

il giorno seguente c'è bel tempo, ancora niente neve, strade relativamente pulite e il mio umore è un po' più alto rispetto a ieri.
Mi tuffo nello studio e l'ora di pranzo arriva presto, interrotto poi da un messaggio di Jude: "tra dieci minuti sono da te"
Inutile dire che in fretta e furia mi sono cambiata, pronta esattamente quando lui ha suonato il campanello.
'Entra pure, anche se avresti potuto avvisare con un po' più di largo anticipo', dico con disapprovazione ma senza celare un sorriso, mentre lo invito ad entrare in salotto.
'Scusa hai ragione, ma ieri mi hai dato il mio regalo e io mi sono completamente dimenticato del tuo, tieni.' Mi porge una busta e una scatola, una più piccola dell'altra. 'Premetto che non sono molto bravo con i regali.'
Sorrido nervosamente e apro la busta che racchiude il primo regalo. È evidente che in ogni caso ci abbia messo il cuore nel farlo, ed è solo questo che conta: il completo sportivo con tanto di personalizzazione del mio nome ne è la dimostrazione. Adesso si spiega che cosa avesse fatto nel reparto femminile sportivo quando mi ha accompagnato a comprare i regali.
Sorridente, prendo il secondo regalo, una piccola scatolina in velluto rosa che è chiusa da un imponente fiocco difficile da sciogliere. È un profumo alla lavanda, con tanto di bigliettino sovrascritto che afferma: "Sa di te, ti ho pensata quando l'ho sentito (e poi so che è il tuo preferito)"
Fisso il foglietto e poi alzo lo sguardo. Lo vedo nervoso e noto che è arrossito sotto i miei occhi.
'Grazie è bellissimo.' Esclamo saltandogli praticamente addosso; rischio di soffocarlo con il mio entusiasmo, ma non voglio altro che stare vicina a questo ragazzo un po' matto e imprevedibile. Per fortuna mi sorregge ed evitiamo di cadere insieme sul divano, mentre lo abbraccio con tutta la forza che ho, felice e speranzosa che rimanga sempre così.

Spazio Autrice
Dopo letteralmente tre lunghissimi anni, rieccomi qui a continuare questa storia. Spero possa piacervi ancora tanto quanto piaccia a me, fatemi sapere cosa ne pensate❤️

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 12, 2023 ⏰

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